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Il fumo uccide

Il fumo uccide

(18 Agosto 2012) Enzo Apicella

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(Il saccheggio del territorio)

Piove, governo ladro

Appunti sull'alluvione in Veneto

(26 Novembre 2010)

Alluvione in veneto

Il 31 ottobre alle 11 di sera la prima ondata di piena del Bacchiglione allaga il centro di Vicenza. Ne seguiranno altre due prima del mattino del 1 novembre.
Il Bacchiglione rompe gli argini anche più a nord, allagando Caldogno. Esondano anche dei fiumi minori: il Torbolo, il Retrone...
Nella mattina del 1 novembre la A4 viene sommersa dall'acqua del fiume Alpone, vicino a Soave.
Anche il fiume Frassine che corre a sud ovest tra la bassa vicentina e quella padovana rompe gli argini e allaga Saletto, Ospedaletto, Migliarino San Fidenzio, Migliarino San Vitale.

In serata la piena del Bacchiglione arriva a Padova. Per salvare la città si aprono le chiuse dello Scaricatore che immettono le acque del Bacchiglione nel suo vecchio alveo, talmente piccolo che il fiume cambia nome e diventa Canale Roncaiette. Gli argini del Roncaiette non tengono e nella mattinata del 2 novembre si allaga Casalserugo. La rotta del Roncaiette dà qualche ora di respiro a Bovolenta, una decina di chilometri più a valle. Ma solo qualche ora.

Il bilancio finale dell'alluvione è di due morti, 15 diverse rotture degli argini, 29 esondazioni, 51 tra frane e smottamenti, 6.600 sfollati, l'autostrada A4 bloccata per quattro giorni, 55 strade principali interrotte, 230 mila animali di allevamento morti [1].

Il fantasma della protezione civile

Che la situazione fosse critica lo si sapeva. Si sapeva che avrebbe piovuto molto, che si stava alzando la temperatura (succede tutti gli anni a inizio novembre), che la pioggia avrebbe potuto sciogliere la neve già caduta in montagna, che stava soffiando lo scirocco come nel '66, rendendo difficoltoso il deflusso in mare delle acque dei fiumi. Era facile prevedere che il centro di Vicenza sarebbe stato inondato e non serviva un indovino per capire che una volta aperte le chiuse a Padova gli argini del Roncaiette non avrebbero tenuto. Ma l'unico avviso da parte della Protezione civile è stato un fax di allarme generico, inviato dalla Direzione Regionale difesa del suolo ai Comuni a rischio alle ore 14 di domenica 31 ottobre. Nei fatti prima dell'alluvione le uniche informazioni sono arrivate dai Comuni e dal passa parola. La protezione civile è arrivata dopo, a volte anche dopo qualche giorno.

Tutto si è mosso in ritardo rispetto alla velocità dell'acqua. Sia la Protezione civile che i mezzi di informazione. I telegiornali daranno le prime notizie solo la sera del 1 novembre [2], ma imprecise, generiche, contraddittorie.
Mancanza di informazioni e disorganizzazione rendano la situazione ancora più grave. Nei giorni successivi questo alimenterà la polemica contro "i giornali e i telegiornali che hanno sottovalutato la notizia", ma le informazioni non sono arrivate perché la Protezione civile e gli enti locali non sono state in grado di darle, a nessuno, neanche a chi stava per venire sommerso dall'acqua. Il primo comunicato stampa sull'alluvione in Veneto pubblicato sul sito della Protezione civile è del 6 novembre! [3]. Poche notizie in più nel Mattinale, ma sempre generiche e imprecise [4] e nei comunicati nella Protezione civile pubblicati nel sito della Regione Veneto [5] ma sempre in termini propagandistici (numero dei volontari mobilitati, ecc) e sempre in ritardo sugli eventi..

