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Trieste: foibe e monumenti

(16 Ottobre 2003)

Sta facendo parlare in città l’iniziativa dell’associazione “Promemoria” contro il previsto obelisco “pacificatore” che il Comune di Trieste ha intenzione di erigere in piazza Goldoni quale monumento alle “vittime di tutti i totalitarismi”. Va subito detto che tale iniziativa non è dovuta alla fantasia della giunta Di Piazza, ma risale ancora alla gestione di Riccardo Illy, persona che comunque sembra dare particolare importanza al concetto di “pacificazione” e di “riconciliazione”, dato che in una delle sue prime esternazioni dopo l’elezione a “governatore” della Regione ha nuovamente manifestato l’intenzione di indire una giornata pacificatrice tra Italia e Slovenia, al momento dell’ingresso di quest’ultima nell’Unione Europea, con cerimonie in quelli che è diventato in voga definire “luoghi simbolo” della barbarie dei totalitarismi, cioè la Risiera di San Sabba e la “foiba” di Basovizza.

A prescindere dalle connotazioni revisionistiche storiche di tali iniziative, vorremmo iniziare a dire qualcosa in merito alla cosiddetta “riqualificazione” di piazza Goldoni.

Piazza Goldoni non è che sia poi una gran bella piazza. Incastrata tra le principali direttrici del traffico cittadino, piena di rumore e di inquinamento, ha perso le sue iniziali connotazioni di piazza di mercato e quindi di ritrovo; ciononostante, con quella miseria di arredo urbano (quattro panchine e qualche aiuola con degli alberi volonterosi che hanno resistito negli anni all’inquinamento del luogo), è rimasta un punto di ritrovo di pensionati al mattino, di giovani nel pomeriggio ed alla sera, punto base per decidere di andare da qualche altra parte. Farne una spianata con obelisco, così come appare dal progetto pubblicato sul “Piccolo”, è semplicemente demenziale.

Intanto non si riesce a capire perché i megagalattici progettisti della “riqualificazione” urbana non riescano a considerare, nei loro progetti, la possibile presenza di qualche zona verde (alberi, aiuole, fiori, cespugli) e di panchine degne di questo nome (forse per non fare concorrenza sleale ai locali che possono sistemare le proprie sedie nelle zone riqualificate, cosicché chi si vuole sedere potrà farlo solo a pagamento e non usare le gratuite panchine pubbliche?); ma poi ci chiediamo il significato urbanistico di un obelisco e di una specie di porticato stile Ventennio in una piazza ottocentesca. Non sarebbe possibile lasciare le aiuole, magari curandole un po’ meglio, ed impedire la sosta selvaggia dei motorini per fare di piazza Goldoni un luogo vivibile, nei limiti del possibile stante la sua posizione in pieno centro città? Oppure se non si parla di grandi opere non ci si volta neppure indietro, in questi tempi di progresso? Torniamo all’obelisco. Bontà loro, i progettisti hanno progettato un “normale” obelisco e non hanno seguito l’esempio dei loro colleghi di Crotone, dove è stato eretto un monumento dedicato sia ai caduti della Repubblica sociale che della Resistenza, monumento che ha la forma inequivocabile di un gladio romano (che vi sia qualche doppio senso non tanto nascosto?), come vediamo in una foto pubblicata sul “Secolo d’Italia”.

Però il senso del monumento è lo stesso: pacificare, ovverosia parificare le vittime ai carnefici, senza stare a distinguere che quando c’è una guerra, di solito c’è sempre qualcuno che la inizia, e forse ha più torto di chi non avrebbe voluto farla però è stato costretto a difendersi.

Così l’obelisco di piazza Goldoni servirà a ricordare alla popolazione coloro che sono stati impiccati e fucilati nelle rappresaglie nazifasciste, che sono stati massacrati in Risiera o nei rastrellamenti in Carso ed in periferia; ma nello stesso tempo ricorderà anche quelli che sono poi stati uccisi, per vendetta personale o condannati a morte dopo processo in Jugoslavia. Ricorderemo così assieme ai caduti partigiani del rastrellamento di Borst del 10/1/45 (Dusan Munih, Stanko Gruden, Ivan Grzetic e Danilo Petaros, poi ucciso in Risiera), anche uno di coloro che parteciparono al rastrellamento operato dalla “banda Collotti”, Mario Fabian, infoibato a Basovizza. Ricorderemo un altro aguzzino della “banda Collotti”, Alessio Mignacca, che fu fucilato a Lubiana: era specializzato nella ley de fuga (sparò uccidendo Francesco Potocnik e ferendo Roberto Caprini), ma fu responsabile di avere fatto abortire una prigioniera picchiandola; lo ricorderemo assieme alle persone che lui uccise.

Ricorderemo Ernesto Mari, capo degli agenti di custodia al Coroneo, infoibato nella foiba Plutone, assieme agli agenti di custodia che egli fece deportare in Germania e trovarono la morte nei campi, come Salvatore Leone. Ma ricorderemo altri agenti di Collotti, Ferruccio Soranzio e Domenico Sica, fucilati anch’essi a Lubiana: li ricorderemo assieme alle vittime del rastrellamento di Longera del 21.3.45 (Andrej Pertot, Pavel Petvar, Angel Masten ed Evald Antoncic) al quale essi parteciparono attivamente; e Soranzio, partigiano traditore detto Crok, lo ricorderemo anche assieme alle 25 vittime del rastrellamento di Ronchi del 25.4.44, che furono deportate in Germania dopo la sua delazione.

Potremmo andare avanti a lungo su questo argomento, ma ci fermiamo qui. Un unico suggerimento: se si vuole ricordare assieme tutti questi morti, lo si faccia almeno con una nota biografica a fianco di ciascun nominativo, in modo che si sappia chi era civile, chi partigiano, ma soprattutto anche chi era SS, chi della “banda Collotti”, chi delatore e via di seguito.

La Redazione di "La Nuova Alabarda", Trieste
nuovaalabarda@yahoo.it

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