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Cameron nella campagna inglese

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(13 Maggio 2010) Enzo Apicella
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"Il generale dell'Armata morta"

(13 Novembre 2010)

recensione di un romanzo di Ismail Kadaré che ci ricorda i crimini italiani in Albania.

Ambasciata d’Italia a Mosca-Telespresso n. 12/6

A R. Ministero degli Affari Esteri, Roma

Mosca, 7 gennaio 1946

“Il telespresso ministeriale n.16/28053/C del 24 novembre US mi è stato inviato solo per conoscenza. Dato però che esso solleva una questione delicata, mi permetto di sottomettere alla S.V. alcune considerazioni in proposito. Comprendo benissimo il desiderio dell’opinione pubblica italiana di vedere citati in giudizio quei tedeschi che maggiormente si sono resi responsabili di crimini di guerra in Italia:comprendo anche che il Governo italiano , per ovvie ragioni di prestigio e di impostazione generale della nostra situazione giuridica e morale desideri che gli venga riconosciuto il diritto di prendere parte attiva alla punizione dei crimini germanici. Ma noi siamo purtroppo in una situazione per cui altri Paesi ci chiedono, o ci possono chiedere, la consegna dei colpevoli di vere o presunte atrocità: i termini del nostro Armistizio , a questo riguardo ,non potrebbero essere più espliciti.(…)

Il giorno in cui il primo criminale tedesco ci fosse consegnato, questo solleverebbe un coro di proteste da parte di tutti quei Paesi che sostengono di avere diritto alla consegna di criminali italiani.”


