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Con i lavoratori per il partito comunista e il sindacato di classe

(29 Ottobre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comunistiuniti.it

lunedì 25 ottobre 2010

Un ampio quadro delle lotte in corso in Europa contro gli effetti disastrosi della crisi capitalistica. Le specificità di Francia, Grecia e Italia e la necessità di un Partito Comunista e di un sindacato di classe che si pongano alla testa delle lotte e che le indirizzino verso l’abbattimento del sistema.
Un forte movimento di lotta scuote attualmente l’Europa, interessando le masse operaie e dei disoccupati, e coinvolgendo talora il mondo della Scuola e dell’ Università.

Il movimento ha la sua motivazione fondamentale nella necessità di opporsi alle politiche padronali e governative tendenti a far pagare la crisi del sistema capitalistico ai lavoratori, attraverso tagli, ridimensionamenti e cancellazione dei diritti e delle garanzie conquistati attraverso decenni di lotte e di sacrifici e in virtù dei rapporti di forza tra il capitalismo e la
realtà dei Paesi socialisti, oggi cancellata con la fine dell’Unione Sovietica.

Gli scioperi e le grandiose manifestazioni cui si è dato vita, specialmente in Francia e in Grecia, dimostrano il grave malessere esistente nelle masse e la loro volontà e capacità di lotta.

Occorre saper leggere in quello che avviene, facendo gli opportuni distinguo, cosa soprattutto necessaria per l’Italia, per la quale faremo un discorso a parte.

In Grecia la guida della lotta, che ha avuto caratteristiche di intensità, estensione e continuità, è stata assunta dal Partito Comunista (KKE) e dal sindacato PAME. Lì quindi si è andato alle radici del problema: la crisi del capitalismo e la necessità del suo superamento. Dall’altro lato della barricata vi è stato e vi è il governo a guida socialista, pedissequo esecutore delle direttive dell’Unione Europea e dell’alta finanza internazionale.

Quale sarà l’esito della lotta in quel Paese a noi vicino? E’ possibile che le politiche governative alla fine passino. Ma si avrà un grande risultato: la maturazione della coscienza di classe e anticapitalistica tra strati sempre più vasti di lavoratori, di cittadini, di giovani. Il che costituirà un passo in avanti nel cammino verso il socialismo. E questo grazie al fatto che quel Partito Comunista ha da sempre rifiutato il compromesso e ha saputo mantenere la propria autonomia e il suo legame indissolubile con la classe operaia, la quale si pone chiaramente come classe egemone.

Grandi capacità di lotta e grandi potenzialità rivoluzionarie dimostra di possedere la classe operaia francese, cui manca però una guida politica coerente e decisa, essendo rimasto il Partito Comunista Francese vittima della propria sostanziale subordinazione al Partito socialista, il quale oggi, essendo all’opposizione, s’inserisce nella lotta e le impedisce di fatto di avere degli sbocchi, non avendo quel partito una visione alternativa rispetto al governo conservatore.

Non vogliamo essere profeti di sventura, ma abbiamo il sospetto che la generosità del popolo francese avrà ancora una volta la risposta di una stretta autoritaria e di un peggioramento delle condizioni generali di vita.

E veniamo all’Italia. Anche qui malessere e volontà di lotta. Se ne è avuta la prova con la recente, grande manifestazione indetta dalla FIOM. Ma da noi esiste una ulteriore particolarità, ed è la presenza del Partito Democratico, che fra l’altro controlla la CGIL ed è capace di imbrigliare l’azione stessa del sindacato, come è avvenuto in questi mesi, nei quali non si è voluto dar vita neppure a scioperi significativi, in grado di ledere gli interessi del padronato e di spostare i rapporti di forza sociali, oggi largamente sfavorevoli ai lavoratori. Dalla suddetta manifestazione della FIOM è venuta imperiosa e forte la richiesta dello sciopero generale.

Ma la CGIL non lo vuole e perde tempo. E non lo vuole soprattutto il PD, condizionato dai grandi gruppi economici di cui è fiancheggiatore (vedi FIAT), nonché dalla CISL e dalla UIL, che hanno scelto la linea della resa alla strategia della Confindustria.

E allora la domanda: che fare? E qui si apre il discorso dei comunisti. L’ esperienza storica – oltre che l’evidenza dei fatti quotidiani – ci dice che, in assenza di un forte partito di classe, il popolo italiano è esposto ai peggiori pericoli per la stessa democrazia, e nel contempo i ceti più deboli rimangono privi di uno scudo con cui difendere i loro interessi. Il fascismo poté nascere e vivere proprio con le condizioni create dalla debolezza politica delle forze socialiste e comuniste, e la riscossa della Resistenza fu possibile soprattutto grazie alla forza, alla tenacia, all’abnegazione dei comunisti, che seppero poi guidare le lotte del dopoguerra all’insegna dei principi della Costituzione e nella prospettiva del socialismo.

Quando questa spinta si attenuò e si spense si ebbe l’omologazione del PCI, fino al tradimento definitivo, si ebbe la deriva reazionaria del berlusconismo.

Occorre riflettere su questa storia. Come e perché fu possibile che un intero esercito, l’organizzazione del PCI, fosse traghettato verso altri lidi, con lo sbocco in una formazione politica, il PD, filocapitalistica e sostanzialmente democristiana?

Chi – come i vari Diliberto e Ferrero – chiede ai comunisti rimasti di fare da stampella al Partito Democratico e di integrarsi nel centro-sinistra, addirittura allargato a destra, non ha niente a che fare col progetto di un Partito Comunista quale è necessario e possibile in Italia. Chi ragiona in questi termini forse sa guardare solo a qualche residua prospettiva di carriera
personale, non si sa poi quanto ragionevole essa stessa.

I comunisti, al contrario, se vogliono essere tali, devono mirare alto e avere l’orgoglio della propria identità e della propria storia, che non è consentito a nessuno – comunque si chiami – di svendere, in nome di un male inteso realismo.

C’è bisogno di un partito che, nelle condizioni di oggi, sappia, in piena e assoluta autonomia, riprendere il cammino interrotto, risalire alle proprie radici, ritrovare il legame quotidiano con le masse, guardare al futuro vivendo il presente, senza smarrire il filo che lo lega al passato, a quel passato che si chiama pensiero marxista, Rivoluzione d’Ottobre, Stato socialista sovietico,
esempio luminoso dei grandi che ci insegnarono la strada, e che furono e devono rimanere i nostri maestri, primi fra tutti Gramsci e Togliatti.

La classe operaia italiana, i lavoratori italiani, i giovani, gli uomini onesti di questo Paese meritano di avere chi, estraneo al piccolo cabotaggio dei posti di potere, li rappresenti veramente, e a livello sindacale e a livello politico. Diciamolo fuori dai denti: non possiamo essere rappresentati né dal Partito Democratico, né dai suoi alleati (Sinistra Ecologia e Libertà,
Federazione della Sinistra), né da questo sindacato, che non sa essere autonomo da forze politiche che lavorano per frenare la volontà di lotta dell’intero mondo del lavoro. Ora o mai più, Partito Comunista, Sindacato di classe!

Domenico Catalfamo

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