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Iraq, "oggi si parla di diritti umani"

La visita in Italia in questi giorni, di Abdel Karim al Mussawi, presidente della Commissione Diritti Umani del Consiglio Provinciale di Baghdad.

(24 Novembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Iraq, "oggi si parla di diritti umani"

foto: www.nena-news.com

IRAQ, "OGGI SI PARLA DI DIRITTI UMANI" di Ornella Sangiovanni (Osservatorio Iraq) - Roma, 24 novembre 2010 - Si dice ottimista per il futuro del suo Paese – l’Iraq, che vive attualmente “circostanze eccezionali” che non consentono il pieno rispetto dei diritti umani - e l’esistenza di un “processo politico” che va verso la democrazia, nonostante le sfide da affrontare, gli dà speranza.

Abdel Karim al Mussawi, presidente della Commissione Diritti Umani del Consiglio Provinciale di Baghdad, è un uomo che ha sofferto: 10 anni passati nel carcere di Abu Ghraib, ai tempi di Saddam Hussein, dal 1982 al 1992. La sua colpa: essere membro di al Da’wa – partito sciita di opposizione di ispirazione religiosa a cui il regime aveva dichiarato guerra totale.

Riuscito a uscire di prigione vivo – molti dei suoi compagni di fede politica non ebbero la stessa fortuna (a partire dagli anni ’80, le vittime tra le file di al Da’wa sarebbero decine di migliaia – 70.000 secondo alcune stime) – Mussawi ha messo questa sua esperienza al servizio del “nuovo Iraq”: quello uscito dalla “liberazione” - come la definisce, riferendosi all’invasione guidata dagli Stati Uniti del marzo 2003, che ha rovesciato Saddam e il regime del partito unico.

Un’esperienza di prigioniero politico – prima nella “Lega dei prigionieri politici”, creata nel maggio 2003 (con l’Iraq occupato di fresco), diventata successivamente “Unione dei detenuti politici” – e poi “Fondazione dei prigionieri politici”, riconosciuta con tanto di legge approvata dal Parlamento, nel 2006. Sempre con cariche direttive - assieme al suo compagno di prigione, Hussein al Shahristani, diventato poi ministro del Petrolio.

Di carceri e detenuti Mussawi continua a occuparsi ancora oggi. Nella sua veste di presidente della Commissione Diritti Umani del Consiglio Provinciale di Baghdad – carica che occupa dal 2009, dopo le elezioni amministrative che nella capitale hanno visto la netta vittoria (28 seggi su 57) dell’Alleanza per lo Stato di diritto: la coalizione del premier Nuri al Maliki, che di al Da’wa è il leader.

E in questa veste è arrivato a Roma, su invito dell’Associazione “Un ponte per”.

La Commissione da lui presieduta - spiega a Osservatorio Iraq nel corso di un colloquio – si occupa, fra le altre cose, del monitoraggio delle strutture di detenzione di Baghdad, e prepara rapporti a riguardo – coordinandosi con le organizzazioni della società civile.

Di quello che facciamo non si parla molto – dice Mussawi – ma “abbiamo avuto un ruolo centrale nel denunciare la situazione della prigione di Khadimiya”, inclusi gli abusi e le torture sui detenuti che avvenivano al suo interno: denuncia che ha portato a sostituirne l’amministrazione.

Non esistono carceri modello

In Iraq “non esistono carceri modello”, ammette: ci sono problemi per quanto riguarda le condizioni di vita dei detenuti. Alcune strutture di detenzione, sottolinea, sono semplicemente gruppi di tende, non costruzioni in muratura.

Abusi sui prigionieri – sì, è vero, se ne verificano: secondo il presidente della Commissione Diritti Umani del Consiglio Provinciale, un grosso problema è la formazione del personale carcerario. Formazione del tutto insufficiente. Non c’è cultura in materia di diritti umani. Fra chi lavora nelle carceri, ci sono perfino degli analfabeti.

“Per cambiare le cose serve una generazione”, commenta Musawi.

E la prigione segreta scoperta nell’aprile scorso a Baghdad? La Commissione Diritti Umani del Consiglio Provinciale ne sapeva qualcosa?

“Rifiutiamo l’esistenza di prigioni segrete ovunque si trovino”, è la risposta.

Abusi e torture nelle carceri, arresti arbitrari, pena di morte: il “nuovo Iraq” non è certo un Paese modello, come denunciano le maggiori organizzazioni internazionali per i diritti umani – Amnesty International in testa. Sì, è vero – riconosce Musawi – molte persone vengono arrestate senza regolare mandato di un magistrato, ma questo è dovuto alle “circostanze eccezionali” che sta vivendo il Paese.

Il futuro sarà migliore, dice fiducioso, osservando che sotto il precedente regime di diritti umani neppure si parlava.

Contrario alla pena di morte

Però la pena di morte in Iraq c’è ancora: un problema ripetutamente denunciato dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani, e riportato alla ribalta dalla recente condanna a morte di Tariq Aziz, l’ex numero due di Saddam Hussein, in carcere da anni, che dovrebbe essere giustiziato proprio per aver partecipato alla repressione dei “partiti religiosi” (leggi: sciiti).

“Sono contrario alla pena di morte – per chiunque, non solo per Tariq Aziz”, commenta Musawi, mentre si congeda, andando verso un altro dei suoi numerosi appuntamenti romani.

www.oservatorioiraq.it

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