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(18 Novembre 2008) Enzo Apicella

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L'andamento dei salari chiama in causa il sindacato e l'opposizione

(8 Ottobre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

La scorsa settimana l'Ires, l'Istituto di ricerche della Cgil, ha presentato un rapporto sull'andamento dei salari dei lavoratori dipendenti riferito agli ultimi dieci anni e sulle conseguenze della crisi nei confronti dell'occupazione in generale e di quella giovanile in particolare

I quotidiani che ho avuto occasione di leggere hanno riportato le notizie sullo studio della Cgil evidenziando, soprattutto, la forte perdita del potere d'acquisto e, in alcuni casi, il crescente divario nei redditi tra dipendenti, professionisti e imprenditori.
Nella fogliazione però la notizia si trovava piuttosto avanti. Ad esempio, alla 25 esima pagina su "la Repubblica" e alla 29 esima su "La Stampa". Mentre le prime pagine erano occupate dalla querelle tra Berlusconi e Fini e si concentravano sulla effettiva proprietà della casa di Montecarlo, fornita o meno di cucina Scavolini.
Salvo lodevoli eccezioni poco rilievo veniva dato ai numeri della disoccupazione e alla crescente disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza. Per questo vorrei partire da qui. Dal dramma sociale che vivono in maniera inaspettata e senza alcun aiuto molte famiglie. E il fenomeno - come ha bene documentato la puntata di "Presa diretta" dell'ottimo Iacona domenica sera - ormai riguarda anche la parte ricca del Paese. La crisi e la chiusura delle aziende che coinvolge, ad esempio, sia il distretto della ceramica di Reggio Emilia che le difficoltà a fare i conti con la riduzione delle commesse delle imprese artigiane di Cinisello in Lombardia.

Le quali ultime sono tentate a trasferire l'attività dalle promesse agevolazioni della vicina Svizzera. E tutto questo mentre da cinque mesi il governo è senza il Ministro dell'Industria e non vi è traccia di alcuna idea e proposta seria di politica industriale. Per offrire soluzioni alle migliaia di imprese colpite dalla crisi e che rappresentano, nei diversi settori, una parte decisiva del nostro tessuto industriale.

L'Occupazione in crisi

- Dall'inizio della crisi al secondo trimestre 2010 nel nostro Paese sono stati persi oltre un milione di posti di lavoro.
- il tasso di disoccupazione 2010 nel II trimestre è arrivato all'8,5%, pari a circa 2 milioni e 136mila persone. Le persone senza lavoro in Italia sono arrivate quasi a 15 milioni.
- Nella fase di picco della crisi, il III trim 2009, dei 508mila posti di lavoro persi, circa 220mila erano a tempo determinato e, per la prima volta dal 1999, 110mila a tempo indeterminato.
- Le lavoratrici e i lavoratori coinvolti dalla Cassa Integrazione sono oltre un milione e 200mila, pari a 650mila inattivi con una perdita di salario uguale a 4.900 euro all'anno). Le imprese coinvolte
nella crisi sono oggi oltre 5.000 con oltre 180 tavoli di trattativa aperti per oltre 400mila lavoratori. - Se consideriamo tra gli inoccupati anche gli scoraggiati (circa 300mila nuovi inattivi, soprattutto al Sud) il tasso di disoccupazione reale arriva all'11% e al 12% con i lavoratori in CIG.
- Il tasso di disoccupazione reale si prevede tornerà ai livelli precedenti la crisi solo nel 2017.

L'Occupazione giovanile in crisi

- La disoccupazione giovanile ha raggiunto il picco del 28,2% a febbraio 2010 e nel II trimestre si è attestata al 27,9%. La media europea nell'anno 2009 è del 19,8%. Nel Mezzogiorno l'indice arriva al 39,3%. In Italia, secondo il CNEL, nel 2009 sono stati oltre 450mila i posti di lavoro persi da parte dei giovani compresi tra i 16 e i 24 anni.
- Secondo l'Istat nel 2009, poco più di due milioni di giovani non lavora e non frequenta nessun corso di studi. Rappresentano il 21,2% della popolazione tra i 15 e i 29 anni. Sono i cosiddetti Neet
(Not in education, employment or training).
- Per quanto riguarda coloro che sono fortunatamente impiegati, il 30% della popolazione 18-29enne svolge un lavoro atipico ed è in questo segmento che si è concentrato il calo maggiore dell'occupazione: se, per ogni 100 giovani occupati nel primo trimestre 2008, a distanza di un anno,
15 sono transitati nella condizione di non occupato (erano 10 un anno prima), tra i giovani collaboratori questa percentuale sale a 27.

