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Sasà Bentivegna, Partigiano

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(3 Aprile 2012) Enzo Apicella
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Roma: i forchettoni neri

(4 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Roma: i forchettoni neri

foto: www.radiocittaperta.it

di Caio Gregorio

La fascistopoli del sindaco Alemanno presenta molti aspetti di continuità con quanto avvenuto sotto precedenti amministrazioni romane, ma anche notevoli elementi di novità.
Ad oggi, si parla di oltre 4.000 assunzioni in due anni nell’ambito delle aziende ex municipalizzate, in particolare AMA, ATAC ed ACEA, ma non è escluso che questi numeri possano lievitare ulteriormente, coinvolgendo altri settori nella disponibilità del sindaco, come gli appalti per forniture di beni e servizi e le consulenze generosamente affidate.
Ciò che desta particolare scandalo è l’entità delle assunzioni e la loro inutilità rispetto alle esigenze della città: per esempio, all’azienda che gestisce un aspetto strategico nella vita metropolitana, quale quello del trasporto pubblico, mancano almeno 140 autisti per gli autobus, con il conseguente disservizio che tutti possiamo immaginare e, soprattutto, constatare quotidianamente sulla nostra pelle di cittadini. Ebbene, fra le centinaia di assunzioni per chiamata diretta avvenute dall’elezione di Alemanno, non si trova nemmeno un autista, mentre abbondano impiegati, funzionari e dirigenti, la cui incongruità appare evidente dalla disponibilità di tempo che hanno per chattare su Facebook, come si è visto nel caso dell’ex terrorista nero installato negli uffici ATAC di Via Prenestina e dei suoi colleghi, che hanno passato sul social network alcune ore a scambiarsi opinioni e consigli sul sistema migliore per sterminare gli studenti “rossi” che manifestavano sotto i loro uffici.
Il clientelismo non è certo un’invenzione di Alemanno, e nemmeno le giunte di centrosinistra si sono sottratte a questa consuetudine, ereditata dai tempi eroici della Roma democristiana. Si potrebbero fare i nomi di molti personaggi senza arte né parte collocati dalla sinistra nei C.d.A. delle aziende pubbliche e poi assunti a tempo indeterminato, e forse qui risiede la ragione della scarsa aggressività della cosiddetta opposizione (compresa quella di “sinistra radicale”) nell’iniziativa contro la fascistopoli romana. Sta di fatto, tuttavia, che le dimensioni qualitative e quantitative dell’attività della giunta di centrodestra rappresentano qualcosa di più della perpetuazione dell’eterno clientelismo capitolino.

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Fascistopoli si caratterizza come una torta a più strati, alla cui base si situano le centinaia di galoppini fascisti o berluscones assunti a livello operaio o impiegatizio per soddisfarne le legittime (per modo di dire) aspettative di ricompensa per i servizi resi in tempi più o meno lontani, servizi che, in certi casi, si possono considerare imbarazzanti. Camerati di antiche scorribande squadriste, per esempio, ma anche procacciatori di consensi nel sottoproletariato metropolitano e nella piccola borghesia orfana della balena bianca. Non va dimenticato che gli ultimi fuochi democristiani a Roma portavano i nomi di gentiluomini come “il Monaco” Giubilo o “lo Squalo” Sbardella, e che ancora siede in Parlamento, nelle stesse file del sindaco Alemanno, un certo Ciarrapico, faccendiere fascistone tanto ingombrante, quanto impenitente.
Lo strato intermedio della torta è costituito da personaggi più presentabili, ai quali sono stati conferiti i più svariati incarichi di consulenza ben retribuita, nonostante proprio la denuncia dell’uso disinvolto dei “consulenti” da parte delle amministrazioni di Rutelli e Veltroni sia stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale dell’attuale sindaco e dei suoi camerati.
La parte superiore della torta è quella meno investigata, ma probabilmente la più interessante. Qui troviamo ex squadristi e picchiatori di buon calibro che, ad un certo momento della loro vita, si sono trovati di fronte ad un bivio: continuare nelle scorribande e negli agguati in camicia nera contro i “rossi”, oppure indossare un bel doppiopetto e iniziare la scalata sociale. Diciamo che questo bivio esistenziale si è presentato ai nostri bastonatori quando sulla scena del Paese si è proiettata la parabola, breve ma violentissima, dei N.A.R. di Mambro e Fioravanti.

