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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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ADESSO BASTA! Contro il sessismo fuori e dentro il movimento

(6 Febbraio 2011)

Al disgusto e allo sdegno che dobbiamo provare non c’è mai fine. Le donne oggi più che mai vengono umiliate e attaccate, umiliate da chi crede che il corpo femminile esista solo per il piacere maschile, nato per questo e per nulla più che questo, attaccate da chi è convinto di poter decidere del nostro corpo, delle nostre scelte di vita, dall’aborto al concepimento, dalla contraccezione all’ru486 (pillola abortiva). Le donne non possono scegliere: se una donna rimasta incinta non vuole un figlio non può abortire senza “la punizione” di un intervento invasivo, mentre spesso chi vorrebbe averne uno non ne ha la possibilità perché vive di contratti precari senza futuro. Il corpo delle donne viene ogni giorno spogliato, spiato, desiderato e venduto, nei programmi televisivi d’entertainment come nei discorsi del premier, apice dell’assenza di vergogna che regna incontrastata in questo paese in cui il più ignorante si gloria di esserlo, felice di aver raggiunto quello per cui lavora dagli anni ’80 sia in televisione che fuori, l’incontrastata violenza dell’uomo sulle donne, la totale riduzione di quest’ultima ad un ammasso di tette, culi e cosce, al massimo inframmezzati da occhiatine e sorrisi ammiccanti. Ma non vogliamo qui ripresentare l’ennesimo discorso incentrato sullo sdegno che proviamo per il comportamento di Silvio Berlusconi e per il suo modo di fare spettacolo che ha aperto le porte all’odierna tv spazzatura, vogliamo anzi soffermarci sul lato opposto, se così si può dire, della barricata. I discorsi del premier non sono solo stati ripresi com’è ovvio da giornali e telegiornali, ma sono stati anzi interiorizzati e fatti propri persino da coloro che avremmo voluto considerare almeno “di sinistra”, dalla stampa ai cosiddetti “movimenti”, dall’articolo in prima pagina del quotidiano Liberazione intitolato “…e l’Italia va a puttane...”, addirittura ripreso poco tempo fa da una realtà studentesca milanese per un manifesto, alle parole dette all'interno dei cortei con e senza microfono. Ci rendiamo conto dei limiti della fase in cui ci troviamo, ma questo non giustifica nulla, anzi rende ancor più grave la colpa di chi dovrebbe nettamente rifiutare i discorsi e i contenuti della destra radicale al governo e al contrario utilizza gli stessi schemi, ed anche le stesse parole, spianando la strada al maschilismo e confermando la subordinazione delle donne agli uomini in questa società. La questione della condizione delle donne nella società capitalista è un tema che all’interno di quello che una volta veniva chiamato Movimento Antagonista dovrebbe invece essere considerato al centro dell’agire politico e personale di tutti. All’interno di molti collettivi e realtà politiche questa contraddizione non viene spesso affrontata. La sensazione, spesso appurata da fatti, è che il problema dell’oppressione dell’uomo sulla donna venga considerata da molti come un problema di serie B, come una paranoica e bacchettona questione morale e di genere che poco ha a che fare con temi più importanti come il conflitto Capitale/Lavoro. Spesso molti compagni dimenticano, o trovano più semplice non voler ricordare che in questa società esiste non solo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma anche quello dell’uomo sulla donna. Spesso si ricalcano meccanismi e strategie proprie di ciò che combattiamo. Nel vivere quotidiano all’interno delle nostre realtà dovremmo cercare di pretendere che si individuino, riconoscano, e bandiscano atteggiamenti, e perché no anche linguaggi che non fanno altro che ricalcare logiche incentrate sulla prevaricazione e sul sessismo, sulla visione delle donne come oggetto sessuale, sempre pronte ad assecondare voglie, desideri e passioni del maschio di turno.
Perché ad un compagno, o sincero democratico, non verrebbe mai in mente di apostrofare un suo amico di origini africane come “negro” e invece non si fa nessun problema se si tratta di offendere una donna con epiteti riguardanti il suo sesso? Perché all’interno di un corteo sindacale di movimento si sentono interventi politici sessisti e nessuno dice niente? E poi perché le compagne dovrebbero armarsi di santa pazienza e andare a spiegare al compagno in questione che la prostituzione non è una libera scelta? Nessuno mai entra nel merito dello stupro legalizzato che è la prostituzione. Queste donne vengono sfruttate sia sessualmente che economicamente, vengono mantenute in schiavitù con la forza e sono molto spesso vittime di innumerevoli violenze sia da parte dei cosiddetti “clienti” che dei loro “protettori”. Sappiamo che la condizione delle donne costrette a vendersi in strada è ben differente da quella delle donne che vediamo citate in questi mesi dai mass media, ma ci teniamo a precisare che la situazione di subalternità in cui una donna viene tenuta fin dalla nascita a volte rende, purtroppo, molto difficile mettere in discussione il ruolo imposto da una società economicamente, socialmente e culturalmente patriarcale, senza con questo voler minimamente giustificare il loro ruolo corrotto e corruttore di arrampicatrici sociali. Ma domandiamoci ancora perché in questa società le ragazze si