I numeri di Zaia

Il governatore Zaia, già la sera del primo novembre dà i numeri: "Le previsioni non erano certamente quelle di mezzo metro d'acqua in 48 ore [...] Si pensi che nell'alluvione del 1966 caddero 190 millimetri d'acqua, in questa occasione 500" [6].
Per la precisione tra il 31 ottobre e l'1 novembre i mm di pioggia caduti sono stati 415 nel Cansiglio e a Recoaro, 408 a Posina, 303 a Feltre, tra i 150 e i 250 nella zona collinare (Bassano, Conegliano, Vittorio Veneto) e ancora meno nella città: 92 mm a Vicenza, 52 a Treviso, 29 a Padova [7].

Una piovosità molto alta, ma tutt'altro che incredibile soprattutto se la si confronta con i dati storici veri e non con i fantomatici 190 mm citati da Zaia non si bene da che fonte: per esempio durante la alluvione del '66 (tre giorni di pioggia consecutivi) in Cansiglio in sole tre ore del 5 novembre 66 sono caduti quasi 660 mm di pioggia. E piovosità di questi livelli sono rare ma non impossibili: come per esempio i 493 mm in 12 ore al Pian delle Fugazze il 30 ottobre '76, o i 432 mm in 24 ore a Recoaro il giorno successivo, o i 515 mm in 12 ore a Posina il 6 ottobre '92 e nello stesso giorno i 500 mm in 12 ore a Recoaro... [8].

La verità è che dall'alluvione del 1966 sono passati 40 anni, ma sono passati per niente. Non solo non si sono fatte le opere idrauliche progettate dopo quella alluvione, ma ci si è proprio dimenticati di quanto possa piovere.
La prima cosa che ha fatto il governatore Zaia di fronte a questa evidenza è stato di imbrogliare sui numeri. Ma, dal momento che la Lega governa il Veneto da soli 7 mesi, il tentativo più che quello di assolvere sé stesso è stato quello di assolvere 40 anni di speculazione e di saccheggio del territorio, sotto l'amministrazione del suo grande nemico Giancarlo Galan (governatore dal 1995 al 2010) e prima ancora dei democristiani della tanto odiata prima repubblica [9].

E la ragione è evidente: bisogna chiedere a Roma ladrona un miliardo di euro e a fare polemiche si rischia che i danni invece li debbano pagare i responsabili: chi ha costruito nelle zone golenali [10], chi ha costruito nelle zone di esondazione (il Villaggio Montegrappa a Quinto Vicentino [11]), chi non ha realizzato i bacini di esondazione controllata previsti dopo l'alluvione del '66 [12], e chi i bacini di esondazione controllata li ha cancellati dalla carta geografica (come la nuova base USA al Dal Molin [13]), chi non ha rinforzato gli argini dei fiumi, chi non ha previsto piani di evacuazione, chi ha sottovalutato il rischio idraulico nonostante i ripetuti allagamenti del territorio veneto in questi decenni... chi ha gestito lo sviluppo economico del nord est trasformando il Veneto in un ammasso informe di cemento, asfalto e ... fango

Il Veneto prima del "miracolo"

Anche se fin dagli inizi del '900 il Veneto è considerato la terza regione industriale d'Italia, il suo tessuto produttivo si è sviluppato con molto ritardo rispetto alle prime due, Lombardia e Piemonte. Nel Veneto la percentuale di popolazione attiva in agricoltura, che è del 72% nel 1861, rimane a livelli altissimi fino al secondo dopoguerra: nel 1951 gli addetti in agricoltura sono ancora il 47% (760.000) contro il 27,5% di addetti all'industria [14].

L'industria è presente con i suo poli storici (collocati all'interno o a ridosso delle aree urbane), ma attorno ad essa sopravvive il Veneto agricolo e il suo difficile rapporto con l'acqua. I fiumi che scorrono nella pianura la hanno alluvionata più volte nei secoli e molte volte hanno anche cambiato corso, in conseguenza delle alluvioni [15], delle guerre [16], dei lavori di ingegneria idraulica [17]. In epoca romana il Brenta correva attraverso Padova e sfociava in laguna, di fronte a Venezia, adesso corre a nordest di Padova e sfocia a sud di Chioggia [18]. L'Adige passava per Este, adesso corre un quindicina di chilometri più a sud ed è un fiume pensile trattenuto nel suo alveo solo dagli argini che lo contengono. Il Bacchiglione finisce a Padova, dove si divide in due [19]: una parte attraverso una rete di canali artificiali confluisce nel Brenta, un altra parte continua il percorso nel vecchio alveo, talmente piccolo che cambia nome e diventa il Roncaiette, ed è quello che ha rotto gli argini la notte del primo novembre.

