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Teheran, cosa c’è dietro le bombe assassine

(2 Dicembre 2010)

Le bombe tornate a esplodere a Teheran contro bersagli mirati - due scienziati del programma nucleare che restano uno ucciso, Shahriari Majid, l’altro, Fereidoun Abbasi, gravemente ferito - non scoppiano certamente a caso. Da pochi giorni la centrale di Bouchehr, pronta a produrre energia nucleare, ha avviato i collaudi definitivi e, pur viaggiando al 50% della potenza, fra due mesi dovrebbe essere in grado d’immettere 1000 megawatt sulla rete di distribuzione nazionale. Nell’agosto scorso il capo del programma nucleare Akbar Salehi, mostrando alla stampa estera il reattore in via di ultimazione col supporto tecnologico russo, ricordava come i Paesi occidentali del 5+1 (Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania) avessero a lungo impedito l’ultimazione del protocollo. Queste stesse quattro nazioni, più Cina e Russia, sono attese il 5 dicembre prossimo a un nuovo tavolo di trattative sul nucleare iraniano dopo più di un anno di sospensione delle sedute. E non è assolutamente casuale che i discorsi sul suo uso energetico civile o sulle ipotesi del temuto armamento atomico da parte del Paese degli ayatollah sia preceduto da esplosioni.

Obiettivo sono stati nuovamente scienziati impegnati nel progetto, com’era accaduto nel gennaio scorso a Massoud Mohammadi vittima anche lui di un ordigno. Il presidente Ahmadinejad conformemente al ruolo ha accusato “il regime sionista e gli occidentali coinvolti nell’omicidio”. Al di là della propaganda che lo contraddistingue, non è un segreto che da tempo in Iran Cia e Mossad abbiano scelto la via della destabilizzazione, infiltrandosi anche nel grande movimento di protesta del 2009. Il disegno di minare dall’interno il sistema del velayat-e faqih appare più consono rispetto a un attacco militare esterno che potrebbe diventare un boomerang, rinsaldando lo spirito nazionale della popolazione allo Stato confessionale. Altri osservatori sostengono come la stessa Intelligence locale e la forza militare dei Pasdaran, i cui interessi economici sono copiosi, abbiano voglia di tenere alta la tensione e agitare lo spauracchio dell’attacco alla sovranità della nazione. E dunque ispirerebbero e organizzerebbero gli attentati. Ma i risvolti della geopolitica mondiale, che vedono nel Grande Medioriente una zona strategica sotto il profilo militare, non nascondono il classico contraltare economico di approvvigionamento energetico e sfruttamento delle risorse tutt’ora primarie di idrocarburi e gas.

Gli stessi aiuti che Teheran riceve dalla Russia in ambito nucleare hanno un doppio peso, tecnico come nell’impianto di Bouchehr e politico verso le decisioni prese dai membri del 5+1. Naturalmente Putin e Medvedev non sono in vena di regali. Anzi fanno pagare caro ogni loro passo a favore dell’Iran. La guerra dei gasdotti che contrappone i progetti Nabucco di Usa e Unione Europea e South Stream dell’asse Russia-Eni ha una ricaduta regionale nello sfruttamento dei giacimenti del Caucaso. Lì da parte iraniana c’è ora un forzato ridimensionamento delle velleità nel proprio sottosuolo, ricco di metano come tutta l’area, a vantaggio del colosso Gazprom. Mosca sorride e ricambia il favore in ambito nucleare. Queste solidarietà dureranno e potranno mutare attori, nulla è scontato. E fra chi agita lo spauracchio d’un cartello del gas, modello l’Opec petrolifera degli anni Settanta, e chi sostiene che questo non potrà accadere perché il prodotto viaggia nei gasdotti, la questione continua a venir dibattuta. Però avere il controllo strategico dell’area e governi amici lungo l’asse dei tracciati di futuri gasdotti terrà in quella fetta di mondo non solo manager ma anche generali e truppe, non solo in funzione dissuasiva.

30 novembre 2010

Enrico Campofreda

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