Il brano del documento sopra citato, introduce uno dei temi trattati dall’opera letteraria che qui si vuole recensire; se il tema è quello dell’operato criminale delle Forze Armate italiane durante la Seconda guerra mondiale, il testo è il romanzo del grande scrittore albanese Ismail Kadare, “Il generale dell’Armata morta”. Primo romanzo ( 1963 ), avendo l’autore pubblicato in precedenza unicamente raccolte di poesie, l’opera ha attraversato tormentate quanto interessanti vicende. Non piacque al regime di Enver Hoxha, che pure ammirava l’autore ed amava ricordare la comune nascita nella città di Gjirokaster, dove il Kadaré era nato nel 1936 : il “Generale “ fu bollato come “pessimista”, “controrivoluzionario”, “inutile ai fini dell’educazione del Popolo”, difettando di quello spirito trionfalistico che il regime albanese pretendeva dai “propri” scrittori.
Non piacque in questo Paese, sulla sponda “democratica” dell’Adriatico: fu tradotto in italiano solo a metà anni’80. Al ’63 risale la prima edizione albanese, “opportunamente” purgata degli “errori”, mentre l’autore veniva processato e costretto all’”Autocritica”.A fine anni ’60 data la prima traduzione in francese: ne seguiranno negli anni altre 7. Il romanzo, tradotto in altre 35 lingue, ottenne in tempi recenti il primo importante riconoscimento internazionale: il Man booker Prize for fiction ( 2005 ). Luciano Tovoli ne ha tratto l’omonimo film nel 1983,interpretato da Marcello Mastroianni e Michel Piccoli. Ismail Kadaré è stato quattro volte candidato al Nobel per la letteratura.
La scena si apre sul paesaggio aspro e montuoso dell’Albania, visto dall’aereo che conduce i due protagonisti della vicenda a riesumare-in senso decisamente letterale -un passato di orrore e di guerra dal suolo del Paese balcanico: un generale ed un cappellano dell’Esercito italiano, inviati , a vent’anni dalla fine delle ostilità, a recuperare le spoglie di soldati e ufficiali del Regio Esercito caduti durante l’occupazione italiana. L’Autore accetta di vedere il proprio Paese ,il proprio popolo attraverso gli occhi dei due Nemici; che tali sono, e non fanno nulla per nasconderlo: quanto il prete si mostra distaccato ed apparentemente refrattario ad ogni retorica, tanto l’ufficiale sogna una sorta di rivincita postuma sul popolo rozzo e violento “che ha ucciso i nostri bei ragazzi”.Ad accomunarli,unicamente l’odio per gli albanesi .
E l’”invisibilità” degli albanesi rappresenta uno dei temi meglio sviluppati della narrazione: l’”Esperto” nominato dal governo locale per accompagnare i due riesuma tori, la squadra di operai che esegue i lavori, gli abitanti dei villaggi: personaggi che esprimono al tempo stesso indifferenza ed ostilità latente, mai apertamente dichiarata, almeno fino all’epilogo, nella scena che del romanzo rappresenta il culmine della tensione drammatica accumulata per due anni e decine di pagine di silenzi ,attese e cumuli di vecchie ossa .
Nelle parole del Cappellano, che parla la lingua del Paese che pretende di conoscere, emergono nozioni di rozza sociologia e citazioni di canti guerreschi , usati per descrivere gli albanesi come quel popolo “che ha sempre avuto il gusto di uccidere e di farsi uccidere”, barlumi di falsa coscienza e conoscenza che rappresentano forse la parte più “attuale” della narrazione.
La stessa , pesante cappa di “invisibilità”, sembra avvolgere, nei “flashback”, le tristi processioni di anonimi familiari di caduti che si accalcano alla porta della casa italiana del Generale, prima della sua partenza. Chi porta una foto, chi non è in grado di distinguere sulla carta geografica l’Albania dalla Russia, da dove un figlio non è tornato, chi dorme avvolto in una coperta davanti all’abitazione dell’Alto Ufficiale, in attesa di udienza. Tutt’altra attenzione , nei ricordi e nelle fantasie del protagonista, è riservata all’anziana madre aristocratica ed alla giovane vedova, del Colonnello Z., tragico fantasma e vero alter ego del Generale.
Ad ogni colpo di piccone, ad ogni pagina di diario di soldato italiano “vergognosamente” fucilato come disertore, le speranze dell’Ufficiale di una marcia trionfale e di una riscossa alla testa dei “suoi” uomini ( “sognavo di mostrare che la nostra morte è più bella della loro vita”) si sgretolano, rivelando la stessa fragilità delle ossa calcinate-“Eccola, la mia Grande Armata in sacchi di nylon”… Ed il processo di disillusione è accompagnato dai racconti delle atrocità commesse in ogni luogo del Paese dal Battaglione Azzurro, guidato dal Fantasma ,il Colonnello Z., il ritrovamento del cui corpo diviene, caduta ogni altra motivazione, la vera ossessione del Generale.
“Non so a quale esercito tu appartenga, perché non ho mai saputo riconoscere le uniformi, e adesso sono troppo vecchia per impararlo, ma tu sei straniero, e fai parte di uno di quegli eserciti che hanno ucciso i miei familiari. Hai come mestiere l’invasione e sei di quelli che hanno spezzato la mia vita e fatto di me quella povera vecchia che sono e che viene a queste nozze estranee a sedersi in un angolo a biascicarti queste parole…”
Prete e Ufficiale, con un atto tanto frutto di frustrazione quanto di volontà di disprezzo e senso di superiorità, partecipano, non invitati, ad una festa di matrimonio in uno dei tanti villaggi attraversati. La musica frenetica, il vino, l’atmosfera irreale portano a un crescendo di sguardi ed impressioni,l’aria si fa incandescente … e l’esplosione arriva da un angolo buio e dimenticato della grande sala: l’unica testimone muta della sorte del Fantasma , prende la parola. E’ vecchia, sola, indifesa, nessuno dei presenti ne prende le parti, ma è l’unica a conoscere gli ultimi misfatti, la tragica e squallida fine, il luogo di sepoltura del Colonnello Z., invasore, massacratore, stupratore; in un attimo, un sacco di tela infangato è ai piedi dei due Cercatori: contiene l’oggetto delle loro affannose ricerche.

Dei 1857 militari italiani denunciati per crimini di guerra ( 1697 presso la United Nations War Crimes Commission, 292 richieste di estradizione da Jugoslavia, Grecia , Albania, Etiopia ), 142 risultano richiesti dal Governo albanese nell’immediato Dopoguerra.
Il 6 maggio 1946 il Ministero della Guerra -poi della Difesa- istituisce la Commissione per i presunti crimini di guerra italiani ; nel marzo 1949, 29 militari italiani ( su 168 accusati ) sono dichiarati “deferibili” al Tribunale militare (italiano…), per un processo mai celebrato.

Leonardo Donghi

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