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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Ma chi difende la sanità pubblica?

(20 Novembre 2003)

Dobbiamo accettare l’invito provocatorio, che Piero Quarta Colosso ha rivolto ai pugliesi dal Quotidiano del 12 novembre, ad andare a Rozzano per farci curare presso l’Istituto privato accreditato “Humanitas”? Sicuramente al famoso medico ed imprenditore sanitario leccese oltre alle “scintillanti” apparecchiature non saranno sfuggiti tanti nostri corregionali che nelle ampie sale di attesa e nelle confortevoli camere del moderno e prestigioso Istituto venivano ospitati per effettuare esami e per ricevere cure, e non da oggi.

Apprezzo molto che un imprenditore privato della sanità esponga in pubblico i problemi che ostacolano il pieno svolgimento della sua attività in un settore che ha così immediate conseguenze per un bene prezioso come la salute individuale e collettiva. Egli potrebbe più facilmente cedere alla tentazione di cercare soluzioni in conciliaboli politici e amministrativi. Ma il metodo da lui adottato, il parlarne in piazza, è quello che alla lunga produce le trasformazioni sperate perché aumenta le conoscenze della gente comune e fa crescere la coscienza pubblica. Per questo il suo intervento mi sembra un’occasione che non ci si può permettere di far cadere.

Non credo però che – come egli scrive – “nella nostra regione ogni legge sanitaria è fatta apposta per privilegiare la sopravvivenza delle strutture pubbliche”. La politica sanitaria regionale, dal 2000 ad oggi, ha mirato – a parere di chi scrive - prevalentemente al pareggio di bilancio e solo secondariamente al raggiungimento di obiettivi di salute. In questo quadro non si sono potuti realizzare, né nel pubblico né nel privato, i necessari rinnovamenti e potenziamenti delle tecnologie biomediche e quindi non si è contrastata la migrazione sanitaria.

Ma torniamo per un attimo a Rozzano. E’ vero, la Regione Lombardia ha accreditato tutte le strutture private. Per questo il cittadino lombardo può curarsi dove vuole e le strutture sanitarie private possono ricevere il rimborso di tutte le prestazioni erogate mentre le strutture sanitarie pugliesi devono rispettare il “tetto” massimo di attività rimborsabile dal servizio sanitario regionale a causa del quale, da tre anni a questa parte, chi si ammala in autunno o si paga gli esami diagnostici o aspetta. L’accreditamento “universale” realizzato in Lombardia ha però prodotto un forte deficit che viene ripianato con una piccola addizionale IRPEF in grado, da sola, di generare un’enorme prelievo fiscale considerato l’elevato reddito medio di quella regione. Lì, in altri termini, sono più ricchi e si pagano una sanità migliore anche con quella quota di fondo sanitario pugliese che i nostri ammalati sono costretti a trasferire in Lombardia per curarsi. E’ quindi proprio la concorrenza e la legge del libero mercato di cui si lamenta l’assenza in Puglia che, applicata a livello mondiale e nazionale anche in sanità, accresce l’arretratezza nostra e di tutte le aree più povere nel paese e nel mondo. Per questo era giusto controllare la spesa sanitaria nella nostra regione ma senza frenare lo sviluppo delle strutture carenti. Questi tre anni di “blocchi” hanno ripianato i conti ma hanno anche accresciuto i ritardi.

Ma la sanità non è fatta solo di tecnologie bensì anche di operatori. E a questo riguardo come medico del servizio sanitario regionale devo ammettere che il servizio pubblico può e deve fare di più. Questo auspicio risulta anche da un recente documento regionale sull’utilizzo proprio delle risonanze magnetiche - che Quarta Colosso vorrebbe installare in numero maggiore se solo avesse la certezza di vedere giustamente rimborsato il suo lavoro – da cui risulta che l’attuale dotazione di apparecchiature sarebbe sufficiente in rapporto alla popolazione ma quelle pubbliche non sarebbero pienamente utilizzate. Non affronto qui il problema se tutte le richieste di esami con risonanza magnetica siano scientificamente giustificate, ma ammettendo che lo siano, molte di più se ne potrebbero soddisfare nelle strutture pubbliche. Perché ciò non avviene? Lo stesso rapporto dichiara che il personale non sarebbe sufficiente. Ma non stiamo facendo il riordino ospedaliero anche per risolvere questo problema? A me sembra che sinora l’attuazione del piano stia procedendo “manu militare” quando si tratta di chiudere servizi e reparti ma si arresta quando si devono trasferire dove vi è urgente necessità infermieri e tecnici, i veri “volani” dell’assistenza sanitaria. Interessi di campanile e difese corporative si intrecciano e strangolano le esigenze sanitarie della popolazione. Ma non difende il posto di lavoro, proprio e dei propri figli, e tanto meno la ricchezza di questa regione quel lavoratore della sanità che, per non allontanarsi di qualche chilometro da casa sua, ostacola lo sviluppo del servizio sanitario pubblico costringendo indirettamente la nostra gente a recarsi presso i tanti “Rozzano” dei suoi calvari per curarsi, arricchendo così le strutture sanitarie e le regioni del nord e impoverendo ancora di più quelle meridionali, sia pubbliche che private.

Brindisi, 13 novembre 2003

Maurizio Portaluri – Medicina Democratica

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