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Subito una casa per gli sgomberati di Treviso

(22 Novembre 2003)

All’alba di martedì 18 novembre duecento carabinieri irrompono negli alloggi dell’ex seminario dei sacramentini di Casier (TV) e sgomberano circa 100 persone che vi abitavano dal giugno del 2002.

I militari si prodigano a sventrare tv, radio, oggetti personali e a deportare in caserma gli abitanti del posto. La maggioranza viene rilasciata entro la sera, qualcuno viene invece trattenuto in attesa di espulsione ma ufficialmente, come nei migliori regimi dittatoriali, non se ne sa nulla: sono desaparecidos.

Uguale trattamento è contemporaneamente riservato ad una trentina di lavoratori immigrati che vivevano nel dismesso ospedale psichiatrico S.Artemio, a Treviso.

Nei giorni successivi polizia e carabinieri presidiano gli edifici sgomberati, obbligando gli ex-occupanti a trascorrere la notte all’aperto. Gli amministratori comunali, provinciali e il prefetto, che ha ordinato lo sgombero, non si sono preoccupati minimamente di offrire un riparo alternativo mettendo così a rischio l’incolumità fisica degli sgomberati: quattro di loro vengono, infatti, portati in extremis all’ospedale, per assideramento e coliche renali. A parte l’appoggio individuale di qualche cittadino del posto, brillano anche le assenze dei professionisti della solidarietà (come la Caritas) forse perché qui non hanno niente da guadagnare.

A Treviso le occupazioni di stabili da parte di lavoratori immigrati, e gli sgomberi eseguiti con operazioni militari, sono una situazione che si ripropone da anni. La provincia più ricca del nord-est ha forte bisogno di manodopera straniera, ma non si preoccupa di attuare una adeguata politica degli alloggi. Perciò è iniziata una lunga serie di occupazioni di edifici abbandonati: unico metodo praticabile per ottenere condizioni di vita sufficienti alle minime esigenze di vita, ed uscire così da luoghi fatiscenti, dalle rovine e tuguri in cui molti erano costretti a rifugiarsi.

Le giunte e i partiti giocano da anni allo scaricabarile delle responsabilità e propongono interventi di facciata insufficienti a risolvere la reale portata della questione: la giunta leghista vuole trasformare un problema sociale in una questione d’ordine pubblico; le giunte comunali di sinistra dei paesi limitrofi nascondono la loro inattività dietro le responsabilità degli amministratori del capoluogo; le associazioni degli imprenditori - come Unindustria – speculano, in combutta con le amministrazioni comunali che ipocritamente affermano di aver fatto qualcosa per risolvere il problema, edificando abitazioni con i contributi UE e poi affittandole a prezzi elevati agli stessi lavoratori immigrati, sottoposti così ad un doppio sfruttamento.

La notte successiva allo sgombero, tutti gli occupanti si trovavano ancora nella strada all’esterno dell’edificio circondati da uno squallido balletto di poliziotti, politici e giornalisti, e dalla minima solidarietà materiale di qualche cittadino.

Per sbloccare questa drammatica situazione la sera di mercoledì 19, una cinquantina di persone ha occupato uno stabile abbandonato, l’ex sede del comune di Preganziol, alla ricerca di un riparo.

L’accorrere dei consiglieri comunali, sindaco diessino in testa, ha svelato l’ipocrisia di chi parla di solidarietà e di aiuto umanitario ma di fatto non muove un dito se non c’è da mettere le mani su fondi di qualche tipo, neppure di fronte ad un’emergenza come questa. A ciò si è aggiunta l’ipocrisia del sindaco di minacciare lo sgombero violento giustificandolo con la preoccupazione per l’incolumità fisica delle persone, dichiarando improvvisamente inagibile lo stabile occupato: tale premura non era corrisposta da un’eguale preoccupazione per la incolumità delle stesse di fronte alle manganellate della polizia o al freddo delle notti passate all’addiaccio.

Di fronte al rischio di uno sgombero coatto immediato, quindi, l’unica possibilità per non passare un’altra notte al freddo è risultata accettare il momentaneo trasferimento nella sede di Rifondazione Comunista di Treviso.

Questi anni di lotta per la casa hanno insegnato agli immigrati che non c’è niente da attendersi dalle amministrazioni di qualunque colore. Solo l’autorganizzazione e l’azione diretta avevano permesso a questi lavoratori di avere un tetto, acqua e luce. Ora che, quanto si erano conquistati da soli, gli è stato tolto con la violenza e il terrore è il momento che i responsabili (i frati sacramentini che hanno caritatevolmente sollecitato lo sgombero per motivi economici; le amministrazioni comunali, provinciali e regionali, e gli imprenditori che hanno generato e speculato su questa condizione di precarietà assoluta) si facciano carico di trovare immediatamente una soluzione, ovvero case per tutti, oppure ne paghino le conseguenze.

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