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Sulla Manifestazione del 22 novembre e oltre.

(23 Novembre 2003)

No alla guerra, no alle spese militari, sì al reddito.

Questo dice la manifestazione di oggi. Si tratta di contenuti condivisibili, non c’è dubbio, ma che vanno specificati uno ad uno, per coglierne l’intimo nesso.

Partiamo dalla guerra. In questo paese, siamo nel vivo di una campagna patriottica. L’agire dei carabinieri in Iraq, interno ad una occupazione coloniale, viene presentato come una missione di pace contro cui non è più lecita la critica. Si risulterebbe ostili all’interesse nazionale, in un momento in cui l’Italia, con i suoi morti, ha conquistato titoli per poter dire la sua sul modo di gestire l’impresa irachena e per avere una fetta più grossa nella torta che comprende la ricostruzione di un paese distrutto.

Insomma, la posta in palio è alta e ciò spiega la spinta nazionalista di questi giorni, peraltro non necessariamente legata al filoamericanismo. Esso risulta patrimonio della stampa di centrodestra, che lo esprime in forme involontariamente grottesche.

Laddove Ciampi e gli editorialisti di “Corsera” e “Repubblica” non fanno coincidere l’interesse italico con una totale subalternità agli States, invocando una gestione comune tra USA e UE delle imprese belliche, così da contenere la rapacità yankee e da spartirsi “equamente” i bottini di guerra. Dando, quindi, vita ad una sorta di imperialismo “dal volto umano”, che sappia dosare forza e diplomazia. In quest’ottica l’Italia può giocare il ruolo di ponte tra le 2 sponde dell’Atlantico. Ma perché i sogni di cogestione delle controversie internazionali si realizzino, oltre alla mediazione italica, un passaggio risulta indispensabile: la creazione di un esercito europeo, ovvero un aumento vertiginoso delle spese militari.

L’Unione Europea, la cui Costituzione già muove dal superamento di ogni ipotesi di Welfare e di garanzia del lavoro, si produrrà in una nuova diminuzione delle spese sociali contribuendo all’emergere di una precarietà assoluta, tale da coinvolgere ogni sfera dell’esistenza. Occorre quindi creare degli argini! Tra questi, vi può essere il reddito. Infatti, sarà meno ricattabile chi, non interno al mercato del lavoro o presente in esso in forma intermittente, goda comunque di un reddito sganciato da qualsiasi prestazione produttiva. E chi invece, già dato per “garantito”, veda la sua collocazione minacciata dai processi di precarizzazione in atto potrà, nel momento in cui ai “livelli più bassi” del mondo del lavoro è stato posto un freno alla precarietà, evitare il precipitare della propria condizione. Si sta parlando, quindi, di qualcosa che può essere utile a tutte/i e che può diventare oggetto di una rivendicazione di massa, comune a settori sociali che, colpiti dalle politiche antipopolari in atto, non dialogano tra loro, frammentati come sono da vent’anni e passa di ristrutturazione del processo produttivo.

La parola d’ordine del reddito, quindi, può ricomporre le mille figure che vivono una condizione di precarietà. A due condizioni, però. La prima è che non sia oggetto di una mera campagna d’opinione, agganciandosi ad una prassi quotidiana nei luoghi di lavoro e nei territori e collegandosi alle lotte per i bisogni (casa, servizi sociali). La seconda condizione è che l’istanza di reddito, prima che attorno ad essa si sia sviluppato un movimento significativo, non venga incanalata verso le proposte legislative che sono già state avanzate, semplici lenitivi volti solo a scongiurare la miseria nera. D’altra parte, da chi vengono certe proposte? Prima di tutto, da chi sta costruendo l’Europa nel segno di un liberismo spinto e delle politica di rafforzamento militare di cui s’è detto. Poi, da settori meno propensi al bellicismo e al superamento di ogni garanzia ma portatori dell’illusione di poter riformare l’UE, avvicinandola a politiche di pace di equità. Non facciamoci imbrogliare da queste false prospettive! La piazza di oggi raccoglie quelle nuove figure sociali che fecero la loro comparsa già nei cortei del sindacalismo di base del 2002. Altri segmenti del precariato possono aggiungersi. E può iniziare il dialogo - volto ad iniziative comuni sul reddito, sui bisogni, contro la guerra - con quei settori “tradizionali” che sono comunque sotto attacco.

L’essenziale è che ci si muova autonomamente. Per aumentare in numero ed in energie. Così da misurarsi sul terreno delle proposte concrete una volta conquistata quella posizione che consente di chiedere ciò che davvero ci spetta!

Roma, 22 novembre 2003

Corrispondenze metropolitane - collettivo di controinformazione e di inchiesta

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