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(13 Novembre 2010)
anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com
foto: www.nena-news.com
DI ALDO CANESTRARI
Roma 13 Novembre 2010, Nena News - Un gesto che simbolizza una catena di eventi traboccanti di significati storici e politici, di passione, di speranza: un uomo, di nome Dino Frisullo, appende ad un muro una lapide che ribattezza una piazza di Roma: prima si chiamava “piazza Celimontana”; per un po’ si chiamerà “piazza Kurdistan”. Come il quotidiano “il manifesto” ha espresso sinteticamente nel titolo di un suo articolo del 18 novembre 1998: “Roma: piazza Celimontana, piazza Kurdistan”, sottotitolando: “Diecimila in marcia per la libertà di Ocalan”. E “La Repubblica” due giorni prima (16 XI) aveva titolato: “Roma, Caput Kurdistan. Piazza Celimontana”. Ed ancora due giorni prima (14 XI), subito dopo l’arrivo di Ocalan a Roma il 12 XI 1998, “il manifesto” scriveva: “Un kurdo al Celio. Kurdistan: arrestato a Roma il leader del PKK”, ed il “Villaggio Globale” scriveva: “Da questa mattina circa 2000 Kurdi presidiano l'Ospedale Militare del Celio dove è ricoverato il capo del PKK (partito dei lavoratori del Kurdistan) Abdullah Ocalan”.
Per giorni e giorni la presenza di Ocalan a Roma aveva attirato nella città migliaia di kurdi arrivati da tutta Europa, che l’avevano percorsa in festosi e combattivi cortei, animandola con i colori sgargianti dei loro striscioni, bandiere, vestiti, e con le loro canzoni, le loro danze, i loro slogan, mescolati a migliaia di nuovi compagni di strada e di lotta, gli italiani che si riversavano assieme a loro nelle piazze e nelle strade, che portavano loro coperte panini e bevande calde nella piazza Celimontana dove i kurdi bivaccavano in massa nelle notti di quel freddo novembre romano. La venuta di Ocalan in Italia aveva acceso una vampata di speranze. Dopo di 15 anni di sanguinosi scontri tra guerriglia e militari sulle montagne, di atroci torture e morti nelle carceri, di violente evacuazioni di migliaia di villaggi, durante i quali l’Europa ed il mondo non si erano neanche accorti di tutto ciò, la Questione kurda, insoluta da secoli, finalmente campeggiava sulle prime pagine dei quotidiani ed occupava il primo posto nei telegiornali.
E tutto ciò all’insegna di un messaggio positivo: la presenza di Ocalan in Italia, mettendo la Questione kurda al centro dell’attenzione internazionale, sembrava porre le basi per cominciare ad affrontarla non più all’insegna del nazionalismo sciovinista dello Stato turco ma dei criteri di convivenza pacifica proclamati dalla comunità internazionale, e si cominciava a parlare della necessità di una Conferenza internazionale per risolverla. Ocalan era venuto in Italia in un momento drammatico, la sua era stata una scelta obbligata: la Turchia lo aveva braccato prima dalla Siria, poi dalla Russia, dove si era rifugiato; venire in Italia era stato prima di tutto un atto volto ad evitare la cattura, ma non era stato solo questo: da anni la leadership kurda, nella sordità della controparte turca, cercava di aprire spiragli di dialogo, anche con tregue unilaterali, e cercava interlocutori nel mondo politico occidentale, e l’arrivo di ‘Apo’ in Italia non faceva che portare ‘alla ribalta’ quanto stava da tempo maturando. La presenza di Ocalan in Italia ha visto in breve tempo il crollo delle speranze che aveva suscitato, strangolate sul nascere da quella stessa Europa che era sembrata per un momento un esempio di civiltà in antitesi alla barbarie turca, e si era invece rivelata quella che Pietro Ingrao in quella circostanza aveva efficacemente definito: “Europa vigliacca”; in particolare il governo italiano (era allora in carica D’Alema) di fronte al vortice di furibonde minacce scatenate dalla Turchia con il pressante sostegno americano, e nello scenario del pavido gioco di scaricabarile inscenato dal resto dei Paesi europei, aveva vergognosamente fatto marcia indietro, rifiutando ad Ocalan l’asilo politico cui aveva diritto in base alla Costituzione italiana, e, poco dopo, costringendolo ad abbandonare l’Italia in cui aveva trovato rifugio: premessa della sua inevitabile cattura da parte della Turchia, come effettivamente è avvenuto poco dopo.
