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Le “parole” di Fini

(6 Dicembre 2003)

Il centrosinistra politico e quello culturale dei tanti commentatori ed opinionisti avevano qualche settimana addietro commesso l’errore di attribuire alla sortita dell’on.le Fini sul voto agli immigrati un rilievo che certo non meritava. Si trattava infatti, come ha poi confermato il disegno di legge costituzionale che ad essa ha fatto seguito, di una iniziativa essenzialmente propagandistica che non poteva in alcuno modo alleggerire l’odioso carico di pregiudizi, di rifiuti e di offese alla dignità umana che la legge Bossi-Fini sta riversando sull’umanità dolente degli stranieri non comunitari che miseria e guerre spingono sul nostro territorio. Errore questo che si è ripetuto con diabolica perseveranza all’indomani della svolta “antifascista” operata in Israele dal leader di AN che ha definito nefande le leggi razziali del ’38 ed ha condannato il fascismo come “male assoluto”.

E’ invero un errore quello di porre al centro del dibattito politico le ormai frequenti dichiarazioni “democratiche” e “moderate” di Fini così come dare peso alle sparate di Bossi, alle rivalità tra il leader della Lega e quello di AN, alle compassate esternazioni “terziste” dell’on.le Casini, alle ricercate battute ed ai semplicistici sillogismi di Follini, ai contrasti e alle convergenze all’interno della maggioranza, agli equilibri ed ai riassetti nella Casa delle libertà e alle ipotesi sul futuro politico del cavaliere. E’ un penoso rito “antico ed accettato” che era in voga nella peggiore prima repubblica e che serve oggi a distogliere l’attenzione della gente dai gravi problemi del Paese a tutto vantaggio di una maggioranza che giorno dopo giorno li aggrava e che in alcune sue componenti veste i panni di coscienza critica per rubare la scena all’opposizione ed appannarne la visibilità.

Una maggioranza questa che mortifica la coscienza democratica del Paese operando scelte ed adottando provvedimenti di enorme gravità: dalla legge sul falso in bilancio alla legge Cirami, dalla riforma che precarizza all’estremo il lavoro alle politiche di attacco ai salari e alle pensioni che stanno provocando impoverimenti di massa, dalle riforme costituzionali che rischiano di frantumare il Paese aggravandone gli squilibri alla riforma della giustizia e dell’ordinamento giudiziario rivolta a colpire la libertà e l’autonomia della magistratura, dalla politica sanitaria che indebolisce il servizio pubblico per privilegiare il privato ad una riforma scolastica che applica all’istruzione la medesima logica, dalla incostituzionale legge Gasparri che consolida ed ingigantisce lo strapotere berlusconiano sull’informazione ad una politica estera dissennata e servile che giustifica la guerra di Bush contro l’Iraq e disastrosamente coinvolge in essa i nostri militari ed il nostro Paese.

Ma torniamo alle parole di condanna del fascismo pronunciate da Fini a Gerusalemme per chiederci se questa sua ultima sortita si possa considerare in qualche modo una vera svolta. A ben guardare si è trattato di parole e solo di parole perché le decisioni e i fatti contraddicono quelle parole e stanno a dimostrare che vi è nella sostanza continuità culturale e politica tra le scelte che fece a suo tempo “la casa del padre” e quelle che fa oggi “la casa dei figli” con una determinazione che non lascia intravedere, se non agli ingenui, apprezzabili cambiamenti di rotta. Si rassicurino perciò la Mussolini, Storace e Tremaglia: la satira pessimistica di un vecchio adagio dice che Dio ha dato agli uomini la parola perché possano nascondere il loro pensiero. E della parola, dopo un lungo tempo di sostanziale silenzio, il vice presidente del Consiglio si sta ora servendo a dismisura per accreditare la sua immagine ed indirettamente quella del centrodestra.

C’è allora da chiedersi quali politiche avrebbe messo in atto oggi quel fascismo del “padre” in una situazione interna ed internazionale radicalmente mutata. Non avrebbe certo pensato di fare qualche marcia su Roma, né di usare come mezzi persuasivi l’olio di ricino ed il manganello e neppure di mandare tranquillamente a casa il Parlamento così come non avrebbe inseguito il sogno dell’impero, non si sarebbe vantato di poter “spezzare le reni” a qualche vicino stato europeo e non avrebbe costituito un “asse” con la Germania di Schroeder per fare a mezzo mondo, Stati Uniti compresi, una guerra disastrosa pensando di vincerla. Oggi quel fascismo avrebbe invece fatto più o meno ciò che sta facendo questo governo di Fini e di Berlusconi: avrebbe colpito diritti essenziali, avrebbe cercato di mortificare i sindacati, avrebbe tentato di mettere sotto controllo i mezzi di informazione, avrebbe puntato ad indebolire la magistratura, si sarebbe adoperato per criminalizzare il dissenso e per reprimere la protesta mandando anche qualche gerarca nelle caserme dei carabinieri per seguire da vicino le operazioni a tal fine disposte, sarebbe stato ostile non agli ebrei d’Israele amici degli americani ma agli arabi che si oppongono all’egemonia occidentale, avrebbe considerato superiore (“uber alles”) la nostra civiltà ed inevitabile lo scontro fra civiltà, si sarebbe legato a doppio filo al carro di Bush ed avrebbe condiviso la guerra preventiva trascinando in essa il nostro Paese e stracciando l’art. 11 della Costituzione repubblicana.

Chissà perché viene alla mente la saggezza evangelica, illuminante anche in ambiti diversi da quello propriamente religioso, per la quale i falsi profeti vanno riconosciuti dai loro frutti. Forse perché i frutti rovinosi di certe politiche sono oggi davvero sotto gli occhi di tutti.

Brindisi, 4 dicembre 2003

Michele DI SCHIENA

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