">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Capitale e lavoro    (Visualizza la Mappa del sito )

Per i tre operai della Fiat

Per i tre operai della Fiat

(25 Agosto 2010) Enzo Apicella
Melfi. La Fiat licenzia tre operai, il giudice del lavoro li reintegra, la Fiat li invita a rimanere a casa!

Tutte le vignette di Enzo Apicella

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Licenziamenti politici)

Resoconto minimo di un percorso di licenziamento

(29 Gennaio 2011)

Mi chiamo Sandro Giuliani, a febbraio avrò 53 anni e fino al 20 gennaio 2011, facevo il capotreno per Trenitalia.
Il 21 ho ricevuto un provvedimento espulsivo senza preavviso dalla società senza che mi fosse stato concesso di capirne le ragioni. Non ho rubato, non ho violato leggi, regolamenti o doveri, non ho partecipato a disordini, né ho commesso alcuna delle cose citate nel contratto di lavoro per ricevere tale provvedimento.
Tutto quanto ho sempre fatto l’ho sempre messo formalmente a conoscenza dell’azienda, che non ha mai, una sola volta, ritenuto di intervenire per correggere una condotta ritenuta, in qualche modo, irrispettosa di alcuna norma.

Come capotreno, utilizzato nel trasporto regionale e metropolitano del Lazio, ho sempre seguito alla lettera le istruzioni dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria, quelle stesse che mi aveva fornito l’Impresa. In 29 anni servizio non ho mai avuto un minimo infortunio occorso ad un viaggiatore.

Dopo la partenza, al fine di garantire la sicurezza a bordo e la regolarità della circolazione, l’indicazione fornitami dalle istruzioni era quella di prendere posto al fianco del macchinista durante la marcia del treno e di frenare in caso di emergenza. Nelle soste, chiudere le porte dopo il servizio viaggiatori e ordinare la partenza del treno. Oltre che, ovviamente rispondere dalla cabina di guida alle chiamate dei viaggiatori a mezzo citofono, come disposto in modo chiaro dalle norme emanate dalla stessa Trenitalia. (Disposizioni particolari Taf, emanate il 3 novembre 2009)

A fine gennaio 2010 l’azienda mi chiedeva perché non incassavo denaro e io rispondevo, per iscritto, che per svolgere le mansioni assegnatemi dovevo restare in cabina di guida. Non ricevevo risposte dall’azienda.

Al fine di evitare di infortunarmi, tenuto conto di un depliant informativo di Trenitalia che ci segnalava come “una delle principali cause di rischio” il saliscendi dalle scalette della cabina di guida, chiedevo ai macchinisti di chiudere le porte attraverso il dispositivo lì presente. Si consideri che un servizio metropolitano ferma ogni 3-4 minuti, per cui il rischio di infortunio era davvero alto. Quando qualche macchinista manifestava preoccupazione per la paura di subire contestazioni emettevo prescrizione scritta di farlo, in modo che potessero dimostrare che il loro agire era il rispetto di un ordine di un superiore funzionale quale io ero, per garantire la mia sicurezza attraverso l’adozione di un elementare principio di precauzione.

Avevo questa facoltà e, credo, questo dovere.

La mansione del capotreno, secondo la declaratoria professionale, prevede che si possa “operare con margini di autonomia e discrezionalità nell’ambito di procedure e istruzioni ricevute anche attraverso il controllo delle attività e dei processi produttivi ed il coordinamento di personale di livello pari o inferiore” e la prescrizione di chiusura delle porte era “in coerenza col disposto dell’art.44 punto 2 CCNL ed in osservanza dell’art.51 d CCNL e dell’art.20 D.Lgs 81/2008.”. Pieno rispetto di legge e contratto.

A luglio, a seguito della dichiarazione di un macchinista che manifestava il proposito di non far partire il treno se avessi emesso tale ordine (?!?) nello svolgere il servizio con lui, inviavo all’azienda un fax in cui segnalavo tale intenzione, considerando che ciò avrebbe significato l’interruzione di un servizio pubblico, invitando espressamente la responsabile ad intervenire. La informavo anche che qualora mi fossi trovato in una situazione simile, non avrei messo a rischio la mia incolumità e avrei chiamato subito l’autorità giudiziaria.

