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Peccatucci di Golan

Peccatucci di Golan

(6 Giugno 2011) Enzo Apicella
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    (Imperialismo e guerra)

    La teoria per la soluzione del conflitto colombiano.

    (2 Ottobre 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nuovacolombia.net

    Sebbene possa essere percepita come un affermazione determinista o ridicolmente tautologica, l’uomo può aspirare a risolvere solamente quei problemi che gli è consentito dallo sviluppo della società in quel particolare momento.
    Per esempio, l’uomo medievale non avrebbe potuto risolvere, ma neanche porsi, il problema di realizzare un viaggio di lunga distanza in aereo: per prima cosa non possedeva le conoscenze tecnico-scientifiche riguardo alle leggi della gravità e del moto, che gli avrebbero consentito di affrontare tale problema; inoltre, quella società non aveva raggiunto quel livello di sviluppo delle forze produttive e della tecnologia che gli avrebbe permesso di realizzarlo. Era una semplice fantasia, che si risolveva attraverso un tappeto volante nelle leggende millenarie da mille e una notte.
    Questo stesso principio, guardato alla luce di quella che attualmente si conosce come la “Teoria della Risoluzione del Conflitto”, e proiettato sulla realtà sociale nota come il conflitto colombiano, mi permette di affermare che la classe politica e dirigente dell’attuale società colombiana, tenuta a galla dai teorici funzionalisti pro-statunitensi, ha sviluppato nella pratica -e nel corso di questi ultimi 55 anni- tre strategie militari: gestione, trasformazione e sterminio.

    Queste, invece di condurre la situazione conflittuale vissuta in Colombia verso una maturazione concettuale e materiale capace di trovare una soluzione, l’hanno deviata verso i suoi sfiancamento e perpetuazione, mettendo in grave pericolo la possibilità del Paese di esistere come tale.

    Durante le prime fasi e la nascita dell’attuale conflitto armato colombiano, la classe dirigente e dominante, confidando semplicemente nella potenza del proprio armamento (donato interamente dal governo degli Stati Uniti), si limitó ad “amministrare il conflitto” traendone benefici di ogni sorta con la scusa della salvaguardia dell’Ordine Pubblico. Mi riferisco alle amministrazioni presidenziali degli spaventosi bombardamenti, dei campi di concentramento e degli assedi militari contro le cosiddette “regioni comuniste”, implementati a partire dal 1954 dalla dittatura di Rojas Pinilla,

