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Ventiquattro ore senza di noi

Ventiquattro ore senza di noi

(1 Marzo 2010) Enzo Apicella
Sciopero generale dei lavoratori migranti

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Lo striscione della Innse per i migranti in lotta

(9 Novembre 2010)

Forse non è stato dato il giusto peso al gesto che le Rsu della Innse Presse di Milano – i primi “gruisti” nella storia della attuale crisi economica italiana – hanno fatto alla manifestazione di sabato a Brescia, dove nuovi figli di quella loro protesta si sono arrampicati su una gru e da più di una settimana vivono a 35 metri di altezza. Figli di un dio minore, in qualche modo: sono sei immigrati, di nazionalità diverse tra loro, ma tutti, allo stesso modo, lavoratori in Italia. Protestano contro la sanatoria del 2009 per cercare di rientrare nella quale sono stati spesso truffati, vittime oltretutto di un giochino tutto politico all’interno del Viminale che a sanatoria già chiusa cambiò le regole stabilendo che chi aveva subito un’espulsione non sarebbe stato regolarizzato. Figli di un dio minore perché la loro protesta non sta avendo la stessa eco di altre battaglie per i diritti al lavoro. Ma soprattutto perché ieri il presidio in loro solidarietà promosso dal comitato “Diritti per tutti” è stato attaccato dalla polizia perché era stato ordinato uno sgombero. Non è mai successo in questo anno di durissime battaglie per difendere i posti di lavoro che arrivasse la polizia a caricare. Questo è il clima. Il motivo è semplice: nei desiderata dei nostri governanti – da Berlusconi alla Lega – il popolo non riconosce come simili quei gruisti dalla pelle scura. Ebbene. Gli operai della Innse hanno detto no, un’altra volta, e sabato hanno partecipato alla manifestazione in solidarietà con i sei migranti in lotta. E hanno regalato loro uno striscione con su scritto “Lotta dura senza paura”, lo stesso slogan che tenne compagnia ai cinque lavoratori della Innse in quei drammatici e indimenticabili giorni di resistenza. Di nuovo gli inventori della protesta della gru si sono opposti al pensiero comune e dominante, riconoscendo negli immigrati che chiedono la regolarizzazione una parte di sé, e non dei nemici, non degli antagonisti, non delle persone da cacciare. Bensì, in questa lotta molto meno coccolata, molto meno riconosciuta, molto meno considerata della loro persino dalla sinistra (non è una novità, è ovvio), quegli operai si riconoscono, e la condividono, e la sostengono persino. Quegli operai che sanno benissimo cosa voglia dire disoccupazione (fantasma su cui la destra fa leva per soffiare sul fuoco del razzismo). Di certo ne sanno più loro del lavoro e della tenuta sociale che ne consegue dell’ex ministro ad interim per lo Sviluppo, Silvio Berlusconi (e anche dell’attuale, direi). Il lavoro in fabbrica lo conoscono in prima persona. E hanno capito che l’unico modo per preservarlo è garantire pari diritti a tutti. Che una legge sull’immigrazione basata sulla clandestinità delle persone è un favore ai padroni che danno lavoro in nero e alle mafie. Chissà se questa consapevolezza, spesso assente nei luoghi di lavoro, gli operai della Innse l’hanno guadagnata dopo (e grazie) alla loro battaglia. Fatto sta che quello striscione donato è un segnale chiarissimo per il futuro.

Cinzia Gubbini - Il Manifesto

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