Lavoratori dipendenti e pensionati pagano più tasse

Vediamo adesso come, in periodo di crisi, cresce la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza. Secondo l'ultima Indagine di Banca d'Italia sui redditi delle famiglie italiane, il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane. La qualcosa sta a significare che 2.380.000 famiglie possiedono ognuna mediamente 1.547.750 euro. Così come il 50% della popolazione - la metà più povera - possiede solo il 9,8% della ricchezza netta complessiva: ovvero 11.908.000 famiglie posseggono mediamente 68.171 euro. La distanza tra la ricchezza netta media (137.956 euro) e la ricchezza netta mediana (di quel 50% più povere, cioè 68.171 euro) evidenzia l'iniquità della distribuzione.
In questa situazione di crescente diseguaglianza tra le famiglie l'elemento che più evidenzia l'ingiustizia della situazione italiana si ricava dall'andamento della dichiarazione dei redditi. Qui il riferimento più recente riguarda il 2008
I redditi maggiormente dichiarati sono quelli da lavoro dipendente e da pensione, sia in termini di frequenza (86%) che di ammontare (78%). Seguono i redditi da partecipazione (5,47%), i redditi d'impresa (5,03%) e i redditi da lavoro autonomo (4,20%).
Il 27% dei contribuenti (11 milioni) paga zero IRPEF al fisco (quota esente). Il 50,86% dei contribuenti dichiara meno di 15.000 euro l'anno e il 40,04% dichiara redditi tra 15.000 e 35.000 euro. E solo lo 0,9% dei contribuenti dichiara redditi superiori ai 100.000 euro annui.
In totale il 90,90% (oltre 37 milioni di contribuenti) dichiara meno di 35.000 euro.
Il reddito medio dei lavoratori dipendenti è pari a 19.280 euro e quello dei pensionati è di 13.440 euro. Oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne.

La perdita dei salari

I conti, infine, sulle buste paga lasciano poco spazio ai dubbi: fra il 2000 e il 2010 i lavoratori italiani hanno perso 5.453 euro in potere d'acquisto. Per una parte dovuta all'inflazione che è stata più alta di quanto previsto e conteggiato nel rinnovo dei contratti di lavoro (3.384 euro), e la rimanente legata alla mancata restituzione del "fiscal drag". Duemila euro a lavoratore versati in più per effetto del progressivo aumento delle aliquote sui redditi per effetto dell'aumento del costo della vita. In totale, nei dieci anni presi a riferimento dalla ricerca dell'Ires, la perdita del potere di acquisto della somma di tutte le retribuzioni ha raggiunto la quota di 44 miliardi: il valore di un paio di leggi Finanziarie. Soldi che sono stati sottratti alle famiglie, hanno diminuito la domanda interna, ridotto i consumi e alimentato la crisi.
Ma la crisi non ha avuto per tutti le stesse conseguenze. Se negli ultimi otto anni operai e impiegati hanno mediamente accumulato una perdita di reddito reale di 3.118 euro, imprenditori e liberi professionisti hanno visto aumentare considerevolmente le loro disponibilità e i profitti delle grandi imprese industriali negli ultimi anni sono cresciuti del 75,4%.

Di fronte a questa incontestabile situazione, la urgente necessità di ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro e sulle pensioni si impone come la priorità per tutto il sindacato e tutte le forze progressiste del Paese. Abbandonando divisioni e polemiche strumentali. E, in particolare per la sinistra, questo rappresenta il terreno sul quale è chiamata a dimostrare ai cittadini, di fronte ai disastri del governo e al declino del berlusconismo, capacità, impegno e determinazione nel costruire una credibile proposta alternativa capace di affrontare la crisi riducendo le intollerabili disuguaglianze oggi presenti.

Un fisco che, oltre a combattere l'enorme evasione, aumenti la tassazione sulle rendite, come avviene nelle altre nazioni europee, e colpisca le grandi ricchezze, non rappresenta solo un fattore di giustizia, ma un elemento fondamentale per la competitività del sistema Paese. Che vede, non a caso, l'Italia in coda nella spesa, sia da parte delle imprese che dello Stato, per la Ricerca l'Innovazione e lo Sviluppo. Elementi fondamentali per contrastare la crisi e mantenere competitivo il complesso delle attività economiche e produttive.

7 ottobre 2010

Renzo Penna

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