Una gran parte del terreno agricolo è stato riscattato alla palude con le bonifiche, il 10% della pianura veneta si trova sotto il livello del mare, a rischio costante di allagamento e per questo in molti tratti i fiumi devono correre pensili, sopra il livello del terreno, per garantire la pendenza necessaria a portare l'acqua fino al mare. Tra un fiume e l'altro i campi sono circondati da una fitta rete di scoli, che permettono un costante drenaggio del terreno e poi scaricano l'acqua nei canali e nei fiumi. Tutta roba scavata a mano nel corso dei secoli.

E' una regione povera che non permette il mantenimento di tutti. Fino al 1965 il Veneto è una terra di emigrazione: in un secolo dal nordest sono state costrette ad andarsene quasi 4 milioni e mezzo di persone. Agli inizi del '900 il Veneto è la terza regione per tasso di emigrazione (quasi l'8% della popolazione), superata solo Abruzzo e Calabria [20].
Il Veneto è anche la regione del Nord in cui (fino alla sua abolizione nel 1965) è più diffuso l'istituto feudale della mezzadria, tipico soprattutto del centro Italia e esaltato durante il ventennio fascista in quanto esempio di collaborazionismo interclassista [21].

Il mitico nordest: miracolo o maledizione?

E' solo negli anni '60 del XX° secolo che si avrà il decollo dell'industrializzazione del Veneto portando la percentuale di occupati nell'industria al 46,9% nel 1971 e assestandola definitivamente al 40% nel 1981 (per effetto dello sviluppo del settore terziario). Gli occupati nell'agricoltura scendono invece al 13,5% (207.00 addetti) nel 1971, all'8% (144.00 addetti) nel 1981 [22], fino ad arrivare oggi a soli 61.000 addetti [23].

Il Veneto moderno, quello del "miracolo del nordest" nasce con la crisi economica e politica della seconda metà degli anni '70: la grande fabbrica è diventata ingovernabile e viene messa a punto la strategia del decentramento produttivo: "piccolo è bello". Un nuovo modello industriale in cui le fabbriche già esistenti non crescono più, ma costruiscono attorno a loro una rete di imprese ancora più piccole, di terzisti, di laboratori. In molti casi vengono esternalizzati i reparti e i capi diventano fornitori dell'azienda per cui lavoravano [24].
Succede a nordovest come a nordest, ma è a nordest che questa strategia mostra tutta la sua potenza. La piccola proprietà agricola si è trasformata in capitale da investire nella piccola impresa, i rapporti sociali fondati sulla mezzadria vengono proiettati nell'età industriale. L'appaltatore è il signore e padrone del terzista, che per affrancarsi può solo tentare di produrre di più e di riuscire vendere nel libero mercato. Ma è una strada tutta in salita, che si percorre da soli e in competizione con gli altri.
Va detto che il nuovo modello di sviluppo entusiasma anche l’intellighenzia di una sinistra riformista che sta precipitando nel baratro della concertazione e fa propri i problemi degli industriali. "Piccolo è bello" diventa "piccolo è democratico" e si sprecano gli elogi della “Terza Italia”, dei “distretti”, del "made in Italy".

Il passaggio da un sistema produttivo prevalentemente agricolo a questo sistema centrato sulla piccola e media impresa, si è dato nell'anarchia più totale. Alla grande azienda non interessano i costi di trasporto, sono a carico dei subfornitori. Che non sono in grado di comprare la terra per costruire il loro capannone vicino alla grande azienda o almeno vicino ad una strada statale, ma possono solo costruirlo dietro casa, sui campi di proprietà. I piani regolatori e il tentativo di organizzare la produzione in distretti arrivano dopo e non possono fare altro che registrare l'esistente. Sui campi si costruiscono sempre più capannoni, le strade di campagna sono allargate e asfaltate per reggere il passaggio dei camion, sempre più numerosi.

