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Era un sogno!

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(28 Agosto 2013) Enzo Apicella
"I have a dream". 50 anni fa Martin Luther King pronunciava il suo famoso discorso davanti al Lincoln Memorial di Washington

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    (Omicidi di stato)

    Morire di carcere: la storia dei detenuti ‘invisibili’ e senza giustizia

    (2 Novembre 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

    02-11-2010/12:45 --- Nelle prigioni italiane muoiono mediamente ogni anno 150 detenuti; ben un terzo per "cause oscure". Ma l'elenco delle morti sospette è più alto. Nel conteggio mancano infatti gli "invisibili", i tanti detenuti stranieri il cui decesso si conclude con un certificato e una facile archiviazione. Spesso sono considerati “scarti” della società e nessuno si impegna a sapere in che modo e perché siano morti. È ad esempio la storia di Marko, Paolo e Mija, cittadini originari della ex Jugoslavia pregiudicati e reclusi a Regina Coeli, le cui vite si sono spente senza alcuno scalpore mediatico. Tre storie che ricordano i casi Cucchi e La Penna e che dimostrano come i maltrattamenti nelle carceri non siano un evento eccezionale ma una pratica normale nel sistema carcerario italiano. Come Stefano Cucchi, anche Paolo Jovanovic viene fermato dai carabinieri esattamente il 17 marzo del 2007. Portato a Regina Coeli ne uscirà dopo cinque giorni, ma senza vita. Paolo è accusato di ricettazione, ed è un tossicodipendente frequentemente in crisi, motivo per cui lo psichiatra consiglia la somministrazione di psicofarmaci. La sera del 22 Marzo, alle 20 e 30 il personale carcerario raggiunge Paolo in cella per la terapia e come risulta dai documenti ufficiali, l’uomo non risponde. Solo due ore dopo, si tenterà un soccorso estremo con rianimazione, un intervento tardivo e inutile che getta ombre sul sistema carcerario del Regina Coeli, aggravate anche dalle perplessità legate ai farmaci utilizzati e alle modalità di detenzione. Una storia non troppo diversa da quella di Mija, anche lui tossicodipendente pluripregiudicato. Mija viene arrestato nel 2008 e per tenerlo sotto controllo, gli viene somministrato del valium. Secondo il racconto della famiglia, proprio a causa del medicinale Mija si sente male, ed è talmente stordito che non riesce a respirare. Muore in cella soffocato dal vomito. E nonostante l’apertura di un fascicolo il risultato a cui si approda è l’assenza di reato. La famiglia dà il via a una causa civile contro il ministero della Giustizia e l'Asl di competenza. La tesi è che ci sia stata negligenza e che il cittadino-recluso sia stato abbandonato a se stesso. Più intricata è la storia di Marko, un rapinatore che doveva scontare pene cumulative per nove anni. Marko era già passato per il carcere di Viterbo e Rossano Calabro prima di arrivare a Regina Coeli e la sua fama non era delle migliori. In questo tour carcerario si era diffusa infatti la voce che tra le vittime dei suoi colpi vi fosse stata anche la congiunta di un appartenente alle forze dell’ordine, una notizia che aveva aggravato la sua posizione tant’è che i detenuti raccontano come non si dovesse parlare con lui perché era considerato, letteralmente, “peggio di un infame”. Marko è morto il 1 marzo scorso nel carcere di Augusta (Siracusa), ma secondo i legali della famiglia aveva subito violenze anche a Regina Coeli: “è stato legato, bastonato, gettato per terra” si leggerà in una memoria. Adesso la procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta per omicidio. Mentre la famiglia attende giustizia, le dichiarazioni degli altri detenuti consolidano le accuse: “ Marko era malconcio” racconta un detenuto del Regina Coeli “per noi stranieri è sempre più dura che per gli altri e con alcuni esagerano proprio. Di Marko mi dissero che era caduto dalle scale”.
    Una situazione veramente tragica quella nelle carceri che non accenna a migliorare, neanche dal punto di vista delle tutele. E’ notizia di questi giorni, infatti, la nomina a nuovo garante dei detenuti del Lazio del funzionario di Polizia Penitenziaria, Vincenzo Lo Cascio. Un paradosso, se si pensa che Lo Cascio è arrivato al rango di ispettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). La nomina, voluta dal sindaco Alemanno, desta una serie lunghissima di perplessità: il garante non sarà un avvocato, né un esperto in diritti umani o un giurista, bensì un poliziotto. A lui i detenuti dovrebbero rivolgersi per denunciare i maltrattamenti e le angherie subiti proprio da altri poliziotti.

    Marina D’Ecclesiis, Radio Città Aperta

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