">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Capitale e lavoro    (Visualizza la Mappa del sito )

PRIMA PAGINA

  • Domenica 21 aprile festa di Primavera a Mola
    Nel pomeriggio Assemblea di Legambiente Arcipelago Toscano
    (18 Aprile 2024)
  • costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

    SITI WEB
    (Lotte operaie nella crisi)

    Torino. Il giorno dei metalmeccanici

    Cronaca del corteo del 28 gennaio, in occasione dello sciopero generale.

    (1 Febbraio 2011)

    Alcune foto dello spezzone dell’anarchismo sociale a quest’indirizzo: http://www.flickr.com/photos/58952321@N07/sets/72157625815862963/show/

    La piazza sindacale

    Torino 28 gennaio. Alle 8 del mattino è già tanta la gente che riempie la piazza. Il corteo, che si dividerà lungo il percorso in tre diversi tronconi, è imponente. La questura dice quindicimila, gli organizzatori dicono trentamila. Lo spezzone maggioritario è quello Fiom, ma del tutto significative sono le presenze della Cgil. Oltre ai metalmeccanici, oltre ai funzionari in permesso sindacale, ci sono tanti lavoratori che, approfittando della copertura del sindacalismo di base (Cub e Cobas), hanno scelto di scioperare. L’esigenza di uno sciopero che andasse oltre la vertenza dei metalmeccanici Fiat è stata ampiamente condivisa. Il sindacalismo di base, che in questa fase avrebbe potuto giocare un ruolo forte, avendo indetto lo sciopero per tutte le categorie, non è riuscito tuttavia a raccogliere i frutti di una scelta, che pure rispondeva ad una richiesta diffusa. Come già in passato, ma questa volta in modo più netto, il sindacalismo alternativo pare relegato al ruolo di “pungolo” della CGIL. Un ruolo certo non scelto ma dal quale negli ultimi anni non è – almeno a Torino – riuscito a smarcarsi.

    Le divisioni tra i tre maggiori sindacati di base del Piemonte, Cobas, Cub e Usb, hanno contribuito a diminuirne la forza e la visibilità di piazza.

    Sebbene le tre organizzazioni abbiano finito con lo sfilare in coda una dietro l’altra – l’ordine di precedenza è stato discusso per oltre un’ora e mezza – lo spezzone di base ha raccolto intorno alle proprie bandiere tra le quattro e le cinquecento persone. I Cobas, che il 24 gennaio, in occasione dell’assemblea organizzata all’università da studenti autonomi e di area Sel in sostegno alla Fiom, avevano provato a chiedere a Landini un intervento dal palco, si erano visti chiudere la porte in faccia. La Fiom, sebbene incassi volentieri il sostegno di autonomi e vendoliani, non è interessata ad aprire interlocuzioni di carattere movimentista. D’altra parte per la Fiom la partita è all’interno della Cgil, non fuori. La scelta della Confederazione di scendere in piazza a fianco dei propri metalmeccanici non era affatto scontata ed è stato in queste settimane l’obiettivo forte della Fiom. Non dimentichiamo che ancor prima della sconfitta di misura al referendum, la segretaria generale Camusso, aveva invitato Landini e i suoi a porre una firma tecnica all’accordo, per mantenere i diritti di rappresentanza. Della serie: la partita è persa, non rompete i coglioni che l’organizzazione costa e non possiamo mica metterci a raccattare i soldi delle tessere ai cancelli.

    Il vincitore della giornata è stato Giorgio Airaudo, accolto da una vera ovazione da una piazza che invece non è stata tenera con gli esponenti CGIL che temporeggiano sull’indizione di sciopero generale, proposta da Airaudo e sostenuta a gran voce dalla piazza. Il popolo della sinistra, un’etichetta sempre più logora e senza prospettive, è da sempre a caccia di eroi. Nello specifico auspicava che Airaudo accettasse di partecipare alle primarie del centro sinistra, che tra un mese decideranno chi correrà per la poltrona di sindaco. Il rifiuto di Airaudo, già nell’aria il 28, è stato ufficializzato il 29. Una candidatura forte a sinistra avrebbe rischiato di riproporre sul piano politico le contrapposizioni sin troppo evidenti su quello sindacale. I partitini della dispora post comunista dovranno cercarsi un altro cavallo. Il 28, relegati in coda al corteo, un pugno di militanti stretti intorno ai diversi striscioni, erano il segno di un’esperienza ormai residuale.

    Le altre piazze

    Gli studenti, protagonisti delle piazze torinesi tra ottobre e dicembre, sono presenti in vari spezzoni (post autonomo, filo Sel, post disobbediente, anarchico) ma non hanno certo i numeri dell’autunno. Il movimento antigelmini pare – il condizionale è d’obbligo – aver intrapreso una parabola discendente. Gli autonomi, in coda prima dello spezzone del sindacalismo di base, raccoglievano, oltre alla propria area studentesca, una parte dei No Tav. L’Assemblea lavoratori studenti del Politecnico dava vita ad uno spezzone di circa 300 persone che sfilava subito dopo la Cgil.

