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100.000 in piazza a Dublino, il popolo irlandese in rivolta contro gli strozzini di UE e FMI

(28 Novembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

100.000 in piazza a Dublino, il popolo irlandese in rivolta contro gli strozzini di UE e FMI

foto: www.radiocittaperta.it

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

28-11-2010/16:29
--- Hanno sfilato in 100 mila ieri per le strade di Dublino. Un vero e proprio evento in un paese di neanche 5 milioni di abitanti, da decenni immerso nella calma piatta dal punto di vista delle mobilitazioni politiche e sociali. Ma ora che gli scagnozzi del ‘sistema-Europa’ si sono presentati sull’uscio di casa con la benda sugli occhi, la pistola in mano e il sacco da riempire sulle spalle, improvvisamente il clima si è surriscaldato. E il nemico è improvvisamente diventata quell’Unione Europea che per anni ha fatto le fortune di quella che orgogliosamente gli stessi irlandesi avevano ribattezzato ‘la Tigre Celtica’, mutuando una denominazione coniata qualche anno prima per le galoppanti economie del sud-est asiatico. Per tutti gli anni ’90 Dublino è stata inondata, come altri territori europei più o meno depressi, di finanziamenti e aiuti, per lo più destinati a far decollare una economia fittizia fatta di speculazione finanziaria, call center e imprese hi tech. Poi la distensione e la fine degli scontri armati nel Nord Irlanda, sotto occupazione britannica, avevano prolungato per qualche anno una pacchia che in qualche modo aveva dato l’illusione agli irlandesi che per loro fosse definitivamente tramontata l’epoca delle ristrettezze o dell’emigrazione forzata. Ma ora il benefattore di ieri è improvvisamente diventato un intransigente strozzino che chiede indietro gli ‘aiuti’ del passato pretendendo interessi che metteranno in ginocchio generazioni di irlandesi. La rabbia e la disillusione hanno smosso gente che mai avrebbe pensato di manifestare contro i tecnocrati di Bruxelles e Francoforte e una classe politica fino ad ora inamovibile.
Ieri una marea umana quanto mai determinata ha invaso il centro di Dublino per protestare contro il cosiddetto piano di ‘austerità’ messo a punto dal governo di Brian Cowen come contropartita al prestito da 85 miliardi promesso dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dalla Banca centrale europea (Bce). La manifestazione, indetta dalla confederazione dei sindacati irlandesi (Ictu), si è conclusa davanti all'ufficio centrale delle poste in O' Connell Street. Per capirci, esattamente dove nel 1916 i repubblicani dichiararono l'indipendenza dell'Irlanda da Londra. Si, perché, affermano i rappresentanti della protesta e molti leader dei lavoratori, oggi l’indipendenza di allora va difesa e rilanciata, visto che la classe politica locale sta supinamente cedendo la sovranità popolare e nazionale ai banchieri e ai tecnocrati della Commissione Europea e del Fondo Monetario Internazionale, svuotando di poteri e autorità parlamento e governo. Era già accaduto ad Atene, ma gli irlandesi non ci avevano fatto molto caso. Ora che è la ‘tigre celtica’ a subire le moleste attenzioni delle istituzioni sovranazionali in molti tornano a rivalutare quei valori del repubblicanesimo progressista per tanti anni chiusi nei musei di storia di Dublino. Tant’è che ad avvantaggiarsi della improvvisa crisi economica e politica sembra essere lo Sinn Fein, un partito indipendentista e di sinistra che fino ad ora aveva avuto un ruolo marginale nelle sonnacchiose istituzioni irlandesi, con soli 4 rappresentanti al Parlamento. Un parlamento che però ora potrebbe presto saltare, visto che il governo presieduto dal ‘traditore’ Cowen – quello che ha chinato la testa di fronte ai diktat di UE e FMI – rischia di perdere la maggioranza dopo la tardiva fuoriuscita dalla coalizione di governo dei Verdi. Nessuna delle forze politiche dell’establishmet sembra poter approfittare della crisi: non di certo il Fianna Fail, il partito di governo, che ha dominato la politica irlandese negli ultimi 60 anni e che ora secondo alcuni analisti potrebbe diventare una forza politica marginale; neanche il Fine Gael, il perno di una alternanza sbiadita e afona. Neppure i Verdi che, vigliaccamente, hanno prima appoggiato tutte le scelte suicide del governo e pochi giorni fa hanno abbandonando Cowen al suo destino per non pagarne le conseguenze. I socialdemocratici del Labour party potrebbero aumentare i loro consensi, e stanno di fatto orientando più a sinistra del solito i loro discorsi. Ma chi è partito subito all’attacco è stato soprattutto lo Sinn Fein, un partito nettamente schierato a sinistra e da sempre molto critico nei confronti di un sistema economico che, anche quando sembrava macinare successi - drogato com’era dai mutui spazzatura e dalla speculazione - non brillava certo per lungimiranza, equità e giustizia sociale. Un primo segnale c’è stato venerdì nel West Donegal lo Sinn Fein ha vinto, a sorpresa, le elezioni suppletive.