Con la conquista al "libero mercato" dei paesi dell'Est, questi diventano prima uno sfogo naturale alle merci prodotte del nordest italiano e poi un luogo dove produrre a costi ancora più bassi. Le merci cominciano a girare come trottole, materie prime, semilavorati, prodotti finiti passano i confini in una direzione e nell'altra. Come se non bastasse si addotta pure il "just in time": i magazzini costano troppo, si risparmia facendo girare le merci in continuazione sui camion da una fabbrica all'altra, da un subfornitore ad un altro e poi subito alla vendita.

I capannoni si moltiplicano, ogni Comune ha almeno una zona artigianale, molte volte più di una. Si costruiscono altre strade, superstrade, autostrade. La Venezia Trieste che fino alla fine degli anni '80 serviva quasi solo a portare i turisti del nord europa a Jesolo e Lignano, deve garantire il flusso delle merci da e per i nuovi mercati. Diventa una processione lunga oltre 100 chilometri di camion uno dietro l'altro a qualsiasi ora del giorno e della notte. E non basta più. Si devono costruire altre strade, altre autostrade: la Rovigo-Venezia-Trento, la Treviso-Pordenone, la Pedmontana, il Passante. E di fianco alle autostrade le tangenziali, i raccordi, le camionabili.

Il modello veneto

La struttura produttiva che si è determinata è singolare: nel Veneto quando si parla di piccole imprese si parla di aziende vere, non di partite iva.

La percentuale di occupati nelle imprese individuali e nelle microimprese (inferiori a 10 addetti) in Veneto è inferiore alla media nazionale: l'11,7% contro il 15,2% nazionale per quanto riguarda le imprese individuali e il 28,8% contro il 31,2% nazionale per le microimprese.
Al contrario la percentuale di occupati nelle piccole imprese (tra i 10 e i 49 addetti) e in quelle medie (tra i 50 e i 249 addetti) è superiore alla media nazionale: il 25% contro il 20,8% nazionale per le piccole e il 15,3% contro il 12,6% nazionale per le medie.
Infine per quanto riguarda le grandi imprese (più di 250 addetti) le percentuali sono del 18,6% di occupati in Veneto contro una media nazionale del 20,1%
[25].

Nella fabbrica decentrata prolifera il lavoro a domicilio, il caporalato, il subappalto a catena, il lavoro nero. Il lavoro in regola è sotto costante ricatto del lavoro fuori regola. Nonostante il "miracolo" i salari in Veneto rimangono sempre più bassi rispetto al nordovest del paese. Ma i bassi salari non frenano lo sviluppo, anzi costringono al lavoro un numero maggiore di persone: il tasso di occupazione in Veneto nel 2000 è del 62% contro una media italiana del 54,8%, quello dell'occupazione femminile è del 53% contro una media italiana del 45,3% [26].

Il Veneto del nuovo millennio diventa anche terra di immigrazione: se nel 1991 gli immigrati sono solo lo 0,6% della popolazione residente, nel 2001 sono il 3,4% e nel 2009 sono il 9,9%, (489.000). La media italiana è del 7,1% e percentuali più alte del Veneto si registrano solo in Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia [27]. E' una immigrazione fortemente voluta dalle associazioni padronali, che ad ogni legge di regolamentazione puntualmente richiedono un aumento delle quote previste per il Veneto.

Attorno alla fabbrica non esiste un vero mercato di abitazioni in affitto per i nuovi lavoratori. Le poche case in affitto sono quelle costruite appositamente per speculare sugli studenti universitari e riciclate poi per i migranti, come i famigerati mini di via Anelli a Padova. Non a caso in Veneto quasi tutti sono "padroni a casa loro": la percentuale della popolazione che abita in affitto è la più bassa dell'Italia settentrionale: il 17,1% contro il 24,2% del Piemonte e il il 21,7% della Lombardia; nell'area metropolitana di Venezia le abitazioni in affitto sono il 17,5%, in quella di Torino il 26,2%, in quella di Milano il 24,8% [28].

