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Sgonfiate il pallone

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"Anticolonialista".

(27 Gennaio 2011)

In un testo teatrale, i crimini italiani in Etiopia.

“..Convinto della necessità di stroncare radicalmente questa mala pianta, ho ordinato che tutti i cantastorie, gli indovini e stregoni della città e dintorni fossero passati per le armi. A tutt’oggi ne sono stati rastrellati ed eliminati 70” Generale Rodolfo Graziani , Addis Abeba al Ministro delle Colonie Alessandro Lessona, Roma. Telegramma n.14440, 19 marzo 1937.

“Voi, futura generazione,

voi, futura generazione

voi, futura generazione,

lasciate che vi racconti una storia.

C’era un uccello chiamato Amore,

in Etiopia, un paese sacro,

ma quel che accadde sacro non fu.

Ciò che successe non chiedetelo a me,

non posso dirvelo, non voglio ricordarlo.

No..

Non ve lo dirò oggi,

chi ha ucciso Amore,

chi ha preparato un materasso

per il proprio letto

e un cuscino di velluto per il salotto,

usando le sue piume colorate,

chi è responsabile di tutti

questi misfatti,

non ve lo dirò oggi”

Queste parole, pronunciate da un vecchio cieco e ritenuto pazzo, rappresentano la chiusura ideale del melodramma “Sara-Klonyalist” ( Anticolonialista ) del commediografo e scrittore Menghistu Lemma, uno dei massimi intellettuali dell’Etiopia contemporanea. L’opera venne pubblicata in amarico nel 1982, mentre del 1993 è la prima traduzione in italiano e la pubblicazione nel nostro Paese, a cura del CISP ( Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli ).
La scena si apre nell’anno 1928 del calendario Giuliano adottato dai cristiani copti del Paese africano, corrispondente al 1936 del Gregoriano ed alla annessione all’Italia Fascista. Nell’abitazione dove vivono il manovale Gebreyes, il padrone di casa, e l’anziano Wuhib, intellettuale e letterato prima dell’invasione italiana, una accesa discussione tra i due minaccia l’equilibrio della difficile convivenza; mentre il primo tenta di convincere l’ospite a tornare al cantiere italiano dove entrambi lavoravano, Wuhib insiste nel rifiuto: non ne può più delle botte del sorvegliante italiano- il Signor Poggio- dei calci, dei colpi di “Calcinculo”-il manganello-, dei denti spezzati. Nella vicenda interviene il facchino Kassie’,il quale, una volta naufragati i tentativi dell’anziano lavoratore di farsi mendicante, lo spinge ad intraprendere la professione di indovino:”Ti dico che è molto semplice. Non ti serve altro che una tenda ed un uomo robusto che ti protegga”. E riesce nella sua opera di persuasione, alternando inviti al senso di responsabilità ed ai doveri verso i propri simili ( “L’uomo non vive di solo cibo, ma anche di speranza. E quando arriva la tempesta i figli di Adamo lottano per non perdere la speranza. Hanno bisogno che qualcuno dia loro speranza..” ) al miraggio di una soluzione pratica ai problemi di indigenza ( “Io sono un mercante. Non ti sto spingendo per la gloria ma per il mio profitto. E’ ovvio che non appena comincerai a praticare, farai i soldi e io so che i soldi entreranno a valanga …” ).
Inizia così uno strano sodalizio tra i tre, la cui attività ottiene un successo immediato, sotto lo sguardo vigile delle autorità fasciste di occupazione. Emerge, in tale ambito, la figura del Capitano Battioni, singolare figura di militare fascista ed intellettuale, dall’Aramico fluente-studi di anteguerra all’Università di Firenze- e dallo spiccato interesse per la ricerca storica; ama citare storici inglesi del XVIII secolo nel descrivere l’arretratezza dell’Etiopia, “Se Gibbon fosse vivo oggi, direbbe altro. Spiegherebbe come il Duce Mussolini Onnipotente vi abbia svegliato e vi abbia fatto salire i gradini che conducono alla civiltà moderna”.
Ma,ribattendo al Vecchio Cieco ed alle sue parole di denuncia del fenomeno di superstizione di massa generato dall’opera dell’indovino improvvisato ( “Comandante Battioni. Come può il governo italiano restare immobile di fronte a tutto questo ? Volete davvero farci credere di essere cristiani ?" ), lo stesso ufficiale non esita a precisare il punto di vista proprio e dell’amministrazione coloniale italiane, con parole degne di ogni potere colonialista o neo-colonialista : “ Il governo italiano rispetta i diritti di ogni cittadino. Se egli prega perché il Grande Cesare Vittorio Emanuele abbia lunga vita, se accetta e diffonde la nuova luce di Roma e prega perché il governo fascista resti per mille interi anni, se applaude nelle case del Tej quando sente intonare , se fa questo, può essere anche un mago , noi non ci opporremo”, che non ammettono repliche:

