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Addio compagne

Addio compagne

(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
Il logo della campagna di tesseramento del prc 2010 è una scarpa col tacco a spillo

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    Proletariato giovanile e nuovi conflitti: la parola a Rossa Gioventù.

    (19 Gennaio 2011)

    Alberone

    La sede di via Appia Nuova all'Alberone

    In questi anni la sede del Comitato di Quartiere Alberone, in via Appia Nuova 357 a Roma, è sempre stata viva (a differenza di altri luoghi dell’antagonismo capitolino) accogliendo le riunioni di collettivi e di importanti realtà di lavoratori. Negli ultimi tempi, a vivacizzare ulteriormente la situazione ci ha pensato un singolare collettivo, denominato Rossa Gioventù, che nel portare avanti un preciso discorso rispetto al proletariato giovanile, sembra voler uscire dalla tradizionale e diffusa ottica studentista. Ci è sembrato utile dare voce a questa realtà, con la quale del resto abbiamo da poco avviato una collaborazione.

    Dovreste in primo luogo spiegarci cos’è Rossa Gioventù…
    Anzitutto va detto che Rossa Gioventù è interna al percorso di Combat, tanto che fra il serio ed il faceto diciamo che ne è la “sezione giovanile”. In realtà quel che stiamo perseguendo è un tentativo di aggregare il proletariato giovanile che si pone all’interno di un progetto politico più ampio. Noi, nei tempi, nei modi, nelle forme di comunicazione cerchiamo di essere attinenti alle pulsioni del proletariato giovanile…

    Quando vi siete costituiti? E quali sono le caratteristiche del percorso di Combat, che i nostri lettori conoscono principalmente sulla base dei comunicati?
    Volendo usare parole un po’ roboanti, si può dire che Combat nasce dallo scioglimento e dalla fusione di alcune realtà… Certo, c’era poco da sciogliere e poco da fondersi, come abbiamo detto scherzosamente quando abbiamo intrapreso questo percorso. Compagne e compagni dell’Organizzazione Proletaria la Scintilla, del Comitato di lotta Quadraro, dell’Autonomia di Classe di Roma, e, al nord, di Pagine Marxiste, hanno fatto un ragionamento che può anche apparire terra terra: fare gruppetti di 10, 20, 30 persone che hanno un peso relativo, che magari neanche si parlano fra loro per personalismi o gelosie rimanda ad una stagione superata. Il contesto economico e sociale sta cambiando, comincia ad essere un pochino più frizzante rispetto alle fasi precedenti e richiede un piccolo salto di qualità… come Combat nasciamo nel 2008. Quanto alla genesi di Rossa Gioventù, essa è anticipata dalla creazione – contestualmente all’avvio del percorso di Combat – dei Nuclei studenteschi. Questi erano composti da compagni nuovi o appartenenti alla Scintilla ed al Comitato di Lotta Quadraro, che si misero in rete con altri, soprattutto di Viterbo e Genova, ma qualche contatto lo si aveva pure a Milano ed in altre città. Nell’estate del 2009 siamo entrati in contatto con i giovani del Fronte Ribelle, un’esperienza legata a Rifondazione ed ai Comunisti Italiani di Cinecittà. Loro avevano una spinta di forte apertura al quartiere e ad altre realtà, oltre i partiti di riferimento di cui erano insoddisfatti. Dopo varie vicissitudini, molti di questi giovani uscirono dalle due sedi suddette. Il grosso di loro si fuse con i Nuclei Studenteschi, abbracciando l’idea di ricompattare l’area rivoluzionaria, seppur partendo dalla specificità del proletariato giovanile.

