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Com'è morto Giuseppe Pinelli

(12 Dicembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comunistiuniti.it

Com'è morto Giuseppe Pinelli

foto: www.comunistiuniti.it

Come è morto Giuseppe Pinelli

E' circa la mezzanotte di lunedì 15 dicembre 1969. Un uomo discende lentamente lo scalone principale della questura di Milano .Giunto nell'atrio dell'ingresso principale di via Fatebenefratelli si ferma un momento, accende una sigaretta. E' indeciso, non sa se uscire, andarsene a casa, oppure rimanere ancora qualche minuto, fare un ultimo giro negli uffici della Squadra mobile che stanno lì di fronte a lui? dall'altra parte del cortile. Sono giornate faticose queste per i cronisti milanesi e lui in particolare si sente stanco, avvilito: si sa già che nella mattinata è stato arrestato un anarchico di nome Valpreda; c'entrerà davvero con le bombe di Piazza Fontana? E poi nelle camere di sicurezza della questura, nelle stanze al quarto piano dell'ufficio politico ci sono ancora almeno un centinaio tra anarchici e giovani della sinistra extraparlamentare che da tre giorni, dal venerdì delle bombe, sono sottoposti a continui interrogatori.
L'uomo, Aldo Palumbo, cronista dell'Unità di Milano, muove i primi passi per attraversare il cortile. E sente un tonfo, poi altri due, ed è un corpo che cade dall'alto, che batte sul primo cornicione del muro, rimbalza su quello sottostante e infine si schianta al suolo, per metà sul selciato del cortile, per metà sulla terra soffice dell'aiuola. Palumbo rimane paralizzato per qualche secondo al centro del cortile, poi si avvicina al corpo, ne distingue i contorni del viso. E subito gridando corre a dare l'allarme, agli agenti della squadra mobile, agli altri cronisti che sono rimasti in sala stampa quando lui è uscito.
La mattina dopo tutti i quotidiani escono a grossi titoli con la notizia del suicidio di Giuseppe Pinelli. Di questi giornali, quelli che al momento dell'incidente avevano il loro cronista in questura, scrivono che il suicidio è avvenuto a mezzanotte e tre minuti. Nei giorni seguenti. stranamente questo particolare del tempo viene modificato: prima lo si corregge a giorni seguenti. stranamente questo particolare del tempo viene modificato: prima lo si corregge a "circa mezzanotte", poi lo si sposta ancora indietro, sino ad arrivare, a un tempo ufficiale: "Pinelli è morto alle ore undici e 57 minuti del lunedì notte 15 dicembre".
Ai primi di febbraio, dall'inchiesta condotta dalla magistratura trapela un particolare: la chiamata fatta quella notte dalla questura al centralino telefonico dei vigili urbani per richiedere l'intervento di una autoambulanza è stata registrata da uno speciale apparecchio e quindi si può stabilire con certezza l'attimo esatto,che risulta essere mezzanotte e 58 secondi. Come dire due minuti e due secondi prima della caduta di Pinelli, se si sta al tempo segnalato da tutti i giornalisti che erano in questura quella notte. Si è trattato di una svista collettiva e abbastanza clamorosa, per gente abituata ad avere delle reazioni automatiche, professionali, quali il guardare per prima cosa l'orologio quando avviene un incidente del genere? E' un fatto però che nel frattempo sono successe due cose strane.
Qualche giorno dopo la morte di Giuseppe Pinelli, due agenti della squadra politica della questura si sono presentati al centralino telefonico dei vigili urbani per controllare il momento esatto di registrazione della chiamata. Cosa significa questo zelo del tutto gratuito dato che è la magistratura, e non la polizia, che si occupa dell'inchiesta sulla morte di Pinelli? Perchè preoccuparsi tanto dell'orario di chiamata dell'autoambulanza se le cose si sono svolte così come sono state raccontate? La risposta potrebbe essere questa: la chiamata è stata fatta prima che Giuseppe Pinelli cadesse dalla finestra.
Verso i primi di gennaio il giornalista Aldo Palumbo, la prima persona che si è avvicinata a Giuseppe Pinelli morente nel cortile della questura, trova la sua abitazione sottosopra. Qualcuno è entrato, ha rovistato dappertutto, ha aperto i cassetti, rovesciato mobili, frugato negli armadi. Ladri? Sarebbero dei ladri ben strani considerato che non rubano né le tredicimila lire che erano in una borsa, e che pure devono aver visto poichè la borsa è stata aperta, e neppure quei pochi gioielli nascosti in un'altra borsa, pure trovata aperta. Due quindi le ipotesi: o gli ignoti cercavano qualcosa, qualcosa collegato agli istanti in cui il giornalista fu vicino, e da solo, a Giuseppe Pinelli morente: oppure si è trattato di un avvertimento, un monito a tenere la bocca chiusa rivolto a chi, come Aldo Palumbo, poteva essere sospettato di sapere qualcosa, forse di avere sentito mormorare da Pinelli, un nome, una frase.
