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Brasile: riconoscimento dello stato palestinese

Con l’annuncio del presidente brasiliano Lula arriva a 112 il numero dei paesi che riconoscono lo stato palestinese sui confini del 1967. Ma la leadership palestinese tentenna nell’avanzare una richiesta formale di riconoscimento all’ONU.

(6 Dicembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Brasile: riconoscimento dello stato palestinese

foto: www.nena-news.com

Gerusalemme, 6 dicembre 2010 , red Nena News - L’annuncio diplomatico da parte del Brasile dello scorso venerdì, porta a 112 il numero dei paesi, tra cui Cina, India, Russia, Sud Africa, Turchia e 6 paesi dell’Unione Europea, che riconoscono lo Stato palestinese sui confini del 1967, cioè prima dell’occupazione israeliana.

Il riconoscimento arriva dal presidente brasiliano uscente Lula, dopo aver offerto il proprio impegno a trovare soluzioni, insieme alla Turchia, per la questione del nucleare iraniano. Secondo quanto dichiarato alla stampa dal Ministro degli Affari Esteri brasiliano, il riconoscimento entro i confini del 1967 sarebbe la risposta alle richieste avanzate a novembre dal presidente Mahmoud Abbas al premier brasiliano, Lula da Silva. Il riconoscimento sarebbe stato annunciato allo stesso Abbas con una lettera inviata da Lula il 1 dicembre e la notizia sarebbe poi stata ufficializzata sul sito del Ministero Affari Esteri solo venerdi scorso. Immediate le reazioni del governo israeliano: Israele sabato ha dichiarato che il riconoscimento brasiliano è “uno schiaffo in faccia agli sforzi intrapresi attraverso i negoziati”. Critiche anche da parte statunitense, che ha condannato la mossa del Brasile come “un'incauta decisione”.

Da settimane il presidente palestinese Mahmud Abbas paventa la possibilità di prendere in considerazione la richiesta all’ONU di un riconoscimento ufficiale dello Stato palestinese, definendola in una conferenza stampa con il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abu al-Gheit, una “delle sette opzioni possibili”, per uscire fuori dallo stallo totale dei negoziati diretti con Israele. Una opzione che significherebbe “chiedere agli Stati Uniti di assumere una posizione chiara, riconoscere uno Stato palestinese entro i confini del 1967 e considerare la possibilità di portare la questione al Consiglio di Sicurezza dell'Onu”.

Il riconoscimento, tramite la richiesta al Consiglio di Sicurezza, è stato da sempre fortemente contrastato dal premier israeliano Netanyahu. Ma il vero ostacolo perché i palestinesi possano ottenere il pieno riconoscimento e lo status di membri all’interno delle Nazioni Unite (dove già figurano come “osservatori”), è il potere di veto da parte di tre stati permanenti al Consiglio di Sicurezza. Pur essendo una minaccia di vecchia data, riaffermata in queste settimane anche da Nabil Shaath, negoziatore palestinese, l’ANP non ha mai intrapreso questa strada, perché significherebbe andare oltre il processo di pace, seppure in stallo totale, una mossa che il Presidente Abbas non si arrischia a fare. La ledaership palestinese è da tutti descritta come divisa sulla questione: da una parte chi vorrebbe intraprendere subito un ricorso all’ONU, e chi invece intende aspettare il prossimo anno, o almeno la fine del piano statunitense dei 12 mesi, che annunciava la creazione di uno stato palestinese a fronte di negoziati diretti con Isreale. Nonostante la costruzione delle colonie sia ripresa a ritmi incessanti in tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Oltre alle pressioni USA comunque, la leadership palestinese è anche cosciente che qualsiasi riconoscimento dello Stato palestinese non può prescindere dalla riconciliazione tra ANP e Hamas, che ha il controllo di Gaza dal 2007.

I palestinesi fecero già in passato una dichiarazione di indipendenza: lo fece il presidente Yasser Arafat nel 1988 dalla Tunisia; è vero che quella mossa non ebbe effetti concreti, come ha fatto notare Ghassan Khatib, portavoce dell’Anp. Ma, secondo Samir Awad, professore di politica alla Birzeit University, l’ università di Ramallah, “oggi i palestinesi sono in una posizione più forte” e il contesto multilaterale, cioè il ricorso all’ONU, potrebbe assicurare maggiore sostegno da parte della comunità internazionale.

Del resto quale altra alternativa si presenta di fronte a trattative che, già minacciate dalle “vaghe” condizioni iniziali, sono oggi totalmente in fase di stallo?

Interessanti le valutazioni di John V. Whitbeck, giurista internazionale che ha partecipato in passato al team di negoziazione palestinese con Israele e autore del testo “ The World According to Whitbeck" (“Il mondo secondo Whitbeck”.

Se la leadership palestinese a Ramallah decidesse di avviare formalmente il processo per il riconoscimento di una piena appartenenza alle Nazioni Unite dello stato palestinese, sarebbe fondamemtale, per raggiungere l’obiettivo, abbinare a tale passo una presa di posizione univoca e non soltanto la richiesta di un riconoscimento “simbolico”; in questo caso, se il riconoscimento palestinese (con riferimenti espliciti ai confini pre-1967, cioè non su confini indefiniti e provvisori) sarà rifiutato, i palestinesi dovrebbero abbandonare la soluzione dei due Stati e decidersi a intraprendere un percorso diverso per arrivare al pieno ottenimento della giustizia e della libertà attraverso principi democratici; quindi valutando di ottenere pieni diritti di cittadinanza in un singolo stato israeliano-palestinese, libero da ogni discriminazione basata su razza o religione e con uguali diritti per tutti.

A questo punto però sappiamo che quella dello stato unico democratico, è un’opzione che vedrebbe una forte opposizione del governo israeliano e anche della maggioranza dei cittadini israeliani, perchè percepita come ben peggiore di una dichiarazione di indipendenza unilaterale, formalmente riconosciuta dall’ONU, di uno stato palestinese che rimarrebe di fatto sotto occupazione e controllo da parte di Israele (che è poi il fine di anni di inutili negoziati). Quindi potrebbe anche accadere che il governo di Tel Aviv “istruisca” gli Stati Uniti (e con essi Francia e Regno Unito) affinchè non blocchino la richiesta palestinese. Se invece lo Stao ebraico facesse pressioni per imporre il veto e bloccare il processo all’ONU, allora sarebbe Israele stesso a dover ammettere di sotterrare definitivamente la soluzione dei due stati e sarebbero i palestinesi a uscirne, almeno simbolicamente vincitori; perchè avrebbero intrapreso l’unica strada che gli consentirebbe almeno un appoggio e un riconoscimento di gran parte della comunità internazionale. Entrambi le strade, quindi, sia che l’ONU riconosca lo stato palestinese, sia che gli Stati Uniti impongano il veto e che tale riconoscimeto non avvenga, favorirebbero gli interessi dei palestinesi. Sicuramente, fa notare ancora Whitbeck, molto più che non “ il cinico, fraudolento e perpetuo processo di pace” . Viene pertanto da chiedersi, conclude il giurista, cosa ancora aspetti la leadership palestinese per avanzare un passo di questo tipo. Nena News

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