    Voi vi riunite in una delle sedi storiche del movimento romano, il Comitato di Quartiere Alberone. Com’è articolata la vostra attività?
    E’ nostro intento aprirci al quartiere e speriamo di riuscirci. Intanto abbiamo creato una biblioteca popolare, formata da testi portati perlopiù da gente della zona, che ha risposto molto positivamente ad un nostro appello, che invitava a consegnarci i libri che non servivano più. Poi, da dicembre abbiamo iniziato, in collaborazione con voi, uno Sportello Legale che può essere un modo per contattare tante persone che vivono problemi sui posti di lavoro, spesso sperimentando forme di precarietà estrema. In linea di tendenza c’è anche l’idea di connotare la sede in senso più sociale, però- al momento- rispetto al quartiere puntiamo anzitutto sulla biblioteca e sullo sportello. A livello giovanile, stiamo intervenendo soprattutto rispetto alle scuole medie superiori, cercando di interagire, peraltro con buoni risultati, con gli istituti di periferia, dov’è più forte la presenza di giovani proletari. Intendiamo rompere con le dinamiche consuete, che vedono da un lato le scuole di serie A del centro che dettano le linee della protesta e dall’altro le scuole di serie B, alla periferia non solo della città ma anche di quel che si muove. Dunque, stiamo dedicando una particolare attenzione agli istituti tecnici, professionali ed alberghieri. Naturalmente vi sono compagni validi pure nei licei storici come il Tasso ed il Virgilio, la nostra non è una preclusione verso qualcuno, però il nostro referente di classe si trova soprattutto nelle scuole di periferia. Ma non finisce qui: alcuni di noi vanno allo stadio. Quindi abbiamo cercato di analizzare la questione della tessera del tifoso, che per quanto ci riguarda si inserisce in un contesto di repressione più ampio, tale da raggiungere tutte quelle forme di conflittualità che in questa fase assumono valenze incompatibili. Se da un lato lo Stadio è nato come panem et circenses, col tempo ha assunto una connotazione in parte diversa. L’odio contro le forze dell’ordine o contro il sistema in generale (sebbene non sia del tutto chiaro in cosa consista questo sistema) unitamente alla percezione del potere in generale come qualcosa di negativo e nemico, allo stadio sono molto presenti, anche nelle tifoserie apolitiche. Chi si sente ultras, in generale percepisce sé stesso come fuori e contro il sistema. Il progressivo aumento della tensione con le forze dell’ordine rispetto a quella fra le varie tifoserie va valutato. In un momento in cui i luoghi di aggregazione proletaria vengono sempre più intaccati, secondo noi lo svuotare gli stadi rimanda alla necessità di eliminare un bubbone. Ogni domenica allo stadio emergono istanze di conflittualità, sicuramente confuse, ma sempre meno controllabili. Il voler svuotare gli stadi, soprattutto in una fase di crisi, risponde a questa logica qui. Si cerca di eliminare quell’humus da cui nasce la conflittualità.

    Non c’è una ambivalenza in questi fenomeni? E’ chiaro che si può cercare di intervenire ovunque, però la conflittualità sin qui descritta, non è necessariamente un superamento della classica dimensione dello sfogatoio. Le tensioni sociali esistenti possono essere dirottare in quella direzione lì, che –ostilità verso le forze dell’ordine a parte- non rimanda ad obiettivi chiari…
    Certo, l’ambivalenza rimane, però questa conflittualità –anche dopo fatti come la morte di Sandri – va oltre lo stadio. Il fatto che siano stati chiusi gli stadi, che non si sia insomma lasciata la porta aperta ai tifosi (secondo il canonico discorso “sfogatevi lì dentro e basta”) dovrebbe far riflettere. Alcuni slogan dicono “ci togliete le curve, ci ritroverete nelle strade” che, dal nostro punto di vista, è anche meglio… Del resto , alla grande manifestazione del 14 dicembre 2010 si è registrata anche la partecipazione degli ultras di tutta Italia.

    14 dicembre

    State anticipando quello che volevamo chiedervi: la vostra valutazione circa i fatti del 14 dicembre…
    Senza mitizzare quello che è successo, va detto che pochi se lo aspettavano, sia nel campo nostro che in quello della polizia. Intanto va vista la composizione della piazza,nella quale si sono riversati molti studenti di periferia, un forte settore di precariato giovanile, assieme a comitati come quelli degli aquilani, di Terzigno, ai giovani immigrati, a varie altre forme di conflittualità presenti in questo paese. Questa massa ha scavalcato in avanti sia le varie burocrazie di movimento, più o meno riconosciute, sia le forze più schiettamente antagoniste. Secondo noi il dato più significativo è stata l’irruzione di un settore sociale, perlopiù di proletariato giovanile che, vivaddio, comincia ad entrare nei nostri cortei, rompendo i consueti equilibri fra gruppi e gruppetti, che poi in questo caso dimostrano d’essere poco rappresentativi (e ciò vale pure per quelli più radicali, anche’essi spiazzati dagli eventi). A piazza del Popolo chi non partecipava agli scontri non scappava, dando il suo assenso neanche troppo tacito , urlando pure “che bello” quando indietreggiavano le forze dell’ordine. Per quanto ci riguarda, o riusciamo ad essere espressione di questo proletariato giovanile o manchiamo un’occasione storica per legare il nostro ruolo alla conflittualità che spontaneamente si genera nella società. Nell’immediato, poi, vi è pure la necessità di creare una netta linea di demarcazione tra noi ed alcuni gruppi, che non sanno leggere queste forme di conflittualità. Al di là dell’ossessione di controllare la piazza, vi è da parte di questi soggetti una grave carenza analitica, nonché il rifiuto di prendere atto d’una realtà che sta cambiando. La gente che scende in piazza porta la propria conflittualità, che è il frutto di condizioni di vita in via di peggioramento, rivoluzionando anche il modo in cui si fanno i cortei. Si determina uno scontro con tutto quello che c’era prima, in particolare con quelle burocrazie che reagiscono male, non comprendendo una situazione in evoluzione.

