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Il pappagallo

(8 Giugno 2010) Enzo Apicella

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    Kurdistan: osservatori italiani al processo kck

    I primi resoconti del «processo KCK» cominciato il 18 ottobre davanti all’Alta Corte penale di Diyarbakir contro 151 dei 1.925 esponenti della società civile curda e turca arrestati nel corso della operazione di polizia partita il 14 aprile 2009 e scattata in risposta alla vittoria del Partito della Società Democratica nelle elezioni amministrative.

    (21 Ottobre 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

    In collaborazione con il blog http://azadiya.blogspot.com

    Diyarbakir - PRIMO GIORNO

    Alle 8 del mattino andiamo verso il tribunale e subito, all’imbocco di quella strada, un blindato e un pulman carico di poliziotti fanno bella mostra di sé. Il palazzo di giustizia appare completamente transennato, con i poliziotti schierati a 2-3 metri l’uno dall’altro. Di fronte due camion cisterna e altri 4 pulman carichi di poliziotti.

    Alla sinistra due plotoni di militari in tenuta antisommossa e altri mezzi blindati. Sugli altri lati continua il cordone di sicurezza e tutti gli ingressi e gli spazi interni del tribunale sono presidiati da centinaia di altri poliziotti. Un migliaio di persone attendono pazientemente di vedere quello che succederà fin dalle prime battute e molti provano ad entrare nell’area del tribunale ma vengono respinti.

    Un dirigente del BDP chiama i primi osservatori che potranno entrare (a noi toccherà domani) mentre un elicottero militare sorvola l’area. E’ Medeni Kirici che fu anch’esso arrestato 4 anni fa a Bingöl e condannato ad un anno di carcere (che ha scontato) perché durante un comizio aveva menzionato Ocalan chiamandolo Mister, termine ritenuto troppo onorevole dagli inquirenti.

    Arrivano i pulman dei prigionieri. Dalle piccole aperture in alto, che non si possono chiamare finestrini date le misure, si vedono le mani alzate nel segno della V, il segno della resistenza. Altri blindati scortano i pulman e mentre questi vengono introdotti nella parte retrostante, i primi restano fuori minacciosi. Arrivano Selim Sadik ed entrambi parlamentari, già compagni di carcere di Leyla Zana, premio Sakarov per la pace. Poi arriva Demirtaþ, il presidente nazionale del BDP, e con lui la co-presidente Gültan Kisanak e altri dirigenti. Poi é la volta di Osman Baydemir, il sindaco di Diyarbakir, che arriva assieme a Leyla Zana. C’é anche Akin Birdal e Amit Geylani. E’ presente anche la ex “parlamentare europea” kurda eletta in Germania, Feleknas Uca.

    Dentro, il largo corridoio conterrà centinaia di persone tenute però bendistanti dalla sala dell’udienza. La polizia controlla che non vengano superati i limiti consentiti. Un poliziotto urla, senza megafono, le sue richieste d’ordine ma chi parla col vicino (e tutti lo fanno) urla a sua volta più forte per farsi sentire. Il risultato è una gran baraonda e in quel rumore si attende. Ma quella sala di un’ottantina di posti non può contenere tutti e i più restano fuori.

