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(7 Agosto 2010) Enzo Apicella
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Assange-Wikileaks: per chi suona la campana?

(11 Dicembre 2010)

Prima vennero per i comunisti,
Ma io non dissi nulla, perché non sono comunista;
Poi vennero per i sindacalisti,
Ma io non dissi nulla, perché non sono un sindacalista;
Poi vennero per gli Ebrei,
Ma io non dissi nulla, perché non sono ebreo;
E poi vennero per me,
Ma a quel punto non c’era rimasto piú nessuno.

Questa celebre frase del teologo Martin Niemöller 1), relativa all’indifferenza del popolo tedesco durante l’ascesa del Nazismo, può scandire il senso di inesorabile progressione nella recente vicenda Assange-Wikileaks. Mentre i canali ufficiali riversano l’usuale flusso di disinformazione, dispersa nei rivoli della censura moralistica o del gossip, il pubblico si mostra di un’acquiescenza allarmante. Lasciando da parte per il momento i contenuti dei dispacci diplomatici, intendo soffermarmi sulla catena di reazioni legali, politiche, economiche, e hacker che hanno bersagliato la persona e l’iniziativa di Julian Assange. Un primo segnale è venuto dalla magistratura svedese (1 dicembre) con l’autorizzazione, data all’Interpol, di pubblicare un mandato di cattura (Red Notice warrant) contro Assange per le sue presunte molestie sessuali 2). Sono poi seguiti vari attacchi hacker contro Wikiileaks. I politici americani nel frattempo non sono intanto rimasti inattivi. Il Senatore indipendente (di area democratica), Joe Lieberman 3), ha ingiunto ad Amazon (che aveva temporaneamente ospitato il sito di Wikileaks) di interrompere immediatamente ogni appoggio alla detta organizzazione, le cui azioni venivano descritte come “illegali, scandalose, e rischiose”. Amazon si è subito conformata, chiudendo il conto di Wikileaks con una scusa legalistica, e precisando che non si trattava di “motivazioni politiche”. Nella Francia di Sarkozy (3 dicembre), il Ministro dell’Industria, Eric Besson ha minacciato “conseguenze” per chi fornisse supporto tecnologico a Wikileaks. Lo stesso giorno, in Svizzera, la compagnia Switch, ignorando pressioni francesi e americane, ha invece deciso di ospitare il sito perseguitato. Poi è stata la volta di Paypal (4 dicembre), il piú grande sistema di pagamento via internet, che ha sospeso il conto di Wikileaks per “violazione dei termini del contratto,” bloccandone cosí le donazioni 4). Lunedí 6 dicembre, MasterCard e Visa Europa hanno negate accesso al sito di Assange (scatenando cosí però varie rappresaglie hacker.) Intanto la macchina della giustizia è andata avanti e, dopo un fallito tentativo di mediazione fra il legale di Assange e Scotland Yard, si è giunti all’arresto del fondatore di Wikileaks il 7 dicembre (è stato osservato che si tratta del 69esimo anniversario di Pearl Harbor: sinistra coincidenza, soprattutto in vista delle scandalose rivelazioni sull’attacco, puntualmente documentate nel libro di Robert Stinnett, Day of Deceit: The Truth About FDR and Pearl Harbor. (1999) [Il giorno dell’inganno: Franklin Delano Roosvelt e Pearl Harbor] 5).

Cerchiamo ora di trovare un senso in questa fulminea sequenza, che sembra tratta da un thriller. Cosa sta succedendo? Una teoria, diffusa anche da alcune voci rispettabili, sostiene che si tratterebbe di una montatura dei servizi segreti americani e israelianii. E’ quanto afferma, in un’intervista a PBS (29 novembre), Zbigniew Brzezinski, ex Consigliere alla Sicurezza Nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter: Wikileaks diffonderebbe notizie artatamente fornite dalla CIA e dal Mossad. E’ pur vero che, dopo le prime rivelazioni, Israele ne è uscito trionfante: come ha dichiarato Netanyahu alla stampa, i dispacci confermano la minaccia dell’Iran all’intera regione, e i timori d’Israele sono condivisi dagli stati arabi 6). L’ironia (notata da pochi) di tale affermazione è che essa costituisce una flagrante smentita di uno dei luoghi comuni della propaganda sionista: cioè che Israele è circondata da paesi arabi che cercano solo la sua distruzione (“buttarli a mare”, come si suole dire). A quanto pare, invece, i regimi arabi sono perfettamente d’accordo con il governo di Tel Aviv. Affermare però che Wikileaks sarebbe un’operazione filo-israeliana è decisamente prematuro e azzardato: poco piú di 1000 dispacci sono stati finora pubblicati e non è molto logico inferire che gli altri 249mila siano dello stesso tenore. Inoltre, a ben vedere, vari documenti attestano l’esistenza di una criminalità organizzata in Israele e le infiltrazioni di Mossad in altri paesi 7). Sembra quindi che non i dispacci in sé, bensí la scelta prelininare effettuata dai media e soprattutto il modo in cui i testi sono stati presentati (e, come al solito, travisati) hanno creato l’impressione di una Mossad Connection. E’ molto piú plausibile sostenere che la principale ‘vittima’ delle rivelazioni diplomatiche sia proprio il governo statunitense. Ricordiamo che il 3 dicembre fu pubblicato il dispaccio in cui si dichiara che, nel luglio 2009, Hillary Clinton, ordinò lo spionaggio (carte di credito, documenti personali, perfino campioni di DNA) dei membri dell’ONU 8).

