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(5 Ottobre 2010)
anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa
Al 30 settembre, il debito pubblico statunitense ha raggiunto l’ennesimo massimo storico, arrivando a 13.561,62 miliardi di dollari. Barack Obama, dal giorno dell’insediamento, il 20/01/2009 al 30 settembre ha totalizzato 618 giorni di presidenza. In così poco tempo è riuscito a far aumentare il debito pubblico statunitense di 2.934,75 miliardi, ossia esattamente il 60% del debito accumulato dal suo predecessore George Bush nei suoi 2.922 giorni (8 anni) di presidenza. Al ritmo attuale di crescita del debito statunitense di 4,75 miliardi al giorno, entro il novembre del 2011 e quindi in soli 2 anni e 10 mesi di presidenza l’attuale presidente avrà accumulato lo stesso debito di Bush nei suoi 8 anni di governo, ossia 4.899 miliardi. Il debito USA è destinato a crescere sia per il fatto che lo stesso bilancio di previsione dell’anno in corso, approvato dal Parlamento USA lo scorso 12 febbraio prevede un limite del debito a 14.294 miliardi, sia peri l fatto che l’accentuarsi della crisi economica sta determinato una forte riduzione delle entrate fiscali, sia per il forte aumento degli investimenti all’estero, oltre 3.500 miliardi di dollari alla data del 31/12/2009, ultimo dato pubblicato dal BEA.
Il 30 settembre è anche la data di chiusura dell’anno fiscale statunitense ed anche quest’anno si è chiuso con un forte deficit, pari al 13,87%, in diminuzione rispetto al 18,80% dell’anno scorso, ma superiore all’11.29% di due anni fa. Per avere un termine di paragone, basta dire che i paesi della Unione Europea (sulla carta) non possono sfondare il 3%; ossia gli USA, che da anni hanno un deficit superiore a quello della Grecia mai e mai poi sarebbero rientrati nei parametri imposti da Maastricht ai paesi dell’Unione Europea.
Fra qualche giorno, quando il dipartimento del debito pubblico pubblicherà dati dettagliati del debito, torneremo sull’argomento per parlare dei tempi di scadenza del debito. In questo caso il discorso si fa piu complesso e drammatico, perchè avere migliaia di miliardi di dollari in scadenza in tempi ristrettissimi (6 mesi) imporrà l’affannosa ricerca sul mercato mondiale di somme che se non trovate (ed è impossibile da riuscire a reperire, considerata l’enorme quantità) determineranno scelte molto drastiche da parte dell’Amministrazione Obama. Per il momento il deficit pubblico è pagato, in parte, dai governi dei paesi occidentali che nell’ultimo anno sono intervenuti massivamente in socorso degli USA, sotto forma di acquisto di buoni del debito pubblico. A tal fine rimandiamo alla tabella del Dipartimento del Tesoro USA, all’URL http://www.treas.gov/tic/mfh.txt, che mostra per ogni paese la quota di buoni del tesoro USA posseduti. Si nota chiaramente che alla riduzione della Cina (-100 miliardi nell’ultimo anno), fanno da contrappeso i paesi occidentali, che stanno concorrendo all’acquisto massiccio di Titoli USA; ovviamente i governi stanno riversando i conti sui rispettivi popoli, sotto forma di innalzamento delle tasse e riduzione delle spese sociali. Clamoroso il caso del governo inglese che al proprio popolo sta imponendo una manovra da 300 miliardi, per via della crisi – questa la giustificazione - e contemporaneamente ha aumentato il possesso di titoli del debito pubblico Usa di ben 277,2 miliardi nell’ultimo anno, arrivando a detenere oltre 374 miliardi. Lo stesso sta passando in tutti i paesi occidentali, sia pure in misura inferiore rispetto al Regno Unito, Italia compresa che possiede titoli USA per oltre 20 miliardi di dollari.
La crisi negli USA è dunque destinata a peggiorare e fortemente nei prossimi mesi. Chi vive in Venezuela ed ha la fortuna di vedere la pubblicità che passa una piccola televisione come Globovision sa perfettamente la situazione statunitense. Infatti, attraverso la pubblicità di questo canale costruttori statunitensi stanno cercando di vendere immobili costruiti in Florida ai venezuelani e come recita la pubblicità “i venezuelani ora possono acquistare l’immobile negli USA, direttamente in Venezuela e pagando comodamente in Bolivar”. E’ il tentativo estremo, da un lato di vendere immobili a persone che hanno il potere acquisitivo che gli statunitensi ormai non hanno e dall’altro direttamente in Bolivar, per potersi riempire le tasche non di dollari, che ormai tutti sanno essere moneta in via di crollo, ma in una petromoneta, la moneta della più grande riserva petrolifera del mondo (come si accingono a dichiarare prossimamente le imprese internazionali che stanno lavorando alla certificazione delle effettive riserve petrolifere del Venezuela), destinata a rivalutarsi.
Il dollaro. La moneta USA sembra abbia già iniziato la sua caduta; al momento in cui scriviamo è quotato 1,3791; solamente pochi mesi fa, a fine giugno era a 1,19, al 13 settembre era quotato 1,26; nelle ultime due settimane, dunque, ha perso oltre il 10%. Sono i primi segnali dell’inizio del suo crollo? Prossimamente la Federal Reserve stamperà, ossia immetterà sul mercato, altri dollari creati dal nulla per sostenere le grandi multinazionali statunitensi, soprattutto finanziare, che non possono fallire. Le conseguenze sono ben prevedibili.
Nel grafico riportiamo una nostra analisi, basata su dati FED, della quantità di dollari in circolazione in USA, alla fine di ogni anno dal 1959 al 2009 ed aggiungendo l’ultimo dato pubblicato al 22/09/2010.
Come si vede, ancora nel 2007 erano in circolazione 800 miliardi di dollari, saliti poi a 2.000 e destinati a salire ancora e fortemente fra poco, per poter finanziare le imprese in affanno e pagare le rate del debito in scadenza.
L’oro. L’oro continua ad apprezzarsi ed oggi ha toccato il nuovo massimo staorico a 1.320 dollari l’oncia. Per quanto riguarda l’oro, sappiamo perfettamente le quotazione che ha avuto questo metallo negli ultimi 2.000 anni, ad esempio di come si è apprezzato durante la caduta dell’impero romano. Oggi, in questi anni di decadimento del sistema attuale, assimilabile precisamente alla caduta dell’impero romano, l’oro è tornato ad apprezzarsi. Dal 1971 ad oggi il metallo giallo è passato da 40 dollari ai 1.320 di oggi ed è una quotazione ancora molto, ma molto lontana dalle previsioni che fanno i massimi esperti del settore.
1 ottobre 2010
Attilio Folliero - Cecilia Laya
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