    Se il 14 dicembre ha visto esprimersi una radicalità spontanea ed inaspettata, la settimana successiva vi sono stati segni d’altro tipo, come l’incontro con Napolitano. Voi avete il sentore di come passaggi di questo tipo vengono accolti nel mondo studentesco e universitario?
    Diciamo che non è esagerato sostenere che alla gran massa degli studenti e giovani proletari di queste cose importa poco. A un ragazzo dell’alberghiero, come anche ad un giovane di Lettere alla Sapienza l’incontro di qualche studente con Napolitano non riempie di certo il cuore, facendogli dire: “che bello, stiamo vincendo”. Invece, il 14 dicembre è stato percepito da molti come un momento in cui si è dimostrato di avere forza. Ciò va oltre la dimensione fisica dell’evento e rimanda alla sensazione di essere, in qualche modo, attori. Poiché si è classe subalterna, quindi non si vedono rappresentati i propri interessi, né storici né immediati, si esprime direttamente la propria rabbia. Certo, non ci si deve fermare a questo, ma, a livello di pelle, la gente il 14 ha avvertito proprio di avere forza. La pacca sulle spalle di Napolitano è un palese tentativo di incanalare la situazione… pensate a come si è posto, da nonno accondiscendente e saggio, che capisce il disagio dei giovani ma li invita ad essere responsabili. Con tale atteggiamento si cerca, con l’ausilio delle consuete burocrazie, di spingere il movimento in una direzione più gestibile. Il problema su cui stiamo riflettendo è quanto queste burocrazie siano ancora rappresentative e quanto invece si consumerà una frattura fra la base e chi ha un ruolo, riconosciuto anche dalle istituzioni, di referente e di garante. E’ la questione che ci si pone tutte le volte che si incontrano movimenti che tendono alla radicalità e che però si portano dietro il passato, cioè le varie strutture politiche che c’erano prima. Noi speriamo che si determini davvero la rottura con chi tende a riportare il movimento in una direzione che non rompe con la pace sociale. Ma in generale le possibilità che ciò avvenga sono legate al modo in cui si sviluppano le contraddizioni, all’impossibilità per il capitale di continuare ad elargire le tradizionali briciole…

    Ci sembra che i margini di mediazione si siano enormemente ridotti e che negli incontri con le istituzioni difficilmente si possa andare oltre le pacche sulle spalle. In prospettiva, per mantenere un ruolo, un soggetto politico non può solo esibire il fatto d’esser stato ricevuto cordialmente da Napolitano o da chiunque altro…
    Se qualche briciola viene elargita –nel caso sia nelle compatibilità della situazione economica capitalistica- allora si riesce a frenare la esplosione di radicalità e la situazione diventa più gestibile , per l’ordine pubblico come per quei soggetti che hanno più legami con le istituzioni. Questo ragionamento, non vale solo per gli studenti, ma anche per gli altri movimenti sociali. Noi vorremmo aspettare come si evolve la situazione nei prossimi due o tre anni, prima di prefigurare uno scenario di conflittualità radicale in tutto il paese. Le situazioni di lotta in altri contesti, Francia, Grecia, Maghreb dimostrano che il capitale ha il fiato corto… Tuttavia vi sono dati per cui, almeno in Italia, i profitti sarebbero in crescita, soprattutto per quanto concerne le grandi imprese. Vedremo se è un fuoco di paglia.

    Dato che questa riflessione di carattere generale è partita dallo scenario universitario, ci piacerebbe sapere se, oltre alle scuole, avete un intervento pure negli atenei…
    Intanto va segnalato che, tra i cortei che hanno attraversato Roma il 22 dicembre, ve ne era uno – quello che partiva dalla stazione Ostiense – che abbiamo organizzato noi assieme all’Assemblea per l’autorganizzazione. In quel contesto gli studenti medi si sono incontrati con una parte degli universitari di Roma Tre e con i lavoratori precari. In generale, stiamo cercando di interagire con realtà con cui abbiamo già fatto iniziative, come gli studenti di Fisica alla Sapienza, quelli di Roma Tre e, ultimamente, quelli di Tor Vergata. Questi ultimi ci sono piaciuti perché il 22 hanno fatto un corteo a Roma sudest con ragazzi delle scuole di quell’area di Roma, da Cinecittà a Tor Bella Monaca. Da un lato hanno manifestato la volontà di approcciarsi alle scuole di periferia, dall’altro hanno esplicitato di non avere niente a che fare con le pratiche poste in essere il 14 dicembre da parte di quelle burocrazie che, prese in contropiede dalla rivolta di piazza, hanno un po’ perso la testa.

