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Sfruttamento e godimento senza limiti

(18 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Sfruttamento e godimento senza limiti

foto: www.radiocittaperta.it

di Maurizio Donato (economista, docente Università Teramo)

Quello relativo alla prostituzione è uno dei rarissimi casi in cui il codice penale italiano utilizza il termine sfruttamento. Lo sfruttamento della prostituzione (minorile nel caso in questione) è reato, lo sfruttamento del lavoro no. Non sorprende, dal momento che lo sfruttamento inteso come estrazione di pluslavoro e poi realizzazione di plusvalore costituisce la base del modo capitalistico di produzione.

Eppure è proprio all’intensificazione dello sfruttamento che una parte considerevole – sebbene non maggioritaria – degli operai FIAT ha detto no. Meno pause, ritmi più intensi, più turni, più straordinari rappresentano uno dei modi a disposizione delle imprese per aumentare il plusvalore. E’ il metodo basato sull’estrazione di plusvalore assoluto – insegna Marx – che incontra dei limiti fisiologici nella durata della giornata lavorativa media e nelle capacità biologiche di resistenza degli operai, e che proprio per questo si accompagna all’altro metodo, basato sulla introduzione di innovazioni tecnologiche per aumentare la forza produttiva del lavoro, e che Marx definisce come plusvalore relativo. Nei periodi di crisi come questo le imprese, in attesa di introdurre per prime o imitare da altri nuove tecnologie relative ai processi produttivi o ai prodotti, ritornano al metodo del plusvalore assoluto per aumentare lo sfruttamento che, nei desideri del capitalista, dovrebbe essere senza limiti.

Gli operai coscienti e sindacalizzati provano tutti i giorni ad ogni latitudine a resistere allo sfruttamento; a volte ci riescono, altre no, ma quasi sempre quello che fanno, la materialità di quello che succede in fabbrica, viene rimosso dal discorso politico pubblico. Lo sfruttamento del lavoro non si vede, ed è meglio che se ne parli il meno possibile; lo sfruttamento della prostituzione a volte si vede, ma anche in quel caso è meglio che non si veda. Salvo rimanere sullo sfondo, come ogni rimosso.

Di chi gode dei frutti dello sfruttamento del lavoro si parla, ma non attribuendogli tale caratteristica; può essere definito imprenditore, manager, in alcuni casi capitalista, ma sfruttatore mai. Non sta bene. Ora, accade che a un ex capitalista divenuto presidente del consiglio venga rivolta l’accusa di sfruttamento della prostituzione (minorile) e puntualmente i commentatori si dividono tra chi sostiene la liceità di comportamenti privati, beninteso che non si configurino come reati, e chi li critica da vari punti di vista, etico, giuridico, di opportunità, di sicurezza. Ida Dominjanni, sul Manifesto, invita da tempo a considerare questa faccenda da una prospettiva diversa, sostenendo che (lo dico a parole mie) comportamenti come quelli attribuiti al premier in questa come in altre vicende debbano essere considerati a pieno titolo espressioni di una dimensione politica, e non esclusivamente morale o penale, del capitalismo. Il lato oscuro del potere si esprime nella figura del padre-padrone (il sovrano) che incarna un godimento senza legge il cui contraltare (la - diciamo così - opposizione) non è capace di proporre altro che la miseria di una legge (l’ordine) senza godimento.

Sono d’accordo con questo tipo di impostazione, cui vorrei solo aggiungere qualche riflessione a proposito di questa ultima (?) puntata della fiction italiana. Quando il leader del PD dice che una ragazza minorenne dovrebbe andare a scuola e non partecipare a festini organizzati da vecchi ricchi, sostiene una posizione di apparente buon senso, salvo un piccolo particolare: le ragazze e i ragazzi minorenni dovrebbero certo andare a scuola, ma la mattina. Lo scarto mi sembra eloquente, perché contrappone ai festini con vecchi ricchi non le feste con i coetanei (il godimento), ma il dovere scolastico (ancora una volta, la legge e l’ordine).

Il volto del capitalismo nella sua fase decadente (molto decadente, la puzza di marcio comincia a sentirsi) si mostra, appare sul terreno della circolazione e distribuzione delle merci. I produttori di merci (gli sfruttati) non sono considerati se non in quanto consumatori, cittadini che possono esibire idee e preferenze diverse solo riguardo ai modi con cui le merci da essi prodotte vengono suddivise e poi consumate. Ci si può dunque indignare, per lo più in modo moralistico, sullo sfruttamento (al momento presunto) della prostituzione o irridere alla idea ultra-trash di “festa” in cui anziani maschi ricchi si illudono attraverso il denaro di detenere quel potere di seduzione sul corpo femminile (giovane) che costituisce l’antico oggetto del desiderio.

Nulla di particolarmente nuovo né edificante; c’è solo da aggiungere che questo (triste) spettacolo del desiderio di godimento senza limiti è reso possibile proprio dallo sfruttamento senza limiti dei corpi al lavoro. Fatto che, mi sembra, riaffermi la validità - piuttosto che negarla – dell’osservazione secondo cui la legge del valore permea e assoggetta a sé l’intera vita umana. Si può parlare di biopolitica proprio a partire dal riconoscimento della vigenza della valorizzazione capitalistica che, a maggior ragione perché in crisi, è costretta a riprodursi accompagnando la moderna estrazione di plusvalore relativo con l’antico allungamento della giornata lavorativa sociale.

Puoi godere in modi diversi dello sfruttamento, ma in ogni caso devi estrarre pluslavoro agli operai. E’ vietato goderne in un determinato modo, ma non sfruttare il lavoro, anzi.

Radio Città Aperta - Roma

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