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Il latte è buono in tempo di pace..

(27 Dicembre 2010)

E’ la più ricorrente , la più evocativa delle immagini poetiche che ricorrono -fin dal titolo- nel romanzo “Il latte è buono”. L’autore , il somalo Garane Garane,ha vissuto e studiato in Italia. Laurea in Letteratura italiana, dopo aver proseguito gli studi in Francia, ha coronato la propria carriera accademica con la nomina a Direttore del Dipartimento di Umanistica della Allen University in South Carolina, negli Stati Uniti,attualmente vive e lavora.
Definito “il primo romanzo post-coloniale italiano”, in realtà il testo risulta essere molto di più.
Lo sguardo dell’Autore , per inevitabili motivi storici, è volto verso il passato coloniale del proprio paese, ma guarda oltre, abbracciando passato, presente e futuro, amore e dolore di un Popolo, un Paese , un Continente.
G.G. ”ci” guarda: di conseguenza, il suo Lavoro “ci” riguarda, sa scegliere le parole e le immagini più eloquenti. Altrettanto eloquente –e assordante- il silenzio che avvolge “questo” Paese, dalla geografia vagamente rassomigliante a una Calzatura, sul proprio passato di Stato Colonizzatore: al 2005 dell’Era Volgare data la pubblicazione di questo primo Romanzo post-coloniale italiano...Scritto, dall’Autore, nel nostro Idioma.
La prima parte della Narrazione, scivola in modo sublime tra Storia e Mito: la nascita di Shakhlan Iman, nonna del protagonista-alter ego dello scrittore.
Evento magico, dopo ventiquattro mesi di gestazione, la venuta di un essere Benefico e Potente: unigenita figlia femmina del Grande Iman, il Crudele,il Giusto ; capace di vedere il futuro dal grembo della propria madre. Dotata di occhi di Leonessa. Capace di riapparire per tutto lo svolgersi del Romanzo nell’atto di Camminare, mentre Africa, Europa, Mondo sembrano ossessionati dal proprio Correre
A spezzare il passato tribale e mitico della Terra di Azania ed annunciare morte imminente e resurrezione profetica, è la Voce misteriosa che sorge dalla Tomba dell’Iman: “Andate verso la costa. Non dimenticate quello che siete. Tornerete un giorno verso la terra rossa di Maquaraacad. Andate. Seguite la vostra Regina”…
La famiglia del Protagonista si trasferisce , quindi, a Muqdisho, luogo di approdo e naufragio, di ingresso nella Storia ufficiale e di sradicamento di una Cultura. Il Padre , Kenadit, figlio di Shakhlan, è ancora partorito dal Mito dopo una gravidanza di dodici anni, ma nasce a Via Roma. E’ funzionario di Stato nell’epoca della Decolonizzazione. Il Protagonista è il primo a venire al mondo dopo una gravidanza di nove mesi, nella Mogadiscio “la Noiosa”, “culla del Nazionalismo somalo”, dove “nessuno conosce il Clan del vicino.”
Fiat, Scuole, Cinema: tutto, al giovane Gashan, parla dell’Italia, in una Mogadiscio che vede riprodursi,tra strade e piazze dove “Garibaldi è più importante dell’Iman”, l’eterno conflitto tra il Cammello e l’Asino.
Il primo, simbolo della forza e dell’orgoglio dei Nomadi , è sconfitto dal secondo , animale caro alle popolazioni stanziali ed ormai asservito e adibito al trasporto delle merci nelle ville da cui escono le lussuose Lancia.
La presa del potere di Siad Barre, con il tentativo di trapiantare il Socialismo in Somalia,è vissuto come uno dei tanti motivi di distruzione e di future, tragiche disillusioni: “un Presidente era morto ,vittima non solo di una pallottola fatta a Mosca, ma anche del Latino:era un assassinio culturale”.
Il giovane Gashan sente crescere dentro di sé l’amore per Petrarca e Dante, e per una Italia anch’essa mitica, come l’epica esistenza degli Avi; la doppia ricerca, la doppia risposta che arriverà solo alla fine del racconto: cosa vuol dire il Sommo Poeta con l’immagine della Selva Oscura; cosa cerca ,senza meta, Shakhlan la maestosa, la saggia, nel suo camminare…
Un biglietto aereo porta, finalmente, il giovane nella terra della poesia, del sogno..e della disillusione, e ad una seconda rottura, tutta personale, con la realtà preesistente, con la propria Terra.
“Io parlo l’italiano, quello di Dante, ma questi assomigliano agli arabi”…”sono molto ignoranti”- avverte lo zio residente a Roma, che, per la prima volta, gli parla di N’krumah, Lumumba, del Panafricanismo, osservando: “Si sanno più cose dell’Africa, restando qui in Europa”.
“Il Cappuccino è amaro e sporco”, come una Città Eterna “sporca ed arretrata”.
L’Architettura della Stazione Termini,così amata dai connazionali, così simile all’edificio del Parlamento di Mogadiscio, “costruiti entrambi dall’Uomo grazie al quale siamo finiti in questo posto”.
Il latte è buono e pensieroso
Nuovo trasferimento, a Firenze. “E’ vero che Mussolini aveva costruito tante cose in Somalia- pensava guardando fuori dal finestrino-come il Parlamento, le strade ecc. Ma Mussolini ha costruito anche me..”
Ancora in viaggio, altri Studi, nuovi Incontri. Grenoble, “più africani che in Somalia”, radicalizzazione politica, Marx, Hegel, solidarietà tra africani fuori dell’Africa, amarezza delle contraddizioni: “Facevano parte della borghesia distruttrice africana. La fine del Colonialismo e del Neocolonialismo sarebbe stata la loro fine. Criticavano, ma non volevano suicidarsi”.
E poi gli Stati Uniti; l’insegnamento nell’Università di una piccola città , dove tutti “sono molto credenti, e molto fascisti”.
In tempo di guerra, il latte è amaro e buono”.
La chiusura della narrazione è dolce quanto atroce; quanto il passo di Shakhlan che si allontana per l’ultima volta, dopo aver condotto il Protagonista tra le rovine della Somalia in preda alla guerra civile; quanto il decifrare, tra incubi di morte e disperazione, l’Immagine Ignota: la Selva Oscura dantesca.
Quanto il germogliare, insperato, inspiegabile, della Speranza.

Leonardo Donghi

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