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Nonostante l’assassinio del giudice Amato e del capitano Straullu, un rinnovato impulso investigativo portò ben presto allo smantellamento della rete politico-criminale che proteggeva il ristretto nucleo di pistoleri e bombaroli neofascisti. Va anche detto che a quell’impulso investigativo non fu affatto estraneo il venir meno di antiche e consolidate complicità all’interno degli stessi apparati dello Stato, nel quadro della generale ridefinizione dei rapporti sociali e politici che ha segnato la stagione susseguente la sconfitta dei movimenti rivoluzionari degli anni 70 e la disfatta operaia dopo i 35 giorni di occupazione della FIAT, seguita dalla ristrutturazione di Romiti e dalla fine di ogni seria conflittualità sindacale. In questo contesto, il ruolo della manovalanza nera non rivestiva più grande importanza, finendo anzi per rivelarsi controproducente.
E’ dunque nella prima metà degli anni 80 che una parte significativa dello squadrismo romano, non coinvolta o soltanto lambita dalle vicende dei N.A.R. (con annessi legami con la malavita organizzata), inizia la sua lunga marcia nell’impresa, più o meno legale, e nella politica, senza per questo troncare ogni legame con il proprio passato e nemmeno quelli con i camerati più scomodi.
L’irruzione sulla scena del Cavaliere Nero e il suo sdoganamento del Movimento Sociale Italiano, attraverso il sostegno alla candidatura dell’allora segretario missino Gianfranco Fini come sindaco di Roma, hanno consentito la progressiva emersione dei vecchi squadristi, che hanno potuto così completare il loro riciclaggio da gorilla di strada a rispettabili imprenditori o uomini politici presentabili. Ancor prima della prima vittoria elettorale di Berlusconi, tanto per dire, il famoso “Pecora”, Teodoro Buontempo, era trasfigurato da manesco manovale del neofascismo addirittura ad “apostolo delle borgate”, portavoce nelle stanze del potere rutelliano dei bisogni e dei problemi della dimenticata plebe romana. Questa ricollocazione non era priva di realtà, tutt’altro: al progressivo abbandono da parte della sinistra dei propri riferimenti culturali e del proprio insediamento sociale, faceva da riscontro la sempre più massiccia presenza degli attivisti di destra, nelle scuole, nei quartieri ed in molti luoghi di lavoro.

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L’attivismo dei militanti del MSI prima e di Alleanza Nazionale poi all’interno della magmatica e talvolta melmosa composizione di classe romana è stato un fenomeno troppo a lungo sottovalutato da una sinistra sempre più salottiera e narcisista, convinta di rappresentare la sola classe dirigente della città ed il solo referente affidabile per i suoi storici poteri forti, dalla lobby dei palazzinari alle gerarchie vaticane. Inoltre, mentre nelle scuole della borghesia, nei licei, continuava a manifestarsi una predominanza dei collettivi e dell’impegno politico di sinistra, negli istituti professionali e, soprattutto, fra i giovani senza cultura e senza futuro della sterminata periferia, andava affermandosi la presenza attiva e l’influenza ideologica e comportamentale della destra e dell’estrema destra, anche facendo leva senza scrupoli sul disagio provocato dal crescente afflusso di immigrati e sull’enfatizzazione del ruolo dei rom, gli zingari, facile bersaglio di ogni propaganda razzista e xenofoba.
Sulle basi del consenso popolare così costruito, nella seconda metà degli anni 90 Alleanza Nazionale è diventata il primo partito in molti quartieri popolari, capitalizzando più di Forza Italia il vuoto lasciato dalla vecchia D.C. e guadagnando il sostegno di quei settori di popolo esclusi ed emarginati dalle sciagurate politiche di privatizzazione e di liberismo condotte dalla “sinistra” al potere in Campidoglio. Forti di questo sostegno, i vecchi squadristi, insieme ad altri di nuova generazione, hanno iniziato ad uscire allo scoperto nelle loro nuove vesti, celebrando il loro trionfo nella primavera del 2008, quando l’ex squadrista, nonché genero devoto dell’ideologo e fondatore di Ordine Nuovo, nonché amico e sodale di molti nomi del terrorismo nero, è asceso alla massima carica della Città Eterna.

