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Britannia

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(11 Agosto 2011) Enzo Apicella
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(Lotte operaie nella crisi)

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Riflessioni sul 14 dicembre a Roma

(22 Dicembre 2010)

L’ enorme corteo del 14 dicembre a Roma, con la partecipazione di decine di migliaia di studenti, compagni e compagne, precari della scuola e non, gli abitanti di Terzigno e dell’Aquila e gli scontri che ne sono conseguiti con chi difendeva i palazzi del governo, da qualsiasi punto di vista si possano guardare sono stati nei fatti l’ espressione oggettiva di una rabbia che travalica la contrarietà al decreto Gelmini e hanno, oggettivamente spiazzato e, almeno per un momento, tenuto fuori dalla porta chi voleva utilizzare quell’enorme ondata di protesta, per appropriarsene come elemento di pressione in una chiave di lettura tutta parlamentare, istituzionale e compatibile sul piano politico.
La lettura sociologica di quel corteo fatta dall’ imbelle e strumentale buonismo del centrosinistra in cerca di qualche infiltrato/provocatore su cui scaricare la responsabilità degli scontri e le urla scomposte con la bava alla bocca del centro destra ci danno il segno della frattura che quel corteo ha creato.
Le dichiarazioni di Maroni sull'applicazione del Daspo anche alle proteste sociali, la richiesta di arresti preventivi prima dei cortei dell’omuncolo rancoroso Gasparri, pieno di livore vendicativo per una gioventù fatta di fogne e calci nel culo, che oggi evoca un altro 7 aprile 1979 - "dimenticandosi" del fatto che il 7 aprile 1979 non si trattò di arresti preventivi ma deportazione nelle carceri italiane di quel gruppo di compagni e compagne definito gruppo dirigente dell'Autonomia Operaia - sono gli aspetti solo più esplicitamente fascistoidi di un quadro di relazioni sociali basate sull'autoritarismo e gestite con un controllo sociale pianificato.

E' appena passato l'anniversario della strage di piazza Fontana e queste ultime affermazioni, di importanti esponenti del governo Berlusconi, ci fanno dire che, certamente, lo stragismo e il golpismo fascista non sono all'ordine del giorno, ma si è affermata e radicalizzata, oggi, una forma di "democrazia autoritaria" che alterna controllo sociale pianificato e repressione militare per cooptare e/o colpire ogni possibile espressione di dissenso, più o meno conflittuale, contro i grandi manovratori che gestiscono le leve dell'accumulazione del profitto.
Un autoritarismo di sostanza oltre che formale, ancor più accentuato in un momento di crisi del regime berlusconiano, che usa indifferentemente sospensione del diritto, concertazione, repressione poliziesca, manganello, informazione, servizi segreti e carcere. ma anche un sottile terrorismo mediatico, una politica d’ intenzionale abbassamento dei livelli culturali, con una proposta assordante di modelli comportamentali e di abbrutimento del senso comune che produce servi consenzienti alienati e coscientemente proni e omologati alle diverse articolazioni del sistema dominante.
Un’ autoritarismo politico e economico che trova facile terreno di conquista nelle politiche concertative del sindacalismo confederale che si è piegato ad ogni esigenza del capitale, salvo momenti in cui tenui bagliori d’opposizione sanno di strumentalità politica a fini di una rimonta elettorale del centro sinistra.

Ma oggi c’è anche qualcosa in più con cui confrontarsi, siamo di fronte ad una crisi strutturale del modello economico sociale capitalista che cerca di sopravvivere scaricando i costi della propria crisi sulle classi subordinate, sui lavoratori, i precari, gli studenti e, naturalmente, sugli immigrati che rappresentano un modello paradigmatico dello sfruttamento di classe.
Per superare questa crisi il capitalismo deve imporre una ristrutturazione economica sociale e anche politica, dal punto di vista di possibili modificazioni istituzionali e costituzionali, che provi a far ripartire un nuovo ciclo di accumulazione del profitto a partire dalle macerie di ogni forma residuale di stato sociale, da una situazione di terra bruciata dei diritti conquistati in anni di lotte, dalla cancellazione dei già miseri contratti nazionali e con l’imposizione del ricatto della “filosofia Marchionne” che lega la possibilità di un lavoro all’accettazione della propria schiavitù e al contrario espellendo dalla produzione chi parla ancora di livelli minimi di dignità dei lavoratori.
Interpretazione medioevale delle relazioni sindacali e sociali utilizzata in maniera esponenziale nelle cooperative della logistica e movimentazione merci in cui stiamo intervenendo insieme ad altre realtà metropolitane.

Questi processi economici, indispensabili per la sopravvivenza del sistema economico capitalista, vanno difesi ad ogni costo e ogni espressione di dissenso reale e ogni forma di conflitto che si ponga
al di fuori del teatrino delle alternanze di governo, va represso e criminalizzato se non sceglie di porsi all’interno del quadro delle “compatibilità” politiche o economiche.
Per questo la “frattura” , la linea di demarcazione che quel corteo può segnare, va molto al di la dell’uso della forza che quel corteo ha espresso.

Quella mobilitazione cosi ampia e trasversale a diversi settori sociali, ci può dare, se siamo in grado di coglierla, un’indicazione di una ricomposizione sul terreno del conflitto, di quello che l’odierna organizzazione capitalistica del lavoro, basata sulla precarietà, ha flessibilizzato, scomposto atomizzato, parcellizzato e individualizzato.
Una prospettiva di ricomposizione sociale che, con una vertenzialità sociale diffusa, sappia tenere insieme nelle lotte comuni e nella pratica del conflitto, l’operaio di fabbrica con tutte le nuove forme della precarietà prodotte nei mille rivoli della produzione postfordista fino alla massa degli studenti in lotta per una cultura, una scuola, un’università pubblica e non solo funzionale al profitto.
Una nuova capacità di costruire, attorno alla centralità del conflitto capitale/lavoro, reti di aggregazione politica sociale in grado di coordinare e imprimere accelerazioni al conflitto, unica arma nelle nostre mani per difenderci dalla crisi e dalla repressione, far camminare e praticare un processo di trasformazione radicale del presente.
Per una sinistra vera, radicalmente anticapitalista, fatta di lotte e una nuova capacità di reagire culturalmente, ideologicamente e con il conflitto, allo strapotere di una destra caratterizzata da un miscuglio di neoliberismo all’italiana, populismo, fascismo, razzismo, xenofobia, una destra “istituzionale” basata su di un blocco sociale fortemente caratterizzato in senso antidemocratico oltre che anticomunista.
Ed è per questo che per noi hanno poco senso le varie alchimie parlamentari che possano rendere
più presentabile un centrosinistra che sposta il proprio baricentro politico a seconda delle convenienze politiche.

L’unica strada da percorrere è quella del conflitto e del confronto politico quotidiano con le contraddizioni reali che i lavoratori vivono, soprattutto in questo momento di crisi, dandoci obbiettivi e praticandoli.

Milano 20.12.2010

I compagni e le compagne del CSA Vittoria

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