    All’esterno, intanto, si è radunata una folla di molte migliaia di persone che riempie la piazza davanti alla Municipalità posta a fianco del Tribunale, e invade anche la strada a due larghe corsie separate da larghe aiuole di prato e fiori. Ma slogans e canzoni sembrano dare molto fastidio, dato che la polizia, a questo punto, dà segno di volere intervenire. Infatti i poliziotti indossano i caschi e in pieno assetto d’attacco si schierano di fronte alla folla con un mezzo blindato dietro la prima fila. Decidiamo in fretta e ci precipitiamo nella nostra azione di interposizione pacifica rivolgendo il nostro striscione «Liberi tutti» verso i poliziotti che avanzavano e davanti ai primi manifestanti. Segue una lunga discussione con i loro dirigenti che insistono nel volerci allontanare mentre noi rispondiamo di non potere perchè siamo lì per la pace, per contribuire ad evitare incidenti. Sono minuti inteminabili ma alla fine la polizia desiste ed il blindato arretra. Quindi parte un lungo applauso e poi con i Kurdi si canta «Bella Ciao». Per ora si è vinto. Ma dopo un pò viene fatta richiesta di lasciare libero il traffico per consentire il passaggio delle ambulanze. In realtà la polizia aveva fatto avanzare le auto che all’imbocco della strada venivano prima dirottate in altre direzioni. In testa un pulmino che asserisce di dover andare verso un ospedale. La scusa è vecchia ma è sempre buona. E poi abbiamo già incassato un ottimo risultato. Decidono di lasciare libero il traffico in una corsia della strada e la folla si assiepa sui larghi marciapiedi, sulla piazza e sulla rimanente corsia. Così anche il comandante della polizia incasserà un risultato utile, pensiamo, e non perderà completamente la faccia con i suoi superiori. Si va avanti così e fra la gente, nel punto più interno, spuntano anche le bandiere con i simboli del PKK e il volto di Öcalan portato da applauditissimi ragazzi con il volto prudentemente coperto. Sembra tutto procedere nel migliore dei modi e la mobilitazione popolare appare vincente quando un’auto scura e di grossa cilindrata passa a velocità elevata sfiorando le persone che devono attraversare e stanno ai bordi della corsia libera. E’ però costretta a fermarsi al semaforo sucessivo, bloccato da altre auto in attesa del verde. Qui viene raggiunta da almeno cento, forse duecento persone, che in breve le provacano seri danni prima che riesca a fuggire. La provocazione scalda gli animi dei più giovani che tentano di occupare l’intera carreggiata, prima lasciata libera, sotto gli occhi minacciosi della polizia. I più grandi intervengono e i giovani vengono dissuasi.

    I più aggressivi fra i poliziotti fremono ma per questa volta restano senza vittime.

    La nostra presenza poco dopo (verso le 9,30) ha suscitato una dura reazione della polizia (abbigliata in tenuta antisommossa), che ci ha intimato di allontanarci, hanno abbassato le visiere degli elmetti e cominciato a spintonarci, a spingerci contro le transenne metalliche della strada, e, di fonte alla nostra resistenza, a stringerci ed ‘imbottigliarci’. Abbiamo risposto intonando, come ieri, “Bella Ciao”.

    Stamane, come ieri mattina, ci siamo recati di fronte al Tribunale con il grande striscione colorato (“Liberi tutti” in italiano, kurdo, turco e inglese), c’era moltissima popolazione kurda, ed anche una folta presenza di giornalisti di quotidiani, televisioni, radio.

    La nostra delegazione si è divisa in due gruppi: un gruppo è entrato nell’aula del tribunale, dove ha seguito direttamente lo svolgimento del processo; un altro gruppo è rimasto fuori, tra la gente; il presente comunicato si riferisce a tale secondo gruppo ed a quanto accaduto fuori del tribunale; un successivo comunicato esporrà dettagliatamente ciò che è successo dentro l’aula, qui anticipiamo solo che lo svolgimento odierno del processo ne fa una giornata di importanza ‘storica’.Il clima di fronte al tribunale era assai movimentato, con un forte spiegamento di polizia.

    Poi, come ieri, è arrivato il blindato della polizia che portava al processo i detenuti imputati, ma con una novità: infatti ieri essi avevano fatto il saluto kurdo con le dita a “V” sporgendo le dita fuori dei piccolissimi finestrini dei blindati, e le foto di questo loro saluto erano state pubblicate sulla prima pagina del quotidiano kurdo “Günkük”, suscitando una forte reazione emotiva; oggi, per evitare che ciò si ripetesse, i finestrini erano chiusi!

    La nostra presenza poco dopo (verso le 9,30) ha suscitato una dura reazione della polizia (abbigliata in tenuta antisommossa), che ci ha intimato di allontanarci, hanno abbassato le visiere degli elmetti e cominciato a spintonarci, a spingerci contro le transenne metalliche della strada, e, di fonte alla nostra resistenza, a stringerci ed ‘imbottigliarci’. Abbiamo risposto intonando, come ieri, “Bella Ciao”.