L’epilogo deludente non cancella però il clima entusiasmane ed il significato positivo di quei giorni: un “assalto al cielo”, come l’aveva definito Dino Frisullo; un popolo in lotta che porta sulla prima pagina dell’agenda politica mondiale le sue istanze di democrazia ed autodeterminazione, di amicizia e dialogo tra i popoli, spazzando via la opprimente cappa di “realpolitik” e di calcolati equilibri di potere, e ravvivando invece ovunque un clima di mobilitazione, vitalità ed ottimismo, suscitando da mille parti nuove ondate di solidarietà. Infatti, in tutta Europa ma soprattutto in Italia, è proprio a partire da quei giorni che consistenti aree di società e di associazionismo “si sono accorti” del popolo kurdo ed hanno cominciato a trasformare questa “scoperta” in impegno attivo di collaborazione, che si è poi concretizzato in una fitta rete di iniziative sui più diversi terreni. Una crescita continua di esperienze che è proseguita ininterrottamente per anni ed è tuttora in corso, e dalla quale sono scaturite… tante delegazioni e viaggi nel Kurdistan (per la festa tradizionale kurda del Newroz, per processi e manifestazioni, per incontri con la società civile e conoscenza di quel territorio e di quel popolo, etc.), tanti progetti di cooperazione economica e sociale allo sviluppo (anche con ONG, enti locali etc. sia italiani che kurdi), tante iniziative di cultura ed informazione (traduzioni di libri, film, concerti, mostre fotografiche), e tante iniziative politiche di solidarietà nel mondo politico italiano.
La costellazione di esperienze e di associazioni in cui si ha preso forma questo flusso continuo di partecipazione e collaborazione è oggi la “Rete italiana di Solidarietà con il popolo kurdo”, sul cui blog se ne può trovare ampia documentazione, e che è anche una delle poche fonti di informazione su una tematica quasi del tutto ignorata dai ‘media’ italiani: http://azadiya.blogspot.com .
Le giornate di “piazza Kurdistan” del 1998 erano state all’origine di tutto ciò. E l’uomo che ha apposto la lapide che ribattezzava quella piazza ne era stato il battistrada e l’animatore principale: l’arresto ed il processo a Diyarbakir di Dino Frisullo, pochi mesi prima, in occasione del Newroz del 21 marzo 1998, con la risonanza che aveva avuto di fronte all’opinione pubblica italiana e le reazioni di solidarietà che aveva suscitato, era stato il primo importante varco nel muro di silenzio e disinformazione sulla questione kurda che fino ad allora regnava in Italia. E Dino aveva poi continuato sino alla sua morte prematura la sua instancabile e tenace azione di promozione, organizzazione, coinvolgimento diretto in prima persona e testimonianza (in particolare con i suoi scritti come giornalista, saggista ma anche come poeta).
Piazza Kurdistan, luogo simbolico della solidarietà italiana con il popolo kurdo, ritrova oggi tutta la sua attualità. Le questioni poste alla ribalta dodici anni or sono hanno poi visto un grande percorso di crescita politica e di mobilitazione di popolo, ma sono tutt’altro che risolte; il Kurdistan è oggi più che mai il luogo della corale resistenza di un’intera popolazione che non vuole rinunciare alla propria identità ma costruire su di essa la propria autodeterminazione democratica, e continua anche ad essere il luogo dove lo Stato turco persegue con inalterata ostinazione, anche se con metodi diversi, la sua politica di negazione e cancellazione di un’intera parte della società. Ed anche oggi, come dodici anni fa, il Kurdistan (che l’anno scorso è stato sede del “Mesopotamia Social Forum”) si ripropone come avanguardia del movimento internazionale per un “mondo diverso”, con la sua Resistenza, la sua “Sherildane”, la sua “Intifada”, che sa essere al tempo stesso impregnata di una identità radicata nelle proprie antichissime tradizioni culturali, come pure aperta modernamente al più ampio dialogo inter-culturale, e che sa proporre al mondo intero un modello di autodeterminazione democratica e di partecipazione sociale dal basso sensibile alle esigenze più avanzate dell’epoca contemporanea.
L’attacco di Stato ad un intero popolo, che oggi si inasprisce con gli arresti ed i processi di massa e con l’intensificazione delle operazioni militari, nella più totale sordità alla proposta kurda di un dialogo di pace, ci invita a riannodare tutti questi fili in quella Piazza Celimontana che per tanti kurdi e per tanti italiani ormai si chiama ‘Piazza Kurdistan’, per riproporre e rilanciare quel medesimo clima di mobilitazione democratica ma anche quel tessuto di solidarietà attiva, fatto di mille iniziative di cooperazione e di interscambio, che ha saputo in questi anni costruire un ponte tra il nostro popolo ed il popolo kurdo. Nena News
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