    Lo spezzone dell’anarchismo sociale, promosso dalla FAI torinese e dagli studenti del Cast, oltre cento i partecipanti, si univa allo spezzone dell’assemblea lavoratori studenti che, invece di seguire la Cgil, in via Maria Vittoria proseguiva per via Pietro Micca, smarcandosi – politicamente e fisicamente - dal percorso della Cgil.

    Lo spezzone rosso e nero, aperto dallo striscione “occupiamo le fabbriche, licenziamo padroni e burocrati”, ha attacchinato manifesti su cui campeggiava l’immagine della Fiat occupata dagli operai in armi nel 1920, fermandosi più volte per interventi e comizi volanti.

    Dopo via Micca il corteo si è ulteriormente diviso in due: mentre antagonisti e sindacati di base proseguivano per piazza Castello, lo spezzone dell’assemblea lavoratori studenti, quello rosso e nero, quello di Resistenza Viola e i No Tav di “Torino e cintura sarà dura” hanno girato in via Bertola, dove per qualche minuto è stata occupata l’agenzia interinale “Umana”. Il corteo si è poi diretto verso il municipio, dove è partita una vivace contestazione all’indirizzo del sindaco Chiamparino, che si è nettamente schierato a favore dell’accordo Fiat. Slogan, comizi volanti e i tamburi della Samba Band, che si è guadagnata la prima pagina di “Cronacaqui” e l’accusa di brigatismo per aver ritmato “rapimenti di dirigenti!”. Quando i manifestanti si sono allontanati dalla piazza sui muri del municipio campeggiava la scritta “Servi della Fiat”.

    All’arrivo in piazza Castello lo spezzone rosso e nero si è tenuto lontano dal palco della Cgil ed ha chiuso la giornata con alcuni veloci interventi.

    La città, la Fiat, il futuro che non c’è

    Questa cronaca, necessariamente scarna e probabilmente parziale della lunga giornata dei metalmeccanici, segna l’epilogo di una lunga vicenda, probabilmente iniziata nel lontano settembre del 1980 davanti ai cancelli di quella che, allora, era ancora La Fabbrica. Oggi di quella fabbrica – e della sua storia di lotta e resistenza operaia - resta ben poco. Chi non è di Torino prenda in mano una mappa della città e cerchi Mirafiori. Di solito la rappresentano in verde, anche se di verde ha ben poco: è così grande che a momenti non ci credi. È grande come una piccola città. È essa stessa la città. Oggi tanta parte di quella città è vuota o è stata riempita da altri: aziende di servizi, logistica, informatica. Delle decine di migliaia di operai che vi lavoravano un tempo non sono rimasti che in cinquemila. Di questi cinquemila solo pochi hanno visto la Fabbrica prima dell’80; per gli altri, i più, la vita è stata tutta dentro la fabbrica normalizzata, ridisciplinata, smontata pezzo dopo pezzo con meticolosità da un’azienda sopravvissuta drenando denaro pubblico per i propri privatissimi interessi.

    L’accordo firmato alla vigilia di Natale è solo l’epilogo scontato di una lunga agonia. D’altro canto, sebbene, sin dall’estate, fossero ben chiari i propositi della dirigenza Fiat non vi è stata risposta: niente scioperi, niente blocchi, niente lotta. Il quasi no al referendum del 14 gennaio è stato un sussulto di orgoglio, un guizzo di dignità e nulla più.

    La città è schiacciata. Schiacciata dalla crisi, dal mutuo da pagare, dalle bollette che scadono e restano lì, dalla paura di un domani che è già oggi. Le infinite italianissime risorse del welfare familistico si stanno esaurendo. Chi oggi va in pensione – e ci va sempre più tardi – finisce con il cercarsi un altro lavoro, perché altrimenti non arriva alla fine del mese e certo non ha soldi per mantenere il figlio studente, precario, disoccupato.

    L’orizzonte di un mondo altro, senza sfruttamento né oppressione, pare tramontato, dimenticato inattingibile. La sinistra che governa la città da venticinque anni senza mai dispiacere ai signori della Fiat, proverà a succedere a se stessa alle prossime elezioni, giocando sull’ennesima vetrina, sullo show patriottardo dei 150 anni.

    Ma. Fuori dal gioco delle poltrone c’è un’altra Torino: è la Torino che sostiene le lotte degli immigrati, dei senza potere, dei lavoratori, è la Torino di chi non ci sta a scegliere tra la schiavitù e la disoccupazione.

    Questa Torino si è presa il suo piccolo scampolo di piazza il 28 gennaio.

    Si tratta di lavorare, giorno dopo giorno, perché la rassegnazione ceda il passo alla lotta, perché infine la paura cambi di campo. È vero oggi come trent’anni fa: i lavoratori, uniti, possono fare male ai padroni. Molto male.

    Federazione Anarchica Torinese – FAI

    Fonte

    Condividi questo articolo su Facebook

    Condividi

     

    Ultime notizie del dossier «Lotte operaie nella crisi»

    Ultime notizie dell'autore «FAI - Federazione Anarchica Italiana»

    3840