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(Senza casa mai più!)

Vivere in via mejo de’ gnente nel quartiere che non c’è

Reportage dalle periferie di Roma

(3 Dicembre 2010)

via mejo de’ gnente 1

Se le vite di Barbara, Carmine, Maricica, Amr si sono spinte fino a Colle degli Abeti - Lunghezzina, zona est di Roma Capitale, prossima più a Villa Adriana che ai Fori - una ragione c’è. Evidentissima. E’ impressa in quell’orizzonte di finito, approssimato e auspicabile del grande cantiere edile che l’intera area rappresenta. E’ il loro bisogno di casa che s’incrocia col businness post palazzinaro in un territorio che non è frontiera, è ben oltre. Era pineta (gli abeti del nome vengono da lì) e campagna, pascolo e porcilaia. Dal 2004 per “merito” di ditte come Di Veroli, Lunghezza Costruzioni, Belpoggio e delle giunte che hanno concesso l’edificabilità la zona è diventata, o vorrebbe diventare, l’ennesimo quartiere satellite oltre il Grande Raccordo Anulare emulando il vicino Ponte di Nona inventato da Caltagirone. Agglomerati identificabili per l’adiacente Centro Commerciale, Roma Est, che “griffa” il luogo e scandisce spazio, tempo, gusti degli abitanti che ne diventano clienti. Obbligati. Perché senza quell’oasi difficilmente chi vive lì può approvvigionarsi di alcunché. Per Maricica Vassillache, rumena e madre di sette figli, che ogni giorno deve accompagnarne quattro a scuola a piedi su uno sterrato che è palude d’inverno e poi steppa polverosa come l’Oklahoma dei Joad, quello è il tributo da pagare al vantaggio di avere una casa assegnata a prezzi agevolati. Dai sette ai cento euro al mese, secondo nucleo e reddito, che per molte delle 117 famiglie in graduatoria d‘assegnazione o in emergenza abitativa finite qui dall’aprile scorso è una manna dal cielo.

via mejo de’ gnente 2

Manna comunque amara per un’altra madre che a casa non sta, anzi arriva a lavorare fino a Monte Mario. Si chiama Barbara Nadolska e racconta: “Percorro a piedi un chilometro in quindici minuti. Arrivo sulla Collatina, aspetto il bus e in quaranta minuti sto alla stazione di Lunghezza. Da lì un treno regionale mi porta in mezz’ora alla Stazione Tiburtina”. Quasi un’ora e mezza. Da quel punto si sommano i tempi che ogni pendolare urbano conosce. “Il mio tragitto per Monte Mario può durare circa tre ore”. Come da Roma a Bologna. Barbara è una mediatrice culturale, ha un marito e una figlia dodicenne, non hanno l’automobile. “Sarebbe solo una spesa inutile, tanto le code sulla Prenestina sono chilometriche. Per mia figlia venire ad abitare qui è stato un trauma. Stavamo ai Colli Portuensi, lì poteva usare la piscina mentre in questa desolazione ha difficoltà anche ad andare a scuola. Dopo le cinque è buio fitto, le strade non sono illuminate e mettono paura. Certo qui l’affitto è agevolato, però accanto alla colata d’asfalto su alcune strade molti servizi promessi non si vedono”. Eppure di buona volontà i quattromila che per ora popolano la landa, e ne sono attesi altri settemila, ce ne hanno messa. Con un minimalismo pauperistico hanno chiamato una via “Mejo de gnente” e la denominazione è entrata nella toponomastica dell’VIII municipio. Ma quelle strade con tanto di tabella piantata in terra, e in tanti casi non collaudate, non cercatele sulle mappe.

via mejo de’ gnente 3

E’ stato difficile trovarle anche alle gazzelle dei Carabinieri chiamate per emergenza. Lo stesso 118, in soccorso a dei feriti, ha dovuto chiedere informazioni come testimonia Carmine D’Anzica, uno degli animatori del Comitato di quello che vorrebbe diventare a tutti gli effetti. “L’ultimo episodio risale a tre mesi fa. La situazione vale per tutti, proprietari e assegnatari, che dopo iniziali attriti ora solidarizzano e collaborano. Io l’appartamento l’ho acquistato grazie al piano agevolato: 190mila euro per 86 mq, coi prezzi del mercato immobiliare sarebbe stato impossibile. Però il vero affare qui lo fanno i costruttori che ti spingono a rogitare anche senza servizi primari. Le nostre case sono accessibili, non abitabili, in una parte dei condomini non ci sono né gas né linee telefoniche e chissà quando arriveranno. All’Assessorato all’urbanistica queste cose le sanno. Le esigenze sarebbero anche altre: le scuole sono due (Ciriello e Falcone, ndr) che fra poco non basteranno perché le giovani coppie che giungono qui hanno bambini. Le stesse richieste di spazio sociale come un parco giochi finora il Comitato non le ha avanzate perché stiamo pensando ai servizi primari come quelli descritti o ai mezzi pubblici”.

La consigliera del Gruppo Misto al Comune di Roma Gemma Azuni, che nei giorni scorsi ha incontrato una delegazione di abitanti, dice “Nel sopralluogo ho visto palazzi e strade, molte non ancora collaudate, rotatorie per le automobili ma nessuna piazza, né punti dove le persone possono incontrarsi. Questi luoghi servirebbero perché, pur fra i disagi, la ricchezza umana di simili aggregati è immensa. I tratti giovanili e interetnici degli abitanti sono fattori su cui costituire una crescita collettiva. Per cercare di organizzare meglio la loro vita il Comune deve offrire strutture indispensabili e avvalersi delle competenze di professionisti di relazioni umane. Invece sono le immobiliari a decidere quasi autonomamente il volto che queste zone assumono e gli amministratori, anziché indirizzare e dirigere, ratificano e spesso non controllano. Ci troviamo né più né meno come nella Roma degli anni Cinquanta senza alcuna connessione fra il piano urbanistico, quello dei servizi, gli aspetti sociali e ancor più quelli culturali che un centro moderno dovrebbe avere. Le poche pianificazioni seguono logiche di ingegneri e architetti mentre servirebbero pareri e decisioni anche di sociologi e antropologi perché questi luoghi si riempiono di uomini, donne, bambini, anziani che devono vivere, non sopravvivere. Costoro hanno diritto al benessere mentre qui, come in altri pezzi di Roma, esiste solo il benessere di chi mette il mattone. Se la politica non vigila e non richiede strutture dove inserire, ad esempio, i consultori familiari per madri e figlie, i servizi di medicina territoriale della Asl, i centri per giovani o anziani, chi li edificherà?”

3 dicembre 2010

Enrico Campofreda

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