    Poi ci siamo trasferiti di fronte al Municipio, dove verso le 13 Antonio Olivieri ha letto in italiano un messaggio da parte della delegazione, rivolto alla popolazione di Diyarbakir, e che è poi stato immediatamente letto in turco da un kurdo.

    SECONDO GIORNO

    Secondo giorno di udienza e prime interessanti schermaglie da raccontare.

    Entriamo in aula e ci troviamo l’emiciclo pieno di detenuti circondati dalla gendarmeria armata. Gli avvocati sono sui due lati, su più file di piccole scrivanie. Il pubblico si trova di fronte al collegio dei Giudici coperti dai numerosi detenuti. Lo spazio per il pubblico, per i parenti e le delegazioni estere è molto ridotto in proporzione all’aula che è di circa 200 metri quadri.

    Tutti ci salutano e fanno cenno di aver capito chi siamo. La felicità dei detenuti, uomini e donne, è disarmante; sono contenti di vederci e per un attimo dimenticano di essere chiusi in carcere da 18 mesi, in condizioni di isolamento e costretti a difendersi da accuse tanto inesistenti quanto gravissime.

    La Corte di Assise, per niente popolare, perchè composta da tre giudici togati, è una Corte Speciale per reati di mafia e terrorismo e fino a pochi anni fa si fregiava anche di giudici militari. Il Pubblico ministero siede al loro fianco accompagnato da numerosi faldoni che formano gli atti di accusa. Oggi i giudici devono sciogliere la riserva su due richieste proposte dagli avvocati:

    -1- che gli imputati possano difendersi in lingua kurda, come previsto dai Trattati internazionali (art. 39 del Trattato di Losanna del 1923) che prevedono il diritto di difesa nella propria lingua madre;

    -2- che il capo di imputazione, composto da circa 7000 pagine possa essere ridotto a 900 pagine e permettere di svolgere il processo in tempi liberi.

    Un grande schermo permette di seguire anche ciò che avviene vicino alla Corte.

    Assistiamo all’appello degli imputati (103 detenuti e 48 liberi) e a quello degli avvocati (150, per lo più costituiti in collegio per tutti i detenuti).

    Poichè la maggior parte dei detenuti e delle detenute sono amministratori di Enti Locali (Comuni e Province del Kurdistan) e sono Sindaci di città che svolgono attività politica da molti anni, i loro volti sono sereni e per niente intimiditi dall’apparato poliziesco che li circonda; le donne sono fiere e guardano gli uomini dritto negli occhi e, se si girano verso il pubblico, sorridono dolcemente, quasi ringraziandoci della presenza; un velo copre i loro occhi solo quando volgono lo sguardo verso i familiari che sono giunti da tutti i centri del Kurdistan, dopo averli seguiti in tutte le carceri della Turchia, quelle speciali, con misure di sicurezza differenziate da quelle degli altri detenuti. La Corte rifiuta entrambe le richieste proposte dalla Difesa e decide di procedere nella identificazione degli imputati. Gli Avvocati lamentano che i

    loro avvocati-praticanti di studio non sono stati autorizzati ad entrare in aula. La Corte ribadisce il divieto senza motivare.

    Si procede all’identificazione di ciascun imputato ma, appena questi cominciano a dire il proprio nome e indirizzo in Kurdo, vengono interrotti dal Presidente che preferisce leggere lui stesso, nome e cognome, pretendendo solo un sì o uno no. La risposta è sempre in Kurdo. Gli imputati non accettano il divieto di parlare in Kurdo e cominciano a parlare la loro lingua. Il pubblico sorride rumorosamente, ma i giudici imperterriti continuano a leggere in turco e gli imputati a rispondere in Kurdo. Un imputato si giustifica per non poter parlare in Kurdo, perchè esiliato e quindi a conoscenza della sola lingua turca. Fuori dall’edificio del Tribunale le delegazioni continuano a manifestare la loro solidarietà con canti e danze che ricordano la vita dei partigiani in montagna e invitano a partecipare alla lotta per la liberazione del popolo kurdo. Gli imputati si esprimono nelle varie espressioni del Kurdo moderno a seconda delle zone di provenienza. In questo modo continuano a rispondere ed essere interrogati dal Presidente, il quale, con costanza, legge le loro generalità in turco.

