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Se ero tibetano...

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(14 Agosto 2012) Enzo Apicella

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    La chiusura dei cantieri navali di trieste nel 1966. la rivolta della citta'. il tradimento di uil e cisl conniventi con il governo di centro destra

    (7 Ottobre 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comunistiuniti.it

    Trieste, 8 ottobre 1966, per non dimenticare e imparare

    La storia dell’insurrezione cittadina in difesa dei cantieri navali. La seconda domenica di ottobre saranno passati esattamente quarantaquattro anni. Non una parola in questi anni è stata spesa per quel ricordo, se non il 10 ottobre del 2006 quando, alla Casa del Popolo di Borgo S.Sergio, Cremaschi aveva affermato che il concetto di battaglia contrattuale per l' aumento dei salari era (è) stato cancellato dalla legittimità sociale, come quello di lotta per la difesa del posto di lavoro. E' tutto diventato molto soft, i dirigenti della CGIL si sono ormai trasformati in apostoli della concertazione generale.

    Si vuole cancellare dalla storia del sindacato anche la memoria delle sacrosante lotte della FIOM contro lo sfruttamento padronale, come hanno fatto i diessini, oggi PD, negando la storia passata del vecchio PCI.

    La giornata di lotta dell'otto ottobre è rimasta impressa in caratteri di fuoco nella memoria dei tanti compagni di Trieste, soprattutto di coloro che lavoravano e combattevano per mantenere il lavoro nei cantieri navali della città Giuliana.

    Le lotte per i cantieri navali erano cominciate già nel 1964, e terminarono appena nel 1978.“ Operai alla riscossa, sventolando la bandiera rossa, tornano in piazza come ieri per difendere i cantieri “ cantavano con rime zoppicanti quelli del “ Canzoniere Triestino“, gruppo folk locale nato all’ombra del vecchio PCI.

    Sembra che siano passati dei secoli da quella mattina dell’8 ottobre 1966, - racconta Gianni Ursini - quando sono sceso per strada ad ore antelucane ed ho visto passare giù per la via Caprin una marea di operai in tuta blu, tra i quali ho riconosciuto mio padre. Il silenzio era impressionante, si sentiva solo lo scalpiccio di centinaia di piedi. La lotta andava avanti già da alcune settimane, da
    quando il CIPE ( Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) aveva decretato la morte del Cantiere S.Marco e della Fabbrica Macchine.


    Il fuoco alle polveri fu dato da centinaia di manifesti del PCI affissi nel rione di S.Giacomo che chiamavano gli operai all'insurrezione. Il corteo sfilò anche in via Battisti sotto le finestre dell' Istituto Tecnico Industriale Statale Alessando Volta, ma nessuno degli studenti uscì in strada: il 1968 non era ancora arrivato.

    La situazione diventò brutta prima in piazza della Borsa, dove un gionalista del quotidiano "Il Piccolo" fu picchiato, e poi in via Giacinto Gallina, dove i celerini si erano schierati in massa in difesa del palazzo della Democrazia Cristiana situato in piazza S.Giovanni. Fu lì che comiciarono le prime cariche, che si estesero verso la parte nord della città, a cominciare da Largo Barriera Vecchia, poi su fino al rione di S.Giacomo. Furono erette numerose barricate, alcune con le pietre del muretto di via Molino a Vento che in quell'occasione fu demolito quasi completamente. Per tutto il giorno e tutta la notte l'aria fu satura di gas lacrimogeni. Non si respirava.

    Quel giorno ho scoperto per la prima volta la gioia dell’azione rivoluzionaria. Altro che “ Barcolana “ ! Nel corso di quella giornata mi sono trovato ad urlare con entusiasmo e rabbia, lanciando tutto quello che mi passava per le mani contro la polizia e i carabinieri accorsi in massa per reprimere la lotta degli operai dei cantieri.

    L’insurrezione fu spaventosa, come pure la reazione delle forze dell’ordine. Vi furono più di 600 fermi e 300 arresti, con parecchie decine di feriti, e fu un vero miracolo se non ci scappò il morto. Purtroppo fu devastata anche la sede delle ACLI di S.Giacono, e questo fatto fu utilizzato dalla forze della reazione, a cominciare dal quotidiano "Il Piccolo", che successivamente diedero fiato alle trombe per descrivere gli operai come vandali e delinquenti.

    In due giorni finì tutto, e nelle strade deserte rimase solo il prof. Diego De Enriquez a raccogliere i
    bossoli delle bombe lacrimogene.

    Avevo solo 19 anni, - spiega Gianni Ursini - ma quella fu la giornata culminante di tutta la mia vita. Non mi sono mai più sentito tanto vivo e vitale come allora, e tutta la mia esistenza successiva è stata solamente un lento percorso in discesa.

    E così è stato per la città di Trieste: il 10 di ottobre del 1966 i sindacati confederali di categoria della Cisl e della Uil si accordarono con l'allora ministro del Lavoro, Pieraccini, e promettendo la salvaguardia dei posti di lavoro ( promessa che come al solito non venne mantenuta) invitarono i lavoratori della cantieristica navale a sospendere lo sciopero. Termina così con l'ennesima bufala la grande insurrezione di Trieste, eliminando i cantieri navali il governo italiano di allora distrusse l’anima della città giuliana, con l’assenso delle forze reazionarie e con l'appoggio ipocrita di quasi tutti i partiti e sindacati, di destra e di sinistra, con l'unica eccezione del PCI, della CGIL di allora
    e del Movimento Indipendentista.

    Ora – termina Ursini - ci sono rimaste solo le manifestazioni pubbliche e spettacolari come la regata “ Barcolana “, che fanno parte della nota politica del “ panem et circenses “ con la quale le
    pubbliche amministrazioni intendono tenere buona la popolazione locale. La nostra ridente necropoli ormai è diventata una tranquilla città di pensionati che si recano sul ciglione carsico a battere le mani allo spettacolo della vele al vento, dimenticando per un po’ i loro eterni brontolamenti.


    E noi ci chiediamo cosa rimarrà, tra qualche anno, dei cantieri navali, oggi Fincantieri, di Sestri Ponente a Genova, di Monfalcone, di Palermo, di Castellamare di Stabia a Napoli, di Muggiano a La Spezia, di Ancona, e soprattutto cosa rimarrà degli abitanti di queste città, lavoratori senza più lavoro se cederanno alla violenza ed all' arroganza dei padroni.
    Lucia Fano

    www.comunistiuniti.it

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