Basterebbero questi primi, pochi elementi per formulare pesanti sospetti sulla versione dell'anarchico morto suicida. In realtà ce ne sono molti altri, e sono questi.
Pinelli cadde letteralmente scivolando lungo il muro, tanto che rimbalza su ambedue gli stretti cornicioni Sottosanti la finestra dell'ufficio politico: non si è dato quindi nessun slancio.
Cade senza un grido e i medici stabilirono che le sue mani non presentano segni di escoriazioni non ha avuto cioè nessuna reazione a livello di istinto, incontrollabile, nemmeno quella di portare le mani a proteggersi durante la "scivolata".
La polizia fornisce nell'arco di un mese tre versioni contrastanti sulla meccanica del suicidio. La prima: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo ma senza riuscirci. La seconda: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e ci siamo parzialmente riusciti, nel senso che ne abbiamo frenato lo slancio: come dire, ecco perchè è scivolato lungo il muro. Ma questa versione è stata resa a posteriori, dopo cioè che i giornali avevano fatto rilevare la stranezza della caduta. Infine l'ultima, la più credibile, fornita "in esclusiva" il 17 gennaio al Corriere della Sera: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e uno dei sottufficiali presenti, il brigadiere Vito Panessa, con un balzo "cercò di afferrarlo e salvarlo; in mano gli rimase soltanto una scarpa del suicida". I giornalisti che sono accorsi nel cortile subito dopo l'allarme lanciato da Aldo Palumbo ricordano benissimo che l'anarchico aveva ambedue le scarpe ai piedi.
Poi la polizia fornisce due versioni contrastanti anche sul movente del suicidio.
Primo: Pinelli era coinvolto negli attentati, il suo alibi per il pomeriggio del 12 dicembre era crollato e sentendosi ormai perduto ha scelto la soluzione estrema, gridando " è la fine dell'anarchia".
Seconda versione, fornita anche questa a posteriori, dopo che l'alibi era risultato assolutamente valido: Pinelli, innocente, bravo ragazzo, nessuno di noi riesce a spiegarsi i suo gesto. Dando questa seconda versione, la polizia afferma anche che la tragedia è esplosa nel corso di un interrogatorio che si svolgeva in un'atmosfera del tutto legittima, civile, e tranquilla, con scambio di sigarette e altre delicatezze del genere. L'anarchico Pasquale Valilutti, uno dei tanti fermati che tra il venerdì delle bombe e il lunedì successivo hanno riempito le camere di sicurezza della questura, ha fornito invece questa testimonianza:
"Domenica pomeriggio ho parlato con Pino (Pinelli) e con Eliane, e Pino mi ha detto che gli facevano difficoltà per il suo alibi, del quale si mostrava sicurissimo. Mi ha anche detto di sentirsi perseguitato da Calabresi e che aveva paura di perdere il posto alle ferrovie. Verso sera un funzionario si è arrabbiato perchè parlavo con gli altri e mi ha fatto mettere nella segreteria che è adiacente all'ufficio del Pagnozzi (un altro commissario, come Calabresi, dell'ufficio politico: n.d.r.): ho avuto occasione di cogliere alcuni brani degli ordini che Pagnozzi lasciava ai suoi inferiori per la notte. Dai brani colti posso affermare che ha detto di riservare al Pinelli un trattamento speciale, di non farlo dormire e di tenerlo sotto pressione per tutta la notte. Di notte il Pinelli è stato portato in un'altra stanza e la mattina mi ha detto di essere molto stanco, che non lo avevano fatto dormire e che continuavano a ripetergli che il suo alibi era falso. Mi è parso molto amareggiato. Siamo rimasti tutto il giorno nella stessa stanza, quella dei caffè, e abbiamo potuto scambiare solo alcune frasi, comunque molto significative. Io gli ho detto: " Pino, perchè ce l'hanno con noi? " e lui molto amareggiato mi ha detto: " Sì ce l'hanno con me ". Sempre nella serata di lunedì gli ho chiesto se avesse firmato dei verbali e lui mi ha risposto di no. Verso le otto è stato portato via e quando ho chiesto a una guardia dove fosse mi ha risposto che era andato a casa. Io pensavo che stesse per toccare a me di subire l'interrogatorio, certamente il più pesante di quelli avvenuti fino ad allora: avevo questa precisa impressione. Dopo un pò, verso le 11,30 ho sentito dei rumori sospetti, come di una rissa e ho pensato che Pinelli fosse ancora lì e che lo stessero picchiando. Dopo un pò di tempo c'è stato il cambio della guardia, cioè la sostituzione del piantone di turno fino a mezzanotte. Poco dopo ho sentito come delle sedie smosse ed ho visto gente che correva nel corridoio verso l'uscita, gridando "si è gettato". Alle mie domande hanno risposto che si era gettato il Pinelli: mi hanno anche detto che hanno cercato di trattenerlo ma che non vi sono riusciti. Calabresi mi