    dalla Giunta Militare liberal-conservatrice e da Alberto Lleras, passando per l’operativo Laso nella regione di Marquetalia ad opera dell’amministrazione del Presidente Guillermo Valencia. Tutto ciò sfociò 13 anni dopo, durante la presidenza di Lleras Restrepo, in un’ascesa della lotta guerrigliera e nell’apparizione di altri gruppi armati, i quali si cercò di “controllare” con operazioni clandestine “controguerrigliere” molto poco conosciute e non sottoposte a dibattito pubblico alcuno.
    Successivamente, nel 1970, avvenne il famoso broglio elettorale ad opera di Pastrana Borrero seguito dalla nascita del M-19, un altro movimento guerrigliero caratterizzato da colpi ad effetto fondamentalmente urbani e dalle più diverse origini ideologiche e di classe (ex militari del periodo di Rojas Pinilla, militanti peronisti, disertori delle FARC, nazionalisti illuminati, socialdemocratici e molto probabilmente anche vari infiltrati dell’esercito ufficiale), tanto da farlo definire, da uno dei suoi fondatori, un “minestrone” alla colombiana. Esso portò l’allora presidente Pastrana, con il sostegno del Pentagono, ad affrontare la situazione utilizzando gli efficienti metodi di tortura impiegati dalle dittature del Cono Sud, con la nascita di quello che durante la seguente amministrazione di Turbay Ayala e l’ascesa dei narcotrafficanti come classe sociale, fu conosciuto come lo “Statuto di Sicurezza Nazionale”. Indubbiamente, tutto andò avanti gestito e sotto controllo.
    Con questi sviluppi teorico-pratici su piano militare e nell’amministrazione del conflitto, si giunse nel 1982 alla presidenza di Belisario Betancourt, alla tregua con le FARC ed alla nascita dell’Unión Patriótica, allo strano risentimento del conflitto con l’M-19, all’oscura “presa” del palazzo di Giustizia nel 1985 ed al conseguente passaggio alla seconda fase della strategia prevista dalla “Teoria della Risoluzione del Conflitto”: la sua trasformazione in “conflitto interno di bassa intensità”, finalizzato ad impedire con ogni mezzo un’eventuale “presa del potere da parte dei comunisti e dei loro alleati”. I risultati che sono sotto gli occhi di tutti: la nascita della Strategia paramilitare dello Stato, lo sterminio dell’Unión Patriótica e lo smantellamento calcolato dell’M-19. Ancora niente da risolvere, né di cui allarmarsi. Come disse in quella situazione l’allora ex presidente Pastrana Borrero: “Come andiamo, andiamo bene!”
    La lumpen-borghesia latifondista, nata dal narcotraffico e dalla controriforma agraria pattata a Chicoral ed alleata col militarismo, giunse al suo pieno sviluppo durante la presidenza dell’ “assente” Barco Vargas, e con un sufficiente potere locale e regionale nelle proprie mani affrontó il successivo presidente Cesar Gaviria; questi, per raggiungere una nuova governabilità, sigló un patto tripartito del silenzio tra l’M-19, il partito liberale e quello conservatore al fine di proclamare nel 1991 una Costituzione neoliberista ed aperturista, che i businness globali del riciclaggio di denaro esigevano. Il conflitto, modificato con un bersaglio militare scelto nell’ambito del patto tripartito stesso, subì un’escalation con il simbolico bombardamento a Casa Verde (l’allora quartier generale del Segretariato delle FARC, N.d.T.). Fu ottenuta una momentanea stabilità senza la necessità di attuare alcuna delle riforme chieste dalle guerriglie. Tutto era sotto controllo.
    Il narcotraffico aveva prosperato tanto da avere già due potenti cartelli: quello di Medellín e quello di Cali, che facevano affari con svariati sotto-cartelli e che, nel perfetto stile mafioso, si disputavano tutti gli spazi di mercato. Quello di Cali riuscì ad infiltrare e controllare il Partito Liberale, portando alla presidenza Ernesto Samper, mentre quello di Medellín passò sotto il controllo del vincitore Carlos Castaño, capo del gruppo paramilitare Los Pepes, alleati con la DEA e con i militari. A quel punto il conflitto passò ad una terza strategia, che è vigente già da dodici anni e che fu lanciata dalla Segretaria di Stato dell’amministrazione Clinton, Madeleine Albrigth, come “strategia del bastone e della carota”; che però, in Colombia, é diventata la pratica mafiosa di risolvere le questioni con lo “sterminio dell’avversario!” Esattamente come rammenta per l’ennesima volta (il 28/02/2009) il presidente Uribe Vélez: “Signori generali e colonnelli, Don Mario, el Yiyo, el Nito, lo zio Pacho, il Paisa e quello che rimane della guerriglia li andremo a cacciare perfino nei loro rifugi nello spazio, affinché non ne rimanga uno solo, neanche uno”. Come se tutti i colombiani non conoscessero l’esatta posizione di questa Terra, dove si sta combattendo.