Il cemento non assorbe l'acqua

Il nuovo Veneto non è cresciuto nella città, ma nelle campagne: mentre nei 50 anni precedenti il 1971 la popolazione dei poli urbani era aumentata del 73% e quella degli altri comuni solo del 6%, dopo il 1971 la popolazione delle città capolouogo rimane stabile o scende e crescono invece le piccole città e i nuovi agglomerati urbani edificati in quelle che erano le zone rurali[29].
Nel 2003 su un totale di 4.642.899 veneti, 1.840.239 (il 40%) risiedono nei comuni con meno di 10.000 abitanti, 1.082.948 (23%) nei comuni tra i 10.000 e i 20.000 abitanti, 673.469 (il 14,5%) nei comuni fino a 50.000 abitanti, solo 1.046.243 (il 22,5%) nei comuni oltre 50.000 abitanti [30]. Sono valori simili a quelli della Lombardia [31], ma molto distanti dalle medie italiane che vedono nelle 4 tipologie di comuni rispettivamente il 32%, il 15%, il 18,5% e il 34,5% della popolazione[32].

Solo il 10% di chi vive nei piccoli comuni veneti è addetto all'agricoltura, tutti gli altri lavorano nell'industria e nel terziario. Pendolari su strade già affollate di semilavoratori e di prodotti finiti in transito. Inurbati in quartieri che spesso non hanno alcun rapporto con il centro comunale, ma sorgono a ridosso dei confini con la città vicina.
Il Veneto moderno si è liberato della schiavitù della terra, ma le sue strade, i suoi capannoni, le sue villette e gli hinterland delle sue città appoggiano sulla stessa terra di prima. Sui quelli che una volta erano campi, circondati da scoli e canali.

Quando piove sul cemento l'acqua si comporta in maniera diversa rispetto a quando pioveva sui campi. Non può essere assorbita dal terreno e si riversa negli scoli e nei canali in una quantità tra le dieci e le venti volte superiore. Quando piove su un territorio urbanizzato al 10% e come se piovesse il doppio o il triplo.
Gli scoli e i canali di bonifica, che tra l'altro sono stati in buona parte tombinati e dimenticati nel sottosuolo sotto le nuove urbanizzazioni, non reggono più e l'acqua allaga le strade.
Quello che non finisce subito tra le case si riversa nei canali e poi nei fiumi. Ma ad una velocità tale che tra l'inizio della pioggia e la piena possono passare anche solo poche ore. L'allarme arriva puntuale... dopo che la piena ha già rotto gli argini.
Ma in Veneto i fiumi sono per buona parte pensili, scorrono sopra la pianura e non sotto. Quando l'acqua esce dagli argini, poi non c'è modo che ritorni da sola al suo posto. Servono pompe e idrovore.

Veneti brava gente?

Chi abita in una casa in affitto può giustamente lasciarla sott'acqua e farla ripulire al padrone che ha riscosso gli affitti per anni senza lavorare. Ma chi sta pagando il mutuo non può chiedere alla banca di tirare fuori la casa dal fango a sue spese, anche se la banca è la vera proprietaria della casa perché ne detiene l'ipoteca.

Il salariato dopo l'alluvione può giustamente lasciare l'onere di ripristinare la produzione al padrone, che spenderà parte dei profitti accumulati in anni di sfruttamento. Ma chi invece non è dipendente, ma terzista o piccolo imprenditore di un reparto esternalizzato non può reclamare nulla dall'azienda di cui è fornitore esterno. Anche se per anni quella azienda, magari una delle grandi firme del tessile o dei colossi dell'agroalimentare, ha fatto la parte del leone nella divisione degli utili.

E se poi sei solo un dipendente, magari immigrato, del piccolo imprenditore, sai benissimo che se la piccola azienda chiude non hai diritto a nulla. Per cui comunque ti rimbocchi le maniche e cominci a spalare.