ha detto che stavano parlando scherzosamente del Pietro Valpreda, facendomi chiaramente capire che era nella stanza nel momento in cui Pinelli cascò. Inoltre mi hanno detto che Pinelli era un delinquente, aveva le mani in pasta dappertutto e sapeva molte cose degli attentati del 25 aprile. Queste cose mi sono state dette da Panessa e Calabresi mentre altri poliziotti mi tenevano fermo su una sedia pochi minuti dopo il fatto di Pinelli. Specifico inoltre che dalla posizione in cui mi trovavo potevo vedere con chiarezza il pezzo di corridoio che Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere per recarsi nello studio del dottor Allegra e che nei minuti precedenti il fatto (cioè la stessa caduta di Pinelli: n.d.r.) Calabresi non è assolutamente passato per quel pezzo di corridoio
Dunque l'ultimo interrogatorio di Giuseppe Pinelli non è stato così tranquillo come si è cercato di far credere, ed è falso anche che al momento della caduta il commissario aggiunto Luigi Calabresi non fosse presente nella stanza. Ma perchè queste menzogne? La risposta può essere trovata in un articolo pubblicato dal settimanale Vie Nuove nelle settimane seguenti.
"Quando l'anarchico fu trasportato nella sala di rianimazione dell'ospedale Fatebenefratelli non era in condizioni di coscienza. aveva un polso abbastanza buono ma il respiro molto insufficiente, il che poteva essere stato provocato da ragioni organiche (cioè il gran colpo dell'impatto col terreno o qualcos'altro) oppure psicologiche (cioè lo stato di tensione precedente la caduta: ma questa sembra un'eventualità meno valida). Il particolare che più stupì i due medici fu che il corpo, almeno a un esame superficiale, non presentava nessuna lesione esterna nè perdeva sangue dalle orecchie e dal naso, come avrebbe dovuto essere se Pinelli avesse battuto violentemente al suolo con la testa.
"Una constatazione, questa, che fa sorgere subito un'altra domanda in chi non ha mai voluto credere alla versione del suicidio: se è vero, come sembra, che la necroscopia ha accertato una lesione bulbare all'altezza del collo, quale si sarebbe potuta produrre battendo al suolo con il capo, come mai orecchie e naso non sanguinavano nè il volto e la testa presentavano lesioni evidenti? Per logica si arriva quindi a una seconda domanda: non è possibile che quella lesione al collo fosse stata provocata prima della caduta? Come e da cosa, non ci vuole molta fantasia per immaginarlo: sono ormai molti anni che nelle nostre scuole di polizia si insegna quella antica arte giapponese di colpire col taglio della mano, nota come karatè.
"Fossero stati interrogati, quei due medici (che hanno prestato cure a Pinelli morente, n.d.r.) avrebbero potuto raccontare un altro episodio. Quella notte del 16 dicembre, nell'atrio del Fatebenefratelli regnava una grande confusione. Si era trasferito lì tutto lo stato maggiore della polizia milanese, il questore Marcello Guida compreso. Ma la polizia era presente anche all'interno della sala di rianimazione dove i due medici cercavano invano di tenere in vita Giuseppe Pinelli. Tranquillo, silenzioso, non molto turbato dalla vista dell'operazione di intubazione orotracheale e di ventilazione col pallone di Ambù alla quale l'anarchico veniva sottoposto, un poliziotto in borghese, camicia e cravatta, baffetti neri e un distintivo all'occhiello della giacca, non si allontanò neppure per un attimo dal lettino dove Pinelli stava morendo, attento a raccogliere ogni suo rantolo (...) Chi gli ha dato l'ordine di entrare nella stanza compiendo un abuso di autorità che non è tollerato negli ospedali? e perchè è entrato, che cosa pensava o temeva che Pinelli potesse dire prima di morire?".
I risultati dell'autopsia, dalla quale sono stati esclusi i periti di parte, non vengono resi noti. Di due medici - Gilberto Bottani e Nazareno Fiorenzano - che hanno tentato di salvare Giuseppe Pinelli, solo il secondo, e solo molte settimane più tardi,e solo dietro istanza dei legali della moglie dell'anarchico, viene interrogato dal procuratore Giuseppe Caizzi, il magistrato cui è affidata l'inchiesta che nel mese di maggio 1970 si concluderà con un sibillino verdetto di "morte accidentale" (non suicidio quindi, se la lingua italiana ha un senso. Ma allora la polizia ha mentito...).
Subito dopo che il dottor Nazareno Fiorenzano è stato interrogato, nel palazzo di Giustizia circola una voce secondo cui la polizia lo ha pesantemente "avvertito" che il caso Pinelli è un caso da archiviare, e che perciò è meglio che non si ponga troppi interrogativi. Ma cosa può aver notato o capito il medico di guardia davanti al corpo di Pinelli morente? La testimonianza che egli rilascia a un collega, prima di essere interrogato dal magistrato è questa:

