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(La controriforma dell'istruzione pubblica)

M come movimento ... non come mulino bianco!

(22 Gennaio 2011)

La riforma Gelmini è la forma specifica che assume il processo di snellimento e funzionalizzazione dell’intera architettura statuale imposto dai vincoli continentali europei, figli della competizione interimperialistica pluripolare.

Coperta dall’ideologia della “lotta contro la corruzione baronale”, del “codice etico” e della “trasparenza” taglia, accorpa, riduce, concentra.
L’oggettiva elefantiasi clientelare della scuola viene attaccata stabilendo tetti per rettori e facoltà, favorendo fusioni, intaccando i microsettori, riformando il sistema di reclutamento dei ricercatori, introducendo la contabilità patrimoniale uniforme.
Le sforbiciate della Gelmini incidono in termini occupazionali e di finanziamento della ricerca, scaricandosi su maestri, famiglie e studenti.

In definitiva, si tenta di riorganizzare il sistema scolastico attraverso la modifica di settori strutturali dello stesso, una diversa articolazione interna delle università e dei suoi organi di controllo, gestione, la federazione e la fusione di atenei, la restrizione dell’offerta formativa, l’ingresso delle “fondazioni” nelle amministrazioni, la riduzione della rappresentanza studentesca negli organi di gestione degli atenei.

La riforma Gelmini è la strada obbligata nel percorso di aziendalizzazione dell’istruzione, sburocratizzante e corrispondente alle odierne necessità e velocizzazioni di sistema.
Noi non abbiamo da migliorare o modificare nessuna riforma, così come non abbiamo da difendere nessuna scuola.
Prendiamo solo atto che ormai da tempo le riforme le fanno i padroni perché servono ai padroni, ed al loro sistema di cose.
Un sistema di cose da combattere, insieme alle sue riforme!

M come movimento…..
….non come mulino bianco.


Fin dallo scorso 2009, in opposizione alla riforma Gelmini, sono scese in campo le più svariate componenti sociali colpite, dai professori alle famiglie, dai ricercatori agli studenti.
Il magma della opposizione alla Gelmini - attraversato dai soliti zombies politico-sindacali alla ricerca di una qualche resurrezione elettorale - ha prodotto, attraverso la stagione dei tetti e degli scioperi della fame, un vero movimento tendenzialmente di massa: il “movimento del mulino bianco”.
Lo chiamiamo così, pur nel rispetto di tutti i suoi partecipanti, perché ci è sembrato una sorta di movimento dalle gambe troppo corte, perché frequentato da soggetti ed individualità troppo diverse tra loro, e con interessi spesso contrapposti.
E’ possibile unire la lotta contro la repressione degli studenti con la difesa corporativa di presidi e professori?
E’ possibile unire la voglia di liberazione giovanile con la scesa in campo dell’istituto famiglia in quanto tale?
E’ possibile schiacciare una lotta contro una riforma borghese nella lotta per la difesa di questa scuola, ugualmente borghese?
Ebbene, il “movimento del mulino bianco” ha preteso di farlo, esaurendosi presto come un’onda arenata sulla spiaggia.

L’avvio del 2010 ha visto il ritorno della Gelmini con la sua riforma e la rinascita di un'altra fase di movimento, che all’inizio sembrava la stanca e rituale ripetizione di altre stagioni velocemente tramontate: le solite “occupazioni” a tempo, i soliti studenti “ripetenti” ad organizzarle e smobilitarle, le solite “reti” cucciole dei soliti partiti, i soliti “collettivi” pelle e ossa, le solite sovradeterminazioni sindacali e politiche, le solite illusioni, le solite delusioni.
Poi, coi giorni che passavano, l’aria è cambiata.
Un po' l’incrocio del movimento studentesco con altre lotte e contraddizioni, un po' la novità del ritrovato protagonismo degli studenti medi scevri di testa e di mano, un po' l’assimilazione delle lezioni del passato rispetto ai becchini della politica, un po' la repressione…..hanno fatto il miracolo!
Un’iniezione di coscienza ha attraversato il movimento studentesco, radicalizzando le proprie analisi e comportamenti, nel tentativo di praticare l’unità di classe, di abbandonare le chiacchiere sull’“autoriforma”, di indicare e denunciare pubblicamente quanti gli vogliono mettere la museruola, per non farlo mordere.
Così, nel volgere di una stagione metereologica, si è passati dai tetti alle piazze, dalle “unità” con famiglie e professori all’unità con gli operai, dalle mani alzate allo scontro con gli uomini armati a difesa dello stato.
Ed anche il lessico delle parole d’ordine è cambiato, passando dalla difesa della scuola alla lotta per la vita, per il futuro, per la liberazione.
Poi e’ arrivato il 14 dicembre, con l’insorgenza di massa ed il contrasto forte con guardie e controllori esterni ed interni al movimento.
In tanti sono usciti scornati dalla giornata del 14 dicembre.
Di certo gli uomini dello stato, come i “cascatori” della contestazione concertata, come politicanti e sindacalisti messi nell’angolo.
Per questo sono arrabbiatissimi, e per questo cercano e cercheranno di tornare: per strumentalizzare, utilizzare, deviare, frenare.
In questo senso vanno i tentativi di riportare nell’alveo di una qualche contrattazione o, peggio, nella ricerca di sponde istituzionali, la determinazione alla lotta di migliaia di giovani.
Ma la realtà lavora per il movimento, e per la sua incompatibilità.
La precarietà lavorativa e sociale che aspetta le giovani generazioni dopo il limbo scolastico è la stessa che sta riproponendo la schiavitù salariata alla classe operaia.
L’insicurezza sociale figlia della planetizzazione capitalista peggiorerà, ed i margini per trovare una “sistemazione” in questa società si assottigliano ogni giorno di più.

Non resta che l’unità di classe.
Non resta che la lotta.

Combat

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