convincono fin dall’adolescenza che l’unico strumento di “falsa emancipazione” debba essere per forza il loro corpo, arrivando persino a vendersi a dei coetanei per una ricarica del cellulare. Queste ragazze e queste donne hanno perfettamente introiettato il modello che gli viene imposto adeguandosi al loro ruolo di bambole di plastica atte unicamente a soddisfare desideri maschili, e non fanno altro che convincersi di ciò che gli viene suggerito dall’esterno, cioè che l’unico mezzo che hanno per aspirare al denaro o ad una fetta del potere sia usare il loro sesso. Hanno ormai interiorizzato l’assunto per cui una donna non può avere altre potenzialità a prescindere dal suo corpo, e per questo si convincono che l’unica via per perfezionare sé stesse debba essere modificare l’aspetto fisico allineandolo al modello dominante con interventi di chirurgia plastica, ormai pratica diffusa anche tra le adolescenti. E’ veramente il caso di dire che per queste ragazze una donna ha solo il suo corpo, e deve sfruttarlo e auto-sfruttarsi, per “fare strada”, e che anzi una donna non è altro che il suo corpo, non è altro che l’oggetto da utilizzare ad uso e consumo dell’uomo, oggetto agli occhi dell’uomo ma ormai anche agli occhi delle donne stesse, che aderiscono alla visione maschilista e la perpetuano, felici quasi di poter essere sempre più donne-oggetto rispetto alle altre, perché così facendo, grazie a cene e favori sessuali, salgono i gradini del “successo” politico o televisivo.
Ma la questione che qui vogliamo affrontare è come si pone la cosiddetta “sinistra” di fronte a tutto questo. Noi abbiamo deciso di non voler stare zitte e zitti, abbiamo deciso che la questione delle donne appartiene a tutte/i noi, che non solo deve essere pratica politica ma che dovrebbe essere anche una discriminante nell’agire politico di un movimento che intende essere portatore di un cambiamento rivoluzionario. Perché non cercare di scardinare alla base quel meccanismo di ruoli in cui segregare le proprie madri, sorelle, mogli, compagne e amiche? Perché non cercare di rompere quell’immaginario collettivo che vede le donne subalterne sul posto di lavoro e in famiglia? Perché dobbiamo continuare a far finta di non sentire o di non leggere, spesso su siti di movimento, frasi che ricalcano un sistema ideologico patriarcale? E perché nel momento in cui si denuncia questo si passa per moralisti? Fondare il proprio agire politico su discriminanti antisessiste, antiomofobe e antirazziste deve essere, nella pratica politica, la premessa affinché si possano creare le basi di uno stravolgimento reale della società. Sinceramente siamo stanche e stanchi di dover in qualche modo spiegare perché non si dovrebbero gridare in un corteo frasi sessiste. Allora forse dovremmo ammettere che in qualche caso siamo stati collettivamente tutte e tutti noi incapaci di tracciare una linea netta di delimitazione tra cosa siamo noi rispetto a quelli contro cui combattiamo nelle nostre lotte. Sarebbe bello poter non solo ripensare all’aggregazione politica su altre tematiche e questioni ma agire anche sul nostro quotidiano individuale e collettivo cercando, nella sperimentazione politica, spazi di confronto e di azione che considerino centrali le questioni di genere.
Ci teniamo a precisare che non ci interessano le trite e ritrite scuse “d'ufficio”, questa non intende essere una lettera aperta ai compagni e non del movimento o agli uomini e donne di sinistra per chiedere di “stare più attenti”, o per sentirsi rispondere per l’ennesima volta “scusate, non ci eravamo resi conto, non ce ne eravamo accorti, non ci avevamo pensato”. Sottolineiamo inoltre ancora una volta che questa non vuole neanche essere una spiegazione o una lezione, perché chiunque si consideri un compagno dovrebbe sapere bene che utilizzare termini dispregiativi per indicare le prostitute, come se avessero colpa e fossero responsabili, come se non fossero costrette da necessità, significa avvallare il discorso sessista e maschilista che vi sta dietro. Abbiamo deciso di scrivere questa lettera aperta solo per dire una cosa semplicissima, ma che va detta nel modo più duro e schietto possibile, senza sorrisi né scuse. Ma non vi vergognate?? Ma non vi vergognate di uscire con titoli del genere in prima pagina?? Ma non vi vergognate di intervenire davanti ad un corteo di lavoratori e lavoratrici dicendo che un uomo a 70 anni “è normale che vada a mignotte”, anzi “deve” farlo, ma l’importante è che non sfrutti i lavoratori”?? Ma come si può anche solo pensare una frase del genere, e come si può dirla apertamente con un microfono in mano alla fine di un corteo?? E come si può, lavoratori/ici ma anche compagni/e, sentendo un intervento simile detto da un palco, applaudire e festeggiare chi lo ha pronunciato?? Come possiamo pensare che siano slegate le rivendicazioni di libertà e di diritti le une dalle altre, come possiamo credere che la libertà delle donne e i diritti delle donne di decidere del proprio corpo e della propria vita vada messa in secondo piano di fronte alla crisi economica come se fossero questioni separate tra loro?? Questa domanda è diretta a noi, un “noi” allargato a tutta la cosiddetta sinistra, non alla destra: ma la risposta c'è ed è una sola: vergognatevi ! Adesso basta !

Le compagne e i compagni del Centro Sociale Vittoria

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