Senza mai ricevere una sola risposta, si arrivava al 16 ottobre 2010, giorno in cui viaggiavo con il macchinista Di Clemente che mi mostrava il motivo per cui non era in grado di chiudere le porte dalla cabina: un sms del proprio tutor che, come si legge dalla relazione del macchinista stesso “ribadiva per l’ennesima volta di non chiudere le porte dalla cabina di guida” – concludendo con la parola “avvisati!”. Gli dicevo allora che non doveva preoccuparsi perché, in qualità di superiore funzionale gli avrei prescritto di farlo ed emettevo il solito M40. Lui telefonava al proprio tutor leggendogli il contenuto della prescrizione e ricevendo, restando assai sorpreso, l’istruzione di eseguire quanto gli avevo comandato. Il servizio si svolgeva in maniera regolare ed il macchinista faceva una relazione dell’accaduto che consegnava al suo capo impianto e di cui mi dava copia.

Il 2 novembre successivo, viaggiavamo di nuovo insieme. Rifacevo la solita prescrizione a suo beneficio ed il servizio si svolgeva ancora in modo regolare. Nulla da eccepire da parte sua nei miei confronti.

Si arrivava così al 9 dicembre, in cui viaggiavamo ancora insieme. Stavolta rifiutava, incomprensibilmente, di chiudere le porte e di accettare la solita mia prescrizione, giustificandosi dicendo di aver ricevuto ordine di non prenderla. A nulla serviva che gli dicessi che, a norma di contratto, non poteva rifiutarla.

Chiudevo io le porte dal banco di guida, azionando il dispositivo, tenuto conto che l’art.91 ter della P.G.O.S. che regola la procedura, indica che il capotreno chiude, attraverso uno dei dispositivi, tutte le porte tranne quella da lui presenziata. Io presenziavo, senza correre rischi di caduta, quella del locomotore.

Che tale prassi non fosse violativa di sicurezza lo conferma anche il fatto che lo stesso macchinista partiva da Roma Tiburtina e da Roma Tuscolana e solo giunto alla terza stazione, Ostiense, decideva di non partire più. Da Tuscolana, essendo io stato avvisato dal macchinista di tale sua intenzione, chiamavo la Polfer al fine di scongiurare il rischio di interrompere il servizio e l’azienda, inspiegabilmente, sopprimeva il treno che tuttavia ripartiva, poco dopo, con un altro numero e con lo stesso macchinista ma non con me.
Strano modo di agire. Il macchinista non intende partire e ad essere sostituito è il capotreno!

A seguito di tale avvenimento, “subivo”, senza una spiegazione, due giorni di scuola professionale come unico partecipante. Eseguivo due test che confermavano la mia buona preparazione. Poi, il 15 dicembre venivo comandato nuovamente in servizio e mi comportavo ancora secondo normativa. Anche questa volta il macchinista, riferendo di avere avuto ordini superiori telefonici, rifiutava il mio ordine di chiudere le porte anche in forma scritta.

Il 3 gennaio ricevevo una pesantissima contestazione da parte dell’azienda in cui si citava quanto accaduto in tre giorni diversi! Mi si accusava di tutto, come addirittura di essermi trattenuto spontaneamente presso l’ufficio della Polfer di Roma Ostiense chiedendo il permesso di leggere il giornale!

Il 7 gennaio replicavo alla contestazione inviando 15 pagine di giustificazioni più 44 pagine di allegati, in cui davo una risposta che, negando ogni addebito, spiegava quanto accaduto non solo nelle tre circostanze contestate bensì anche nei mesi precedenti, quando pur fornendo all’azienda comunicazioni ufficiali in cui descrivevo l’identico comportamento oggetto di contestazione, non avevo mai ricevuto, da parte societaria, alcuna obiezione o risposta.

Il 13 gennaio 2011 ricevevo la notifica del verbale di elezione di domicilio da parte della Polfer di Roma Ostiense, che mi informava che nei miei confronti sarebbe stata trasmessa informativa di reato.

Il 21 l’azienda decideva di licenziarmi essendo, a suo dire, definitivamente compromesso il rapporto fiduciario.


Adesso aspetto, con fiducia, il corso della giustizia che non è mai breve né semplice, dolorosamente conscio che solo questa potrà essere la via per il mio reintegro, essendo da tempo smarrita quella dell’orgoglio sindacale e mi domando se tutto ciò che mi è capitato non possa almeno servire, per una volta, a stimolare fra tutti una riflessione utile e a riaccendere qualche coscienza, visto l’allarme che dovrebbe generare un’evidente e persistente perdita di diritti.

Un caro arrivederci.

Sandro Giuliani

8436