“Vuol dire che per spiegare i profondi segreti della luce di Roma ci vogliono molti maghi ? “

“Non c’è bisogno di insulti velati. Molte persone che hanno osato insultarci sono state punite. Gli abbiamo tagliato la lingua con il rasoio”.

La tranquillità relativa ed l’indiscutibile successo commerciale dell’indovino e dei suoi complici sono a tratti turbate dall’atmosfera di terrore, miseria, oppressione ed ansia soffocata di riscatto, rappresentate dalla profezia fatta circolare da elementi della Resistenza etiope, gli inafferrabili “patrioti interni”, i “briganti”, invisibili quanto onnipresenti; temuti quanto invocati. L’occupazione italiana non durerà che cinque anni, recita la Profezia mormorata ad ogni angolo di strada. L’indovino Wuhib si piegherà a sconfessarla, augurando Vita Eterna al Duce e ad “Emanuele Cesare”, e ricevendo in premio un rinnovo pluriennale ad esercitare la professione dal Capitano fascista in persona.

Tutto ciò non salverà né lui , né i suoi vicini e conoscenti dalla deportazione al momento di quello che fu , storicamente, l’evento più drammatico e l’ atto criminale più efferato di tutta la sciagurata vicenda della colonia italiana di Etiopia: l’ondata repressiva, i massacri successivi all’attentato alla vita del Generale Graziani, il 19 febbraio 1937.
Kassié, il “complice”, il “socio” di Wuhib, si rileva un militante della Resistenza in incognito, e cade sotto il fuoco dei nemici, mentre i camion italiani , abbandonano la scena con il loro carico umano.

Il Vecchio Cieco prende la parola, recitando, per la prima volta tutto intero, il proprio lamento in forma di poesia.

Voi, futura generazione…

Menghistu Lemma (1923-1988) ricevette in gioventù una educazione profondamente religiosa, impadronendosi dello spirito e della pratica dello Qené, poesia liturgica; completati gli studi presso la Haile Sellasie I Secondary School di Addis Abeba, proseguì la propria formazione culturale in Gran Bretagna , presso la London School of Economics. Collaboratore della rivista degli studenti etiopi in Inghilterra Lion Club, partecipò attivamente alla formazione politica della comunità etiope nel paese europeo. Al ritorno in Etiopia, ricoprì incarichi governativi ed accademici, soggiornò in India ed Unione Sovietica. Fermamente convinto della necessità dell’uso dell’amarico da parte degli scrittori etiopi, fu uomo dagli interessi decisamente ampi: le sue convinzioni marxiste non gli impedirono, ad esempio, di curare una pubblicazione delle interpretazioni della Bibbia nella cultura popolare, né di promuovere la riscoperta dello Ge’ez, la lingua liturgica della chiesa copta.

In “Anticolonialista” , M.L. adotta, come già osservato, la forma del Melodramma; partendo dalla propria esperienza di scrittore di teatro, quindi, l’Autore sceglie un linguaggio elaborato nella cultura occidentale sin dall’epoca Rinascimentale, con il corredo dell’adozione di idealtipi, più che indugiare su una profondità di caratterizzazione psicologica dei personaggi. Tale scelta porta l’opera ad alti livelli di lirismo, in cui si inseriscono le gemme dei riferimenti alla cultura popolare ed alla poetica tradizionale etiope, nonché la ricostruzione puntuale dei linguaggi dei colonizzati e dei colonizzatori, i silenzi e le grida degli oppressi, i proclami –vere e proprie professioni di fede imperiale e fascista- degli oppressori, fino alla tragedia finale ed alla conclusione del dramma.

Leonardo Donghi

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