L'alluvione evidenzia la faccia nascosta del "miracolo del nordest", del "piccolo è bello". La catena del ricatto e la dittatura dei schei che sono alla base dei rapporti sociali del Veneto di oggi. I piccoli padroni, i terzisti, si illudono di aver fatto il salto, di essere parte della classe padronale, ma, alla prova dei fatti, hanno sulla testa non uno ma tre padroni: la grande azienda, che decide chi deve produrre cosa e a che prezzo, la banca che presta a interesse il capitale necessario alla produzione, e infine lo Stato che deve difendere gli interessi generali del capitale e quindi rafforzare la catena del ricatto.

E anche se molti di questi piccoli imprenditori in questi anni si sono potuti costruire delle belle case e hanno potuto togliersi voglie e sfizi, hanno accumulato ben poco, e piuttosto hanno contribuito ad accumulare i capitali della grande aziende e delle banche.
Ma dal momento che si sentono "industriali", o comunque si illudono di riuscire a diventarlo davvero, riversano le loro contraddizioni su chi sta sotto, sul lavoro dipendente, e non su chi sta sopra. Cane non mangia cane.
E se la grande aziende controlla i subfornitori mettendo l'uno in concorrenza con l'altro, i subfornitori cercano di controllare i dipendenti allo stesso modo, dividendoli e mettendoli in concorrenza tra di loro, con trattamenti diversi, contratti diversi e un uso spudorato dei "fuori busta" (che permettono anche di evadere un po' di tasse).

Piove sul bagnato

A differenza del 1966, questa alluvione avviene in un periodo di crisi economica e ne amplifica la portata. Il sistema veneto appare efficente, produttivo, dinamico... ma in realtà è fragile e autodistruttivo.

Il suo sviluppo caotico ha portato al saccheggio indiscriminato del territorio e dove l'acqua è uscita dagli argini il "piccolo è bello" è stato messo in ginocchio. Servono i soldi, non solo quelli per i danni, ma soprattutto quelli per riavviare l'attività. Se si il "piccolo è bello" è costretto a chiederli in prestito alle banche o, ancora peggio, all'industria di cui è fornitore, il suo destino è quello di annegare, questa volta definitivamente, nei debiti.

L'alluvione è solo un assaggio di quello che potrà avvenire con l'approfondirsi di una crisi che può mettere in discussione le stesse basi di questo sviluppo: quella strategia di politica economica messa a punto trenta anni fa, alle prime avvisaglie di crisi, che vedeva la possibilità di costruire una controtendenza alla crisi nel decentramento, nella rafforzamento della piccola e media industria, nell'aumento dei proprietari dei mezzi di produzione e quindi nella costruzione in "laboratorio" di una piccola borghesia produttiva che si assumesse in proprio i rischi dell'imprenditoria, nell'illusione di poter diventare un giorno "grande".

Note

^ 1) Veneto Ferito in Regione Veneto - primo piano

^ 2) Il tg3 delle ore 12 di lunedì 1 novembre parla solo di generico allerta in tutto il centro nord per frane e esondazioni. Il tg3 della sera dà la notizia che a Vicenza l'acqua arriva a sommergere le auto ma nulla di più. Si parla treni deragliati e autostrade allagate ma senza precisare dove e quando. Finalmente il tg3 delle ore 12 del 2 novembre informa che "in Veneto la situazione critica. A Vicenza è arrivato l'esercito. Per Bertolaso la situazione grave ma sotto controllo. Emergenza anche nel padovano. Viabilità complicata sempre chiusa l'autostrada A4". Fine del servizio

^ 3) Protezione Civile Comunicati stampa

^ 4) Per esempio nel Mattinale del 2 novembre L'incipit è "Nel corso della notte la situazione è migliorata" (?!?) e il testo segue senza nessun tipo di indicazione per chi da li a poche ore verrà sommerso dall'acqua. Esempio: "il canale Roncaiette è esondato e alcune famiglie sono state evacuate da personale del 118"... ma già nella notte tutto il centro abitato di Casalserugo è stato allegato dalle acqua del Roncaiette e da lì a poche ore lo stesso Roncaiette allagherà anche Bovolenta