Il capogruppo dei repubblicani al parlamento di Dublino, Caoimhghin O Caolain, ha annunciato un voto di sfiducia nei confronti del primo ministro Brian Cowen. I militanti e gli stessi dirigenti dello Sinn Fein in questi giorni sono alla testa di proteste popolari come la manifestazione di ieri o di veri e propri blitz come quello di inizio settimana, quando 50 militanti repubblicani sono riusciti a varcarne i cancelli del palazzo del governo prima di essere ricacciati indietro dalla polizia. Anche ieri, al termine della grande manifestazione, uno spezzone di circa 500 persone ha raggiunto il Dail, la Camera dei deputati, dove ci sono state alcune scaramucce della polizia e un'immagine di Cowen è stata data alle fiamme. Gli stessi leader sindacali sono stati fischiati dalla folla ieri mentre lanciavano i propri tardivi strali di circostanza nei confronti del governo e delle istituzioni internazionali; d’altronde per anni le confederazioni sono state la cinghia di trasmissione dei partiti di governo e molti manifestanti non li trovano oggi molto credibili alla testa di proteste che potrebbero presto diventare molto più dure.
‘Rigore’, ‘austerity’, ‘aiuti’, ‘salvataggio’ sono i termini più usati dai media irlandesi e internazionali per descrivere quanto sta accandendo a Dublino e l’intervento di UE e FMI. Quegli stessi media che, con una maliziosa ingenutià, adombrano un interrogativo: se il governo chiede un po’ di sacrifici agli irlandesi dopo anni di vacche grasse e le istituzioni internazionali offrono prestiti da capogiro, di che si lamentano i manifestanti?
Rivolgiamo la domanda all’economista Maurizio Donato. “Gli euro dittatori di Francoforte e Bruxelles hanno messo a segno un bel colpo. Un colpo da quasi 100 miliardi di euro. Il messaggio all’Irlanda, e agli altri paesi man mano presi di mira è: ‘tu Stato fallisci se, come e quando lo decidiamo noi’. Lo sviluppo economico dell’Irlanda in questi anni è stato segnato da due caratteristiche: le banche prevalentemente tedesche e inglesi prestavano ingenti fondi alle imprese che accorrevano ad investire nella cosiddetta Tigre Celtica, attratte dalla bassissima aliquota fiscale alla quale erano sottoposte, solo il 12.5%; le banche irlandesi hanno finanziato in maniera indiscriminata molti investimenti azzardati, spesso finiti male. Queste banche ora sono sull’orlo del fallimento, e quindi quando si parla di fallimento dell’Irlanda in realtà si dovrebbe parlare di fallimento delle banche che hanno investito in Irlanda” risponde Donato ai microfoni di Radio Città Aperta. E poi aggiunge: “Le istituzioni economiche e finanziarie europee e internazionali stanno agendo esattamente come hanno già fatto nei confronti della Grecia o come Obama ha fatto con gli istituti finanziari statunitensi: si usano i fondi pubblici – in questo caso il Fondo di Stabilizzazione creato ad hoc dall’UE pochi mesi fa – per riempire i forzieri delle banche e al tempo stesso tagliare il welfare e salvare il sistema”.
Mentre decine di migliaia di lavoratori, pensionati e giovani sfilavano nel centro di Dublino sfidando un’ondata di freddo polare, il Premier Cowen era a trattare la capitolazione del paese con una delegazione del Fmi e della Bce. Da indiscrezioni per ora non confermate risulterebbe che al megaprestito concesso a Dublino verrebbe applicato un tasso d'interesse di oltre il 6%. Altro che aiuti!
In cambio dei famigerati prestiti il Governo di Dublino ha dovuto – o voluto, ma cambia poco – accettare una serie di condizioni che piomberanno sulla popolazione irlandese come uno tsunami. Il piano di ‘rigore’ prevede tagli ai sussidi per la disoccupazione e agli assegni familiari, alla sanità e all’istruzione per un totale di 3 miliardi; l’eliminazione di ben 25.000 posti di lavoro nel settore pubblico; stipendi ridotti del 10-15% per i nuovi assunti nella pubblica amministrazione e licenziamenti per i «vecchi» che costano troppo. Per i lavoratori del settore privato è prevista la riduzione del salario minimo che sarà portato a 7,65 euro l'ora, un euro meno di quello attuale. Se non bastasse il piano prevede anche l’aumento della normale aliquota Iva al 22% nel 2013 e al 23% nel 2014. Il tutto per accontentare Fmi e Bce, pronte a fornire 50 miliardi per consolidare il debito pubblico e 35 miliardi per stabilizzare i bilanci delle grandi banche dell'isola, sull'orlo del fallimento a causa dei mutui spazzatura. Ma almeno i sacrifici imposti ai lavoratori e alle nuove generazioni serviranno a qualcosa? Secondo il sociologo irlandese Kieran Allen no, non serviranno proprio a nulla. «Quello che sta succedendo in Irlanda deve servire da avvertimento a Portogallo, Spagna e Italia. Gli speculatori non si fermeranno qui» avverte Allen sulle pagine de Il Manifesto. “I cittadini irlandesi hanno già pagato 45 miliardi di euro, un terzo del Pil, per salvare le banche (...). Questo piano di salvataggio aggiunge al conto 90 miliardi di euro, altri due terzi della ricchezza prodotta in un anno dal paese. L'Fmi e la Banca centrale europea in questo modo rendono più difficile la strada verso la ripresa, scaricando sulla collettività i debiti di banche destinate al fallimento. In cambio del prestito, Fmi e Unione europea imporranno una politica restrittiva che non farà altro che peggiorare la situazione economica, con il rischio di scatenare una spirale negativa senza via d'uscita. Come successo durante la crisi degli anni '60 e della fine anni '80, ancora una volta il sistema capitalista irlandese si rifà sui lavoratori e condanna il paese all'emigrazione di massa. Per sapere cosa succederà all'Irlanda nei prossimi anni, basta guardare a Lituania e Lettonia, da cui la gente è fuggita dopo il lancio di piani di aggiustamento strutturale”.
I lavoratori ed i giovani irlandesi hanno tutti i motivi per incazzarsi, checchè ne dicano alcuni prezzolati commentatori ed analisti duri di comprendonio. O no?

Radio Città Aperta - Roma

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