"1) Gli infermieri che raccolsero Pino Pinelli ebbero l'impressione che fosse già morto.
2) Il massaggio cardiaco esterno gli fu praticato da un infermiere di nome Luciano.
3) Solo eccezionalmente - e per lo più nei vecchi con scheletro rigido - il massaggio cardiaco può produrre incrinature alle costole.
4) Da quando fu raccolto e fino alla morte Pinelli non emise nè un lamento nè una parola.
5) Quando arrivò al pronto soccorso del Fatebenefratelli Pinelli non aveva polso, pressione e respirazione. Appariva decerebrato; ma il dr. Fiorenzano non ebbe l'impressione che la teca cranica fosse fratturata. Non perdeva sangue dagli occhi, dal naso e dalla bocca. Presentava un abrasione del cuoio capelluto come da colpo tangenziale. Presentava anche abrasioni alle gambe. Lesione bulbare? Mani intatte.
7) Pinelli fu intubato, sottoposto a ventilazione artificiale ed altre pratiche di rianimazione. Riebbe polso e pressione. Respiro periodico che confermerebbe lesione bulbare. Mancanza di riflessi, ecc. confermano che (parole testuali) "si trattava di un morto cui avevano ridato un pò di vita vegetativa". Rianimazione sospesa dopo 90′.
Il Dr. Guida arrivò tre minuti dopo Pinelli. Disse al Dr. Fiorenzano che doveva metterlo in condizioni di parlare perchè "fortemente indiziato". Quando il il Dr. Fiorenzano gli disse che non poteva fare nulla contro l'irreparabile, ebbe l'aria di scusarsi e se ne andò.
9) 11 Dr. Fiorenzano ignorava l'identita del ferito che non gli fu detta dai poliziotti. La sua insistenza per conoscerla irritò molto i poliziotti.
10) I poliziotti ripetevano, tutti con le stesse parole. che si era buttato dalla finestra. Sembrava che ripetessero una formula".

Dal Libro Strage di Stato (versione integrale qui)

Questa controinchiesta - condotta da un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare e iniziata nel periodo in cui, con il pretesto degli attentati dei 12 dicembre, si scatenava la caccia all'"estremista di sinistra" - non nasce da esigenze di legittima difesa: per denunciare "le disfunzioni dello stato democratico" o "la violazione dei diritti costituzionali dei cittadini". Sappiamo che questi diritti, quando esistono, sono riservati esclusivamente a chi accetta le regole del gioco imposto dai padroni: l'unanimismo dei servi o l'opposizione istituzionale dei falsi rivoluzionari. Per noi, "giustizia di classe" e "violenza di stato" non sono definizioni astratte o slogan propagandistici, ma giudizi acquisiti con l'esperienza: gli operai, i contadini, gli studenti, li verificano ogni giorno nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, nelle piazze e non soltanto nelle "situazioni di emergenza". La repressione preferiamo chiamarla rappresaglia. Essa rappresenta un parametro di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema colpisce con tanta più virulenza quanto più i modi e gli obiettivi della lotta sono giusti, e che l'unica, vera, amnistia che conti, sarà promulgata il giorno in cui lo stato borghese verrà abbattuto.

Comunisti Uniti

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