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Herla, un anno senza stipendio. 42 donne sul tetto del call center

(9 Ottobre 2010)

Tensione alle stelle, un’operatrice minaccia di tagliarsi le vene, altre incatenate ai cancelli Le dipendenti non vengono pagate dall’ottobre 2009: «Resteremo qui, vogliamo il dovuto»





Quando i lavoratori sentono di avere perso la voce, di non avere interlocutori, a volte l’unica possibilità che rimane loro per difendere diritti e dignità è quella di organizzare forme di lotta eclatanti e drammatiche. E’ successo in questi mesi che diversi operai siano saliti per proteste sulle gru o sui tetti delle proprie aziende. E succede anche ora. A Pomezia, a circa trenta chilometri da Roma, 42 donne sono salite sul tetto della Herla, un grosso call center che a pieno regime dava lavoro a oltre 500 persone. Altre si sono incatenate ai cancelli. Una di queste ieri ha minacciato di tagliarsi le vene. Queste donne, la gran parte madri di famiglia in un territorio provato dalla crisi economica, non ricevono lo stipendio da oltre un anno. E l’azienda ora si è resa latitante. «Non abbiamo più niente da perdere », dice Katia, 39 anni, che da giorni presidia l’azienda e si chiede «è normale in questo Paese lavorare e non essere mai pagati? Noi rimarremo sul tetto finché non riceveremo lo stipendio che ci devono da ottobre del 2009, i contributi arretrati e garanzie sul nostro futuro». Ma le operatrici (che fino a ieri rispondevano alle telefonate di quanti chiamano al servizio clienti di Virgilio, Teledue, Teletu, Telecom, Edison Energia) denunciano anche altro.
CONDIZIONI
«Dopo che abbiamo fatto presente la nostra condizione all’ispettorato del lavoro – racconta una di loro – stranamente alcune di noi sono state “invogliate” a passare dal contratto a tempo indeterminato a quello a progetto con la promessa di compensi più alti se avessero ritirato la denuncia o con frasi ingiuriose e denigratorie, ad altre ancora è stato imposto lo spostamento ad altra sede, pena il licenziamento, a quelli considerati meno efficienti sono state fatte pressioni inaudite per costringerli alle dimissioni». «Denuncerò l’azienda per mobbing, questo lavoro mi ha distrutta», Rosaria, 43 anni, è incatenata da ieri al cancello e ha intrapreso uno sciopero della fame, ma precisa, «non lo faccio per me ma per le mie colleghe con figli». «Purtroppo siamo di fronte all’ennesima situazione estrema che porta dei lavoratori a scegliere gesti drammatici per richiamare l’attenzione e chiedere il rispetto di un diritto», ha dichiarato l’assessore al lavoro della Provincia di Roma, Massimiliano Smeriglio che ha scritto alla proprietà per un incontro. Così come un incontro con il prefetto è stato sollecitato dal sindaco di Pomezia, Enrico De Fusco. La Herla, dal canto suo, dichiara di avere le casse vuote ma, nel corso dell’anno, non ha mai richiesto alcun ammortizzatore sociale. «Le lavoratrici sono esasperate – dice Gianni Leonetti della Cgil Pomezia – la tensione è al massimo, noi chiediamo all’azienda almeno un acconto per rasserenare il clima e per permetterci di affrontare più tranquillamente la vertenza che comincerà in Regione». Ma il consigliere regionale del Pd Tonino D’Annibale, che da giorni segue la vicenda, è scettico su un interessamento della Regione: «è un’indegna situazione creata da “sciacalli”, sono questi i problemi di cui si dovrebbero occupare il presidente Polverini e l’assessore al lavoro Mariella Zezzama saranno impegnate a fare altro visto che da tempo abbiamo chiesto di aprire un tavolo sulla questione e da parte loro c’è il silenzio assoluto

Luciana Cimino - l'Unità

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