Nonostante il Dipartimento di Stato abbia, prevedibilmente, smentito , è innegabile che questo sia stato forse il piú duro colpo all’immagine degli US (al punto che da verie parti si sono chieste le dimissioni della Clinton – e dello stesso Obama, qualora sia dimostrato che era a conoscenza della cosa). E pronta è stata, come si è visto, la reazione. Mentre si continua a discettare se i dispacci siano davvero cosí graffianti come ci si aspettava, o ci si perde nei dettagli del pettegolezzo, l’orwelliana macchina del Governo Mondiale si sta chiudendo: si sta chiudendo su tutti noi. Non credo sia questa un’osservazione vanamente apocalittica. Faccio un breve confronto con un simile caso: la pubblicazione dei 7000 documenti Top secret, ora noti come Pentagon Papers 9), da parte di Daniel Ellsberg (con l’aiuto di Anthony Russo) nel 1971. Fu quella la piú grave fuga di notizie prima di Wikileaks. Dopo un’accesa battaglia legale, la storia finí con la sospensione delle procedure penali iniziate contro Ellsberg, mentre le accuse contro il New York Times e il Washington Post (che avevano pubblicato stralci dei documenti) furono respinte dal giudice Black della Corte Suprema, in base al principio della libertà d’informazione. Nell’attuale clima politico internazionale, non è forse realistico prevedere una simile conclusione. Mentre l’immancabile Lieberman ha già proposto di aprire un’indagine contro il New York Times, Tom Flanagan, un coservatore canadese, ha dichiarato alla stazione televisiva CBC cheAssange dovrebbe essere assassinato, e altri politici gli hanno fatto eco negli US.

Tornano qui alla mente le parole di Niemöller. E’ facile sostituire alle varie categorie di persone, da lui citate, altre piú vicine ai nostri tempi: prima vennero per i terroristi, poi per i migranti, poi per Wikileaks, e poi…. “No man is an island” (Nessun uomo è un’isola) ci ammonisce ancora, con metafisica gravità, il poeta John Donne nell’omonimo sonetto, che fa da epigrafe al romanzo di Hemingway, a cui si allude nel titolo di questo scritto. Se è vero – come è inesorabilmente vero – che la campana suona sempre anche per noi, dovremmo ascoltarla e riflettere quindi sulla portata di queste progressive violazioni del diritto all’informazione, prima che sia troppo tardi.

10 dicembre 2010


Note

1) Esistono diverse versioni della frase e quella su riportata riflette la piú corrente, citata nel libro di Milton Mayer, They Thought They Were Free (1855) (Credevano di essere liberi).

2) Tableau Software è stata la prima compagnia a distanziarsi da Wikileaks (dichiarerà poi di averlo fatto su pressione politica statunitense)

3) Fra l’altro Lieberman è co-firmatario di una prpoposta di legge volta a limitare la libertà d’espressione in Internet (è stata scherzosamente soprannominata Cybersecurity_policy" o Kill switch bill [lett. Proposta ammazza-interruttore.])

4) In un’intervista a LeWeb, a Parigi (8 dicembre), Osama Bedier, VP di Paypal, ha fatto riferimento a una lettera, inviata (27 novembre) dal Dipartimento di Stato a Wikileaks, in cui si afferma – con surreale ipocrisia – che le accuse di Assange agli US mettono a rischio vite innocenti. (Qui si può leggere il testo nella sua interezza: http://techcrunch.com/2010/12/08/paypal-wikileaks/) Successivamente, John Muller, Consigliere Generale di Paypal, ha corretto le affermazioni del VP, ribadendo che la decisione di chiudere il conto non era dovuta a pressioni politiche.

5) Nel libro si sostiene la tesi che alti ranghi dell’esercito (e probabilmente lo stesso presidente) fossero a conoscenza dell’imminente attacco e non fecero nulla per prevenirlo, al fine di usare l’incidente come casus belli per entrare in guerra.

6) Mi permetto di rinviare al mio articolo “Iran: c’ancora speranza?”.

7) Si veda, per esempio, il dispaccio del 31 agosto 2007, relativo all’incontro, a Tel Aviv, fra l’allora capo di Mossad, Meir Dagan, e il Sottosegretario Burns, a proposito di possibili interventi in Iran.
“[Dagan] stressed that Iran is economically vulnerable, and pressed for more activity with Iran's minority groups aimed at regime change.” ([Dagan] sottolineò il fatto che l’Iran è vulnerabile dal punto di vista economico, e fece pressione affinché si intensificassero le attività con Ie minoranze iraniane al fine di rovesciare il regime.)

8) “organizational titles; names, position titles and other information on business cards; numbers of telephones, cell phones, pagers and faxes; compendia of contact information, such as telephone directories (in compact disc or electronic format if available) and e-mail listings; internet and intranet "handles", internet e-mail addresses, web site identification-URLs; credit card account numbers; frequent flyer account numbers; work schedules, and other relevant biographical information.” (12 luglio 2009)

9) United States–Vietnam Relations, 1945–1967: A Study Prepared by the Department of Defense

Massimo Mandolini-Pesaresi

Fonte

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