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Collegato lavoro: questo sconosciuto… Cosa cambia per i lavoratori dopo l’intervento del governo?

(27 Ottobre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

27-10-2010/12:08 --- E’ la valutazione che emerge anche nelle discussioni degli esperti in materia di diritto del lavoro che hanno il compito di valutare i pro e i contro dei cambiamenti introdotti dal ddl lavoro approvato la settimana scorsa dopo ben due anni di iter parlamentare e dopo essere stato rispedito alle camere nel Marzo scorso da Napolitano per evidenti segni di incostituzionalità.
Il testo, in 50 articoli, concede deleghe al governo in materia di lavori usuranti, riorganizzazione di enti, di congedi, di ammortizzatori sociali, di incentivi per l’occupazione e soprattutto rivede le misure contro il lavoro sommerso e indica disposizioni nei termini di controversie di lavoro.
Tra le modifiche che più preoccupano, il rispolvero dell’arbitrato, strumento molto utilizzato negli anni Novanta per risolvere i contenziosi tra dirigenti e aziende.
In sostanza il collegato lavoro prevede che al momento dell’assunzione (e sempre durante il periodo di prova) il lavoratore dovrà decidere se ricorrere all’arbitrato in caso di eventuali controversie. E dovrà approvare una clausola che lo impegna a decidere per l’arbitrato o per il giudice ordinario.
L’arbitrato introduce novità difficili da spiegare perché inserisce una forma di giustizia stragiudiziale (senza ricorso a giudizi ordinari) nei rapporti di lavoro. Il collegato lavoro rende sostanzialmente obbligatorio l’arbitrato: le parti sono tenute a svolgere un tentativo di conciliazione, prima della causa davanti al giudice del lavoro.
Se una delle parti rifiuta la proposta senza giustificato motivo, il giudice può tenerne conto ai fini del giudizio e il "giudizio", diversamente dalla "decisione", include anche le spese processuali.
Al di là delle norme che, attraverso l’arbitrato tendono a scardinare le basi del processo del lavoro, la legge si inserisce nelle norme presenti e future in materia di precariato, limitando il più possibile il danno risarcibile al lavoratore e introducendo un meccanismo di doppia decadenza che renderà di fatto impossibile rivendicare i propri diritti per i dipendenti licenziati ingiustamente.
Infatti entro due mesi dalla scadenza di un contratto precario scatterà l’onere di impugnare con una lettera l’illegittimità del contratto stesso e resteranno solo 270 giorni per iniziare la controversia giudiziaria. Se non saranno rispettati questi termini, ogni irregolarità sarà condonata.
Ma come è possibile, si chiedono tutti gli esperti di diritto del lavoro, limitare l’ordinamento con questo regime di doppia decadenza, visto che non esiste nel nostro ordinamento alcun diritto limitato da questo regime?
La novità del ddl consiste nel fatto che in quella categoria che prima conteneva i cosiddetti “fuori diritto” (malattie mentali, indigenza, comportamento criminoso o eversivo) ora rientrano: i lavoratori licenziati; i collaboratori coordinati e continuativi o a progetto, nel caso in cui il datore receda dal contratto; tutti i lavoratori assunti a termine; i lavoratori a cui è stato fraudolentemente ceduto il contratto di lavoro simulando una falsa cessione di ramo d’azienda; i lavoratori somministrati; i lavoratori vittima del caporalato che vogliano chiedere la sussistenza di un rapporto con il reale utilizzatore e denunciare la speculazione sulla loro forza lavoro.
Qual è il risultato della legalizzazione di queste norme? Che la tutela del lavoro viene spostata fuori dallo spazio pubblico. Si fa sempre più labile la tutela del lavoratore e sempre più massiccia l’indulgenza verso l’impresa con conseguenze gravissime sul lavoro dei (già pochi) ispettori del lavoro che sempre con maggiore difficoltà dovranno stabilire le forme di lavoro nero e sfruttamento.

Francesca Mannocchi, Radio Città Aperta

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