^ 5) Pagina della Protezione civile nel sito della Regione Veneto

^ 6) Veneto in ginocchio: dispersi e sfollati - Quotidiano.net

^ 7) Alluvione in Veneto, affondata Vicenza, dati e analisi dello straordinario evento - Meteo Giornale

^ 8) Dati sulle piogge intense nell'Italia nord-orientale in Banca dati sulle piogge intense nell'Italia nord-orientale Istituto di ricerche per la protezione idrogeologica

^ 9) Presidenti del Veneto Frigo, Cremonese, Bernini...

^ 10) Nella città di Padova più di un milione di euro di danni riguardano gli impianti sportivi privati costruiti nella golena del Bacchiglione: Rari Nantes, Canottieri e Circolo Ufficiali dell’Aeronautica

^ 11) Testimonianza "idraulica" sull'alluvione a Vicenza

^ 12) In Veneto non c'è un fiume sicuro intervista a Luigi D'Alpaos docente di idrodinamica

^ 13) Vicenza. Alluvione? Non per tutti: gli statunitensi all’asciutto grazie ai nostri soldi

^ 14) Guida d'Italia Veneto TCI in Google Books

^ 15) Rotta della Cucca (anno 589), Rotta del Pinzone (anno 950), Esondazioni dell'Adige (1882, 1966 1981) Le "Brentane" (589, 1110, 1725, 1781, 1823, 1827, 1839, 1966)

^ 16) Disastro della Brentasecca (guerra tra Padova e Venezia, XII secolo), Canale Bisatto (guerra tra Padova e Vicenza, 1139), Canale Piovego (guerra tra Padova e Vicenza,1209), Canale Brentella (guerra tra Padova e Vicenza, 1314), Rotta della Malopera (guerra tra Venezia e Milano, 1438)

^ 17) le deviazioni del Brenta sotto la Repubblica Veneta (La "tajada" a metà del 1300, La Brenta Nova agli inizi del 1500, Il Taglio Nuovissimo agli inizi del 1600), Canale Scaricatore (Padova tra la seconda metà del 1800 e gli anni venti del 1900), Il canale in galleria Adige-Garda (inizi del 1900)

^ 18) Storia del fiume Brenta

^ 19) Il Bacchigione

^ 20) Dalle Tre Venezie al Nordest di Edorado Pittalis pgg.19,60

^ 21) Mezzadria

^ 22) Guida d'Italia Veneto TCI in Google Books

^ 23) Occupati agricoli 2008: cresce in Veneto la perdita di addetti

^ 24) Questa trasformazione viene esplicitamente favorita da una serie di provvedimenti legislativi: la non applicazione dello statuto dei lavoratori alle imprese con meno di 15 dipendenti (1970), la sostituzione dell'Ige con l'Iva, che eliminò la convenienza fiscale a mantenere indivisa l'impresa (1973), la legge Visentini con l'introduzione di un sistema di tassazione forfetario che favorì il sommerso (cfr. Il Nordest e il suo oriente - Devi Sacchetto)

^ 25) Confronto tra i dati relativi al 2001 ricavati da Tavola 1.4 Imprese e addetti per classe di addetti - 1981, 1991, 2001 in 8° censimento generale dell'industria e dei servizi 2001 e da Censimento dell'industria e dei servizi (anno 2001) in Direzione Sistema Statistico Regionale

^ 26) Rapporto Statistico 2006 Regione Veneto

^ 27) Immigrazione straniera in Veneto - Rapporto 2010 in Veneto Immigrazione

^ 28) La condizione abitativa in italia Sunia

^ 29) Guida d'Italia Veneto TCI pagina 62

^ 30) Una regione tanti centri tabella 1. Numero di comuni e popolazione per classe di ampiezza demografica dei comuni - 2003

^ 31) Demografia_della_Lombardia Wikipedia

^ 32) 14° censimento Istat

Collettivo redazione del pane e le rose

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