    Rispetto alla trasformazione in atto nelle scuole e nelle università, ci sembra predominante un discorso che, nella legittima e doverosa battaglia per il diritto allo studio, sembra approdare alla difesa dell’istruzione così com’è stata nei decenni passati…
    Anche noi, naturalmente, difendiamo il diritto allo studio, ma siamo in radicale dissenso con ogni discorso acritico rispetto all’istruzione di Stato. Il punto su cui cerchiamo di incentrare l’analisi e poi l’agitazione è che la scuola ed il sistema formativo in generale mutano in base alle trasformazioni del mondo del lavoro. La scuola segue questi cambiamenti ed è sempre strumentale alle esigenze, in continua evoluzione, del capitale. Le varie riforme che si sono succedute (Zecchino, Berlinguer, Gelmini) sono un ammodernamento del sistema formativo, che si adegua ad un mondo del lavoro più flessibile e precario. Vi è un taglio di fronzoli ed una massificazione al ribasso della formazione perché c’è bisogno di una forza-lavoro che salti da un lavoro all’altro, non troppo specializzata. I governi di centrodestra e di centrosinistra in questi anni si sono mossi sostanzialmente in questa ottica. Noi cerchiamo di stimolare gli studenti medi ed universitari ad inserire la doverosa battaglia contro la Riforma Gelmini in questo contesto più ampio, legato al ciclo capitalistico ed alle trasformazioni del mercato del lavoro. E’ giunto il momento di portare una critica non solo a questa o a quella specifica riforma ma anche al sistema formativo in quanto tale ed al ruolo che ha nel sistema classista, ruolo che magari . con i provvedimenti legislativi di questi ultimi anni, ha assunto connotati più espliciti.

    Come state impostando i rapporti con gli altri movimenti metropolitani (lavoro, lotta per la casa, immigrati)?
    Siamo interni al percorso di Combat, come detto, e in questa ottica ci occupiamo pure del lavoro e dell’immigrazione. Alcuni nostri compagni partecipano ai corsi di italiano per immigrati che si tengono nella sede del Nido di Vespe al Quadraro. In prospettiva, non escludiamo di sviluppare una iniziativa simile qui all’Alberone. Vorremmo cercare di instaurare un rapporto soprattutto con gli immigrati nostri coetanei, ad esempio intervenendo con volantini, tradotti anche in arabo, sui fatti del Maghreb. Naturalmente, l’ottica dovrebbe essere quella di collegare ciò che accade in Tunisia e in altri paesi ai sommovimenti che ci sono in Occidente (e che molto timidamente iniziano ad affacciarsi anche in Italia). Dunque, un discorso generale su una crisi che morde sia in Europa sia in quelle nazioni che, nell’ambito dei Paesi in via di sviluppo, venivano sino a ieri considerate delle oasi felici. Rispetto al mondo del lavoro, ci aspettiamo molto dallo sportello legale di cui ho parlato prima, soprattutto in termini di presa di contatti. Inoltre, stiamo cercando di dispiegare, con altri soggetti, una azione che tenga conto delle specificità di Roma, dove non ci sono grandi fabbriche ed il primo interlocutore è il precariato, disseminato in tanti posti di lavoro. In particolare, ci stiamo muovendo in collaborazione con l’Assemblea per l’autorganizzazione, con la quale peraltro abbiamo dato vita ad uno spezzone nel corteo organizzato dalla Fiom il 16 ottobre 2010 a Roma. Naturalmente i nostri tentativi incontrano delle difficoltà, non è sempre agevole relazionarsi con i precari, manodopera raramente organizzata e piuttosto ricattabile. Nei mesi passati ci siamo rivolti soprattutto al settore commerciale, alla grande distribuzione, dove la precarietà è estrema e la situazione è tenuta sotto strettissimo controllo dalla controparte. Abbiamo senz’altro avuto la possibilità di cogliere meglio le caratteristiche di un universo ampio e poco conosciuto, nonché di dialogare con molti lavoratori che spesso non hanno riferimenti sindacali. Aspettiamo, ovviamente, l’esplodere delle contraddizioni, ma nel frattempo cerchiamo di creare condizioni più favorevoli alla nostra presenza nei sommovimenti che in futuro si andranno a determinare.

    A cura de Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma

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