    E così, a partire dal 1997 si ebbero quattro anni di “carota” del presidente Pastrana figlio, che permisero alla classe dominante di riprendere fiato, riarmarsi e cercare di vincere il conflitto senza risolvere nessuna delle cause che ne stanno alla base, seguendo alla lettera il copione descritto nel “best seller” del professore Roger Fisher sulla “Teoria della Risoluzione del Conflitto”, intitolato “Come negoziare senza cedere” ed edito non a caso dalla casa editrice colombiana Norma.
    Ovviamente, la perfidia presidenziale risultò palese e l’opportunità di risolvere realmente il conflitto svanì. A quel punto la strategia fu modificata e si passò alla fase del “bastone”, che è toccato al presidente Uribe Vélez portare avanti ossequiosamente negli ultimi sette anni, secondo la dottrina adottata in Irak da parte del Segretario di Stato del governo Bush, D. Rumsfield: “ Il numero pubblicato dei nostri caduti deve essere zero”. Per fare ciò Uribe ha fatto ricorso a tutto il potere a disposizione dello Stato colombiano, totalmente ripotenziato dagli Stati Uniti.
    Così, nel bel mezzo dello spesso ed ubriacante fumo che spargono quotidianamente gli incensori mass-mediatici e di propaganda del regime, i quali raccontano di “impressionanti e straordinari risultati strategici”, vengono diffusi solamente i dati che riguardano le perdite dei nemici guerriglieri (dimenticandosi che anche loro sono colombiani), al fine di convincere la società che la guerriglia sta per essere sterminata, o che ne rimangono solo alcuni residui nascosti in luoghi remoti, seppur facendo attenzione a chiedere un’altra proroga per giungere al suo sterminio totale: altri quattro anni di “Sicurezza Democratica”.
    Ma alla fine ha sempre la meglio la realtà, quella vera e non quella virtuale (creata dalla propaganda), che viene a smentire le menzogne. Non si tratta solamente di ciò che afferma l’uomo politico ex governatore del gigantesco dipartimento orientale del Meta, Alan Jara, recentemente liberato dalle FARC dopo aver trascorso con loro gli ultimi sei anni, tanto quanto le spaventose statistiche riguardo al numero di militari caduti, totalmente ignorata ed occultata dalle organizzazioni umanitarie e che è stata recentemente pubblicata sulla pagina web delle FARC (http://www.frentean.col.nu/) come “bollettini di guerra del 2009”: oltre alle azioni del 9 febbraio a Cali e del Agrado a Piendamó, il Fronte Orientale di questa guerriglia riconosce che, solamente durante lo scorso mese di gennaio in questa parte del Paese, si sono svolte 91 azioni con campi minati, 25 combattimenti di lunga durata, 150 scontri armati ed 1 imboscata, mentre 2 elicotteri sono stati danneggiati, 6 guerriglieri sono morti e 7 sono rimasti feriti. Senza dimenticare la raccapricciante cifra di 120 militari morti e 182 feriti, per un totale di 302 membri della Forza Pubblica della Colombia messi fuori combattimento nel suddetto mese; cifra che, se fosse confermata, significherebbe una media di 10 militari caduti giornalmente in combattimento. Tale dato costituirebbe un allarme gravissimo, che non credo gli analisti colombiani di questioni strategiche abbiano colto; dato che indicherebbe che in un conflitto di lunga durata come quello colombiano la guerriglia è ben lungi dall’essere stata sterminata o sul punto di esserlo. Al contrario, dimostra come sia riuscita a sopravvivere pur nel mezzo delle difficoltà e, ciò che è peggio, mantenersi attiva. Ogni giorno che passa riscuote una nuova vittoria.
    La percezione sociale del conflitto armato colombiano, nonostante i fiumi d’inchiostro versati per farne una diagnosi e la relativa presa di coscienza di alcune menti -purtroppo ancora marginali- più lucide, non è ancora sufficientemente maturata del tutto per giungere ad una soluzione politica. Il militarismo della classe dirigente colombiana continua a vederlo come un’azione legale di sterminio militare, contro quello che chiama il “narco-terrorismo all’angolo e sul punto di essere sterminato”; azione destinata ad imporre un molto discutibile “monopolio legale e legittimo delle armi”, mentre ubriaca l’opinione pubblica con la propaganda di un irreale trionfalismo mediatico e nasconde l’oscuro precipizio al bordo del quale ci troviamo, creando l’impressione mediatica, in Colombia e fuori, che tutto va ed andrà avanti in futuro sotto controllo.
    E’ per tutto ciò finora descritto che mi riallaccio al paragrafo iniziale di questo scritto: l’uomo può risolvere solamente quei problemi che lo sviluppo della società, in quel momento, gli consente. Aggiungo che la società colombiana non possiede al momento i necessari elementi tecnico-scientifici, né le forze produttive e tecnologiche e sovra-strutturali o di coscienza sociale che le permettano di avvistare una pronta soluzione al sanguinoso conflitto, che la lacera. E perché, concludendo e completando il concetto, la chiave di volta di questo conflitto risiede nel Pentagono statunitense.

    http://coordinamentobolivariano.org/

    www.nuovacolombia.net

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