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Eurocrazia

(29 Novembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.rete28aprile.it

Lunedì 29 Novembre 2010 16:12
di Giuliano Garavini
Fino a prima della crisi economica del 2007 con il termine “eurocrazia” si intendeva il potere crescente della burocrazia europea di Bruxelles. Oggi al termine va attribuito un altro significato: e cioè che le necessità vitali della moneta unica stanno dettando tutte le maggiori scelte riguardanti l’integrazione europea. L’euro si sta dimostrando sempre di più come la sostanza prima dell’Unione europea, con il rischio conseguente che alla fine dell’euro possa corrispondere la crisi definitiva di tutto il processo di integrazione europea.
Non vi è nulla di scontato nel fatto che tutta la politica economica dei governi sia sacrificata allo scopo di salvaguardare la stabilità di una moneta nei mercati internazionali o, peggio, la sua stessa sopravvivenza. Questo è però quanto avvenuto in Europa a partire dalla firma del trattato di Maastricht nel 1991. Dapprima, tutti gli sforzi politici dei leader europei sono stati indirizzati al modo in cui creare e poi entrare a far parte del gruppo di testa della moneta unica. In seguito, a partire dalla crisi finanziaria che dal 2007 ha investito principalmente i paesi occidentali, tutti gli sforzi stanno riguardando unicamente la ricerca del meccanismo attraverso il quale mantenere in vita la stessa moneta unica. In questi venti anni tutti i tentativi di pensare più in grande per l’Europa, vedi il Piano Delors nel 1993 oppure il dibattito sulla Costituzione europea dopo l’allargamento all’Europa dell’Est, sono stati respinti (Piano Delors) o hanno dato vita a compromessi risibili e senza avvenire come la Costituzione di Giscard d’Estaing, giustamente bocciata dagli elettori olandesi e da quelli francesi nei referendum del 2005.
(...)
Negli Stati Uniti le banche e il loro salvataggio hanno certo generato scontento ma non tutta la strategia economica del governo si è basata sulla difesa di dollaro e banche. C’è un governo dell’economia a Washington che, giuste o sbagliate che siano, prende delle decisioni sugli investimenti sanitari, sulle infrastrutture e l’industria, sulle tasse. Nell’eurozona c’è una necessità assoluta, la sopravvivenza dell’euro e la bassa inflazione, alla quale priorità ogni disegno politico, sociale e culturale viene subordinato. Non pochi paventato i danni di un’unione monetaria senza contrappeso politico già alla sigla del trattato di Maastricht, ma l’entusiasmo dell’Europa che si univa dopo la caduta del Muro aveva fatto sì che parecchie giuste critiche fossero accantonate come di retroguardia.

I rischi della concentrazione odierna sulla ricerca della via più semplice per salvare l’euro, e cioè sul come imporre drastiche cure dimagranti agli Stati sociali e sul come decurtare brutalmente il tenore di vita dei cittadini dei Paesi che sono sotto attacco da parte dei mercati finanziari (in Irlanda dal prossimo anno il 20 per cento delle entrate serviranno a pagare i debiti contratti con l’Ue e il Fmi), non faranno che aggravare i giganteschi problemi strutturali dell’integrazione europea. Mi piacerebbe elencarne alcuni di questi problemi: la disgregazione degli Stati nazionali sotto pressione di movimenti politici e culturali di carattere localistico e regionalistico senza particolare affetto per Bruxelles; l’accentramento delle risorse economiche e finanziarie nelle zone più competitive (Germania e la vecchia area del marco) a discapito delle nazioni che arrancano; le difficoltà economiche e sociali di quasi tutte le economie dell’Europa dell’Est con l’eccezione di quella polacca; le sempre più forti tensioni sociali fra i giovani, disoccupati ed immigrati che minacciano la convivenza democratica e la solidarietà nazionale; l’evanescenza della politica estera europea che rende l’Unione europea anche un debole interlocutore economico; la totale assenza di un politica culturale europea che sia di aspirazioni più solide di un semplice progetto di mobilità come l’Erasmus (che tra l’altro riguarda un numero sempre più esiguo di studenti selezionati tra i ceti più privilegiati della popolazione).

In altre parole, il vero rischio è che la cieca concentrazione sull’imporre politiche restrittive ai paesi più sofferenti dell’area euro, salverà forse la moneta unica, ma distruggerà i cittadini e la stessa Unione europea che ha invece bisogno di misure più strutturali e di carattere “costituzionale”. L’eurocrazia è il singolo fattore che in questo momento mette maggiormente a rischio il processo di integrazione europea. Questo processo (con tutte le sue contraddizioni) fino agli anni Novanta ha garantito pace fra le nazioni e anche benessere economico, mentre oggi contribuisce a mettere in crisi la stabilità sociale interna alle nazioni, e garantisce il benessere economico solo di alcune di esse.

La sfida del futuro in Europa è tutta centrata sul mettere in discussione l’eurocrazia e il suo oramai ventennale dominio, dibattere di nuove misure politiche e culturali di carattere costituzionale, ed eventualmente coinvolgere i popoli europei nel dibattiti effettuando in tutti i paesi, a partire dall’Italia dove questo non si è mai svolto, un referendum popolare sull’Europa.

Rete del 28 aprile per l'indipendenza e la democrazia sindacale

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