    Ormai si tratta di una farsa che travolge la Corte e rende “nudo” il Tribunale e le sue leggi che impongono regole inutili e ridicole. E’ una prima vittoria per il Collegio di Difesa degli imputati, che hanno imposto la propria lingua nonostante i divieti e le ipocrisie di un Governo che nella Costituzione ha autorizzato l’uso della lingua kurda, ma di fatto, la vieta a proprio piacimento.

    Mai più un Kurdo parlerà in turco nei Tribunali, dove si accusa un popolo per la propria appartenenza etnica.

    Questo processo segna una svolta storica nella strategia di liberazione del popolo kurdo. Vediamo alternarsi davanti ai Giudici, i Sindaci dei paesi che sono stati privati di intere amministrazioni liberamente elette dai cittadini. Fra questi il Sindaco di Sirnak, il Sindaco di Batman, di Erzani, di Urfa, quello di Kiziltepe (Mardin), poi ancora il Sindaco di Viransceve (Urfa), la Sindaca di Bostanici, il Sindaco di Hakkari, i Presidente della Società Statale dell’Erogazione dell’Acqua.

    Come già detto, qualche imputato parla in turco, giustificandosi perchè non conosce il kurdo, essendo stato deportato fuori dal proprio paese fin da piccolo. Altri ascoltano il proprio nome e indirizzo in lingua turca, poi dichiarano “esatto”, “non è esatto” in kurdo. Uno dichiara di non conoscere il kurdo ma non vuole parlare in turco quindi invita il Presidente a leggere lui

    stesso le generalità di ognuno.

    Non con poche difficoltà il Presidente termina di leggere tutte e 103 le generalità dei detenuti, sudando e sbuffando in continuazione.

    Le donne, serene e altere, affrontano la Corte con estrema dignità e confermando il carattere fiero del proprio popolo e la volontà di continuare ad affermare il proprio diritto ad esistere.

    Muhammed Erbey , avvocato che difese Dino Frisullo, compagno italiano arrestato al Newroz del 1998, appare provato, con i capelli grigi e con un portamento meno autorevole di un tempo. E questo nonstante l’età ancora relativamente giovane. Personaggio notissimo in ambito forense e non solo per essere stato per anni il Presidente dell’Associazione dei Diritti Umani (IHD) proprio a Diyarbakir.

    D’altra parte sembra che questa importante carica internazionale non sia motivo di interesse (e vanto) in Turchia visto che l’attuale Presidente del medesimo organismo si trova proprio tra i detenuti di oggi nell’Aula della bella e antica città di Diyarbakir.

    Molto duro il giudizio del collegio di Difesa riguardo ai contenuti del processo stesso. L’operazione “KCK” (Koma Civakên Kurdistan, Confederazione del popolo del Kurdistan) è stata definita dagli avvocati che difendono gli imputati come un’azione di annientamento della società civile kurda ed, in particolare, di azzeramento della sua viva vita politica.

    Le accuse vengono lette dal Pubblico Ministero che non si limita a leggere gli articoli del codice che si presume siano stati violati, ma descrive le operazioni di Polizia svolte ed esprime le proprie considerazioni sulle abitudini politiche degli imputati e delle organizzazioni da loro frequentate.

    La relazione dell’accusa è, comunque, ridotta a 900 pagine, anche se l’utilizzo di tale riduzione chiesto dalle difese, era stato ufficialmente rigettato. Ancora una volta si rivela l’inutilità della norma formale e si afferma la praticità della norma sostanziale da parte del potere che utilizza il diritto a su piacimento.

    La giornata si è infine chiusa con la richiesta di liberare tutti gli imputati secondo il principio di diritto di libertà, fondamentale criterio secondo il quale deve essere salvaguardato un principio primario rispetto a qualsiasi esigenza di carattere procedurale. I giudici si sono riservati di comunicare la loro risposta nella mattinata di domani. Nena News

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