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Caporalato?

Caporalato?

(12 Gennaio 2011) Enzo Apicella
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    (Capitale e lavoro)

    Marchionne: crimine organizzato e pubbliche relazioni

    (16 Dicembre 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comidad.org

    Il dirigente della FIOM Giorgio Cremaschi ha espresso la sua indignazione per la mancanza di dignità dimostrata da Confindustria di fronte all'operazione di delegittimazione della storica organizzazione degli industriali ad opera dell'amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne. Cremaschi non è nuovo a commenti del genere, poiché già qualche mese fa aveva manifestato la sua delusione per la propensione degli imprenditori italiani ad inseguire modelli di sfruttamento terzomondistico, invece di competere con le grandi nazioni industriali. Insomma, ci si lamenta del fatto che gli imprenditori non corrispondano mai al loro ideale. Quattro anni fa Marchionne era entrato nelle grazie di Rifondazione Comunista, e della stessa FIOM, per alcune dichiarazioni estemporanee in cui si sottolineava l'inutilità di andare a vessare il lavoro, dato che il suo costo effettivo incide a stento per il 7% nel bilancio delle imprese. Poi anche Marchionne ha deluso le aspettative, dato che neppure lui si è dimostrato un capitalista "vero".
    In realtà il "vero" capitalismo è una chimera, un'astrazione manualistica, poiché la coscienza di classe del padronato si concretizza sempre e solo nell'odio verso il lavoro. Mentre la coscienza di classe dei lavoratori segue vicende storiche alterne, che la vedono talora risvegliarsi e più spesso sopirsi, i padroni esprimono invece costantemente un eccesso di coscienza di classe e di odio di classe, che gli impedisce spesso di individuare il nemico quando questi non sia il mondo del lavoro. Marchionne ha avuto infatti buon gioco a sconcertare e confondere la base della Confindustria agitandole davanti il "richiamo della foresta" dell'odio antioperaio, in particolare additandole il bersaglio della detestata FIOM. In tal modo la massa degli imprenditori italiani si è compattata ed allineata sotto la bandiera anti-operaia, e non è quindi riuscita ad accorgersi di trovarsi essa stessa sotto il tiro di un agente coloniale delle multinazionali anglo-americane.
    Tutta la propaganda di Marchionne contro il contratto collettivo si basa infatti su fumosi slogan "epocali" (modernità, innovazione, avanti Cristo e dopo Cristo, ecc.) e su pretestuosi espedienti retorici, che sinora non hanno consentito di capire in cosa lo stesso contratto collettivo danneggerebbe la produttività. La futilità delle motivazioni addotte contro il contratto collettivo è risultata ancora più plateale nelle parole dei supporter di Marchionne, come il solito Pietro "Inchino". Nessun commentatore ufficiale si è dato la pena di soppesare le pseudo-argomentazioni di Marchionne, il quale viene acriticamente celebrato in base ad una rappresentazione "machista", che ne mette in evidenza la presunta potenza travolgente: lo "tsunami" Marchionne. Tutto ciò in base al principio che il cosiddetto "capitalismo" non è altro che crimine organizzato con in più il supporto delle pubbliche relazioni.
    In effetti il risultato raggiunto da Marchionne consiste soprattutto nella "disarticolazione" del ruolo storico di rappresentanza svolto da Confindustria, rendendo così di colpo "orfana" la massa dei piccoli/medi imprenditori. Di fronte a questa massa orfana, Marchionne si pone ora come il nuovo papà che le promette luminosi destini, ovviamente se si accoderà alla cordata delle delocalizzazioni nell'Europa dell'Est. Il business delle delocalizzazioni nell'Europa dell'Est è attualmente gestito soprattutto dalla multinazionale Philip Morris, del cui Consiglio di Amministrazione fa parte anche lo stesso Marchionne. http://www.theofficialboard.com/org-chart/philip-morris-international
    A smentire le ipotesi di una presenza puramente onorifica di Marchionne nel Consiglio di Amministrazione della Philip Morris, basta la collocazione del suo nome nell'Official Board della multinazionale statunitense, che lo pone addirittura come il numero tre della gerarchia aziendale. Ciò conferma che, nella società sedicente occidentale, i segreti meglio custoditi sono le documentazioni ufficiali, documentazioni che il conformismo mediatico ignora sistematicamente. In base a queste documentazioni risulta particolarmente stridente la "serbian connenction" tra Marchionne, la FIAT, la Philip Morris e le delocalizzazioni in Serbia.
    La Philip Morris infatti possiede quasi mezza Serbia, e pensa di far fruttare questo feudo utilizzandolo anche come specchietto per le allodole per le piccole e medie imprese italiane. http://www.balcanicaucaso.org/ita/aree/Serbia/Gli-USA-al-primo-posto-negli-investimenti-in-Serbia
    Sino a qualche anno fa, il fenomeno delle delocalizzazioni riguardava soprattutto le grandi imprese multinazionali, mentre ora si concentra nella piccola e media impresa. In ciò vi è una grossa differenza con il pur recente passato, poiché in questa nuova vicenda la piccola/media impresa costituisce più un oggetto, o una preda, che un protagonista. La piccola/media impresa non detiene infatti un vero e proprio potere contrattuale che le consenta di gestirsi la delocalizzazione, perciò cade vittima dell'intermediazione delle multinazionali, con tutti i rischi del caso.
    Si trasferiscono all'estero impianti e produzioni affidandosi alla "buona fede" di consumati criminali internazionali, che ti conducono nel Paese dei Balocchi solo per trasformarti in asinello. In altre parole, si parte ricchi e si arriva poveri e indebitati, oltretutto dipendenti dalla rete di relazioni sul luogo, che sono interamente controllate dalle multinazionali che hanno lì i loro feudi. Sono poi sempre le multinazionali a controllare i fondi dell'Unione Europea destinati a finanziare le delocalizzazioni, quindi la sudditanza delle piccole/medie imprese è totale. Si tratta perciò di un vero e proprio saccheggio di impianti e tecnologie ai danni di piccoli e medi imprenditori ingenui, pronti a bersi gli slogan della "globalizzazione".
    Appare inoltre chiaro che la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, non ha intenzione di muovere un dito per salvare la massa dei piccoli/medi imprenditori da questo misero destino, dato che anche la sua famiglia appartiene ad un giro affaristico che può permettersi ben altre ancore di salvezza (leggi: collettori di denaro pubblico).
    Cremaschi ha dichiarato anche che ora con Marchionne è guerra totale. Benissimo, ma occorrerà tenere conto del fatto che Marchionne, oltre a ad essere un distributore automatico di slogan, in definitiva costituisce soprattutto un agente del saccheggio coloniale da parte delle multinazionali nei confronti dell'Italia. L'attacco al contratto collettivo e la precarizzazione del lavoro sono due aspetti di questa aggressione coloniale, in cui rientrano anche le privatizzazioni, le delocalizzazioni, il furto dei patrimoni immobiliari pubblici ed i "patti di stabilità finanziaria", cioè la miseria pianificata, funzionale a determinare le condizioni per un indebitamento di massa.

    Comidad

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