Le migliaia di galoppini assunti con chiamata diretta dalle aziende del Comune di Roma dopo la vittoria elettorale di Alemanno rispondono all’esigenza di ricompensare sia la manovalanza nera che quei settori “popolari” che hanno contribuito in maniera determinante al successo delle liste neofasciste e berlusconiane. A ben guardare, si è trattato di un’operazione nel più classico stile democristiano, con un di più di velocità e di assoluta indifferenza verso il contesto strutturale in cui la stessa operazione viene effettuata.
4.000 assunzioni nell’arco di due anni sono un’enormità, una cosa più da pieno impiego in stile sovietico che da governance liberale. Una tale forzatura è avvenuta parallelamente al taglio selvaggio di servizi pubblici e nel quadro della più grave crisi economico-finanziaria conosciuta dal capitalismo dopo il 1929. Qualcuno potrebbe sostenere che, in fondo, Alemanno si è ispirato al welfare mussoliniano, a quell’intervento dello Stato nell’economia che costituì la versione italiana del New Deal roosveltiano, ma il paragone non sta in piedi.
Negli anni 30 del secolo scorso, analogamente a quanto avveniva negli U.S.A. su impulso delle teorie di Keynes, il governo italiano promosse un massiccio piano di investimenti pubblici e di assunzioni nella Pubblica Amministrazione, legando la tendenza al pieno impiego al rafforzamento ed allo sviluppo di una forte struttura produttiva. La versione caricaturale del fascismo alla vaccinara di Alemanno prescinde totalmente dalla struttura produttiva, ed anche dalla semplice utilità sociale, virando verso il più abietto clientelismo, a spese della collettività.
Credo sia questo il punto da sottolineare: le assunzioni di Alemanno non solo sono clientelari, ma peseranno sulle condizioni di vita di una popolazione già duramente colpita dalla crisi e da anni di scellerate privatizzazioni realizzate dalle giunte di Rutelli e Veltroni, rispetto alle quali la giunta Alemanno ha aggiunto un surplus di arroganza. In altre parole, il conto degli stipendi delle migliaia di inutili parassiti insediati in comodi uffici – mentre la città avrebbe bisogno di autisti dei mezzi pubblici, di operatori ecologici, di personale scolastico, di operatori sociali, ecc. – lo pagheranno i cittadini romani, compresi quelli che non nascondono una sorta di ammirazione verso un uomo politico che “aiuta gli amici”, naturalmente sperando di poter accedere a quella cerchia di “amici”. Un esempio del costo sociale per la cittadinanza della disinvoltura di Alemanno e dei suoi è arrivato con una Delibera di giunta dello scorso settembre, scivolata nell’indifferenza generale delle cosiddette opposizioni, compresa quella della “sinistra radicale”.

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Con la Delibera n. 281 del 15 settembre 2010, il Comune di Roma ammette sostanzialmente di non essere in grado di versare nei tempi dovuti i compensi destinati alle aziende del privato sociale che gestiscono i servizi sociali e assistenziali per conto del Comune stesso, quali l’assistenza ai disabili ed agli anziani, il sostegno ai minorenni in difficoltà, l’assistenza educativa ai bambini delle scuole materne, elementari e medie, ecc. A seguito di tale presupposto, il Comune decide di garantire, certificandolo, il debito che ha verso quelle aziende, formalmente favorendole ma, di fatto, obbligandole a ricorrere al credito bancario, ovviamente scaricando sulle aziende stesse ogni onere economico relativo all’operazione.
In pratica, funziona così: le cooperative cui il Comune non riesce a pagare il lavoro effettuato potranno (leggi: dovranno) rivolgersi alle banche, che verseranno loro quanto dovuto dal Comune, per rivalersi successivamente sul Comune stesso. Naturalmente, non essendo le banche istituzioni filantropiche, queste tratterranno dai versamenti alle cooperative una certa percentuale, mediamente intorno al 3% dell’importo dovuto dal Comune: questo comporta, per una cooperativa di medie dimensioni, un salasso di circa 60.000 euro l’anno, a tutto vantaggio della banca.
Ma non finisce qui: logica vuole che, se il Comune di Roma non è in grado di far fronte nei tempi dovuti ai suoi impegni nei confronti di chi lavora per lui, meno che mai sarà in grado di farlo nei confronti delle banche, il che farà scattare le conseguenti ed inevitabili penali, con il brillante risultato di far aumentare sia il costo dei servizi sociali che l’indebitamento pubblico verso le banche. Indovinate un po’ chi pagherà questo aumento dei costi.

Se la cosiddetta opposizione si sta mostrando timida verso la fascistopoli/parentopoli nelle aziende pubbliche, sullo scandalo dei servizi sociali consegnati alle banche a spese dell’intera cittadinanza non ha nemmeno fiatato, né in Consiglio comunale, né nella città. I motivi di questo silenzio andrebbero indagati, perché appare impossibile che possa trattarsi di mera incompetenza. La realtà è che qualcuno sarà pure veramente incompetente (e questo è già grave), ma qualcun’ altro con la cricca di Alemanno ci convive piuttosto bene, urlando slogan antifascisti di giorno e incassando qualche finanziamento per le proprie attività al calar della sera. Anche qui, provate ad indovinare chi paga il conto.

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L’operato della giunta Alemanno appare, quindi, più sofisticato di quanto si possa immaginare, tanto è vero che, a conti fatti, in due anni di malgoverno della città la difficoltà maggiore gliel’ha creata il biondo Tevere con il suo rischio di esondazione, non certo l’opposizione politica. Fra clientelismo dispiegato verso gli “amici” e dazioni oculate verso i “nemici”, il camerata Alemanno ha mostrato di sapersi muovere… anche perché, diciamocelo francamente, con una “opposizione” come quella che si ritrova, avrebbe dovuto essere un perfetto imbecille per avere fastidi. E Alemanno imbecille non è.
Tuttavia, la poltrona del sindaco in camicia nera inizia a traballare. Fino ad ora, ci siamo occupati degli strati più bassi della torta, fra galoppini ricompensati e “oppositori” in saldo da fine stagione. Ma è avvicinandosi alle ciliegine che la torta diventa veramente gustosa, talmente gustosa che potrebbe andare di traverso al suo ingordo pasticciere.

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