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Sui fatti di Bologna: e sulla campagna mediatica e repressiva contro il movimento anarchico

Comunicato stampa del Circolo anarchico “Camillo Berneri”

(30 Dicembre 2003)

In risposta alla campagna mediatica e repressiva intentata contro il movimento anarchico.

È una costante della storia d’Italia e del mondo che, ogni qual volta si sono accentuate le lotte sociali e le crisi ricorrenti di un sistema economico ingiusto e oppressivo, siano apparsi a riportare coercitivamente l’ordine i cannoni e le bombe, da Bava Beccaris a Piazza Fontana.

Oggi, a contenere l’estendersi di lotte di massa e a sviare l’attenzione dal degrado inarrestabile del liberismo economico di cui il caso Parmalat non è che l’esempio più vicino e lampante, sembrerebbe prendere avvio una nuova e torbida strategia della tensione, da sempre strumento di un rinnovato autoritarismo statale di fronte alle crisi di rappresentatività politica.

È cosa nota: gli anarchici sono contro il potere in qualsiasi forma si presenti e si rappresenti.

Le forme del potere, quindi, attaccano il movimento anarchico per impedire la sua azione rivoluzionaria tesa a demistificare le logiche e le politiche che il potere esercita per perpetuare i privilegi e la dominazione che sono le cause dello sfruttamento e dell’oppressione. Le istituzioni principali del potere sono, nell’era contemporanea, lo stato e l’organizzazione capitalistica del lavoro. Accanto a queste, come articolazioni della necessità di controllo sociale, si danno innumerevoli forme di organizzazione gerarchica dell’azione di dominazione: le chiese (insieme delle organizzazioni religiose); i partiti (tutte le forme associative che vogliono concorrere al governo dello stato); le associazioni padronali; forme di sindacato del tutto asservite alle compatibilità capitalistiche e alle logiche politiche dei partiti statalisti. Accanto a queste, che qualcuno osa chiamare società, si danno le articolazioni proprie dello stato: l’esercito, le polizie, le carceri, la burocrazia. Il compito specifico che assumono queste articolazioni dello stato è quello della repressione delle insorgenze sociali. Dall’attacco ai picchetti e agli scioperi operai ai rastrellamenti nei confronti dei migranti e di ogni “disadattato” sociale, dalle cariche contro i cortei di protesta alle infiltrazioni nei gruppi sociali sovversivi, l’opera repressiva dello stato si esercita sul “fronte interno” con metodi, pratiche, obiettivi del tutto speculari al “fronte esterno” che vede impiegati oltre 10 mila soldati nelle guerre del terzo millennio.

Di fronte all’insorgenza sociale manifestatasi via via con maggiore consistenza negli ultimi anni, lo stato ha risposto con la repressione di piazza (Napoli, Genova, Milano, Roma e tanti altri episodi), con la promulgazione di ulteriori leggi “d’emergenza” (tutte segnate dalla logica di ridurre ogni problema sociale a questione di ordine pubblico) e con campagne politico-ideologiche-poliziesche atte a porre sulla difensiva i partigiani della libertà e della giustizia sociale: coloro che lottano per il salario e le libertà collettive, per una convivenza civile più libera, più equa e più solidale a partire dall’autorganizzazione che nasce dalle lotte immediate come capacità di autogestione e di autonomia dei lavoratori.

Da mesi infatti non passa giorno che un governo erede della P2 non caldeggi per bocca del ministro Pisanu il pericolo anarchico additando una presunta “area anarcoinsurrezionalista” che nascerebbe “dalla radicalizzazione di una parte del movimento anarchico, caratterizzatosi per l’abbandono del vecchio modello organizzativo di tipo verticistico e la costituzione, invece, di unità autonome di base, autogestite, definite anche gruppi di affinità che nascono in relazione a precipue situazioni e si mobilitano per la conflittualità permanente, l’autogestione e l’attacco” (“Il Resto del Carlino”, 28 dicembre 2003, p. 5, da un documento dell’11 novembre).

Ma dal momento che il movimento anarchico fin dalle sue origini ha sempre rifiutato il “modello organizzativo di tipo verticistico” e ha teorizzato l’autogestione sociale come pratica libertaria e orizzontale, ciò che si cerca di criminalizzare è l’intera esperienza sociale e rivoluzionaria degli anarchici, con una strumentalizzazione parallela e concorde all’uso di una sigla affine a quella storica della F.A.I. (Federazione Anarchica Italiana) nel testo che rivendica i recenti episodi “bombaroli” a Bologna.

Abbiamo letto all’indirizzo http://italy.indymedia.org/news/2003/12/452983.php uno scritto di una sedicente federazione anarchica informale che gli organi di stampa, riportando indicazioni poliziesche, collegano con l’incendio di alcuni cassonetti dell’immondizia nei pressi della casa di Romano Prodi e, da pochi giorni, con il pacco bomba che lo stesso Prodi si è trovato tra le mani il 27 dicembre 2003.

Se non fosse per il fatto che gli autori di questo scritto alludono specificatamente alla Federazione Anarchica di cui alcuni di noi fanno parte, avremmo evitato, come in altre numerose occasioni, di entrare nel merito.

La nostra posizione nei confronti di ogni ipotesi di lotta “armata” (anche se di bassa intensità) è nota. Non abbiamo bisogno di ribadirla: la storia ci ha insegnato come il delirio rivoluzionario partorisca i tiranni e i gulag; la nostra critica alle derive autoritarie prodottesi nella repressione centralistica delle rivoluzioni data dal 1920 e ci ha visto fieri avversari dei regimi russi, cinesi, cubani e di ogni regime che voglia imporre il proprio dominio in nome del popolo, come avviene in tutti gli stati e in tutti i regimi siano essi fascisti, democratici o comunisti. Lo scritto che abbiamo letto ripropone quelle stesse logiche che abbiamo più volte rifiutato e combattuto.

Questo non significa, per noi, individuare negli autori dello scritto dei “compagni che sbagliano”. Non abbiamo sufficienti elementi per riconoscere con chiarezza questi soggetti. Ci rimane il dubbio che dietro questa operazione vi possa essere tanto la mano dell’ipersoggetivista come quella di zelanti funzionari statali. Anche perché alla nostra analisi non sfugge l’analogia, anzi l’oggettiva complicità tra simili testi e le più ignobili veline della questura.

L’anarchismo trae forza invece dai movimenti sociali di massa. L’attacco rivoluzionario ai privilegi e allo sfruttamento si realizza nelle lotte quotidiane contro le ingiustizie sociali, contro le leggi tutte liberticide, mettendo a nudo le complicità che sostengono il sistema del potere e dell’oppressione.

È noto come il ministero degli interni abbia a disposizione oltre 100 mila collaboratori dediti al così detto servizio di “intelligence”. Lo scopo di questa forza di interdizione è quello di tenere informato l’apparato su ciò che si muove nella società affinché il governo possa adottare le misure necessarie a garantire la continuità del sistema. Fra le misure adottate dal governo vi sono anche delle operazioni “coperte” indirizzate a screditare le forze di opposizione e a creare scompiglio nei movimenti di contestazione. Le recenti azioni e, soprattutto, la logica rivendicazionista che abbiamo letto si innestano con coerenza esemplare sulla propaganda ideologica e sugli indirizzi repressivi del ministro degli interni Pisanu. Ma l’operazione questa volta è andata oltre: si è voluto colpire direttamente la Federazione Anarchica dando il destro alla polizia per reprimere le attività della Federazione e del movimento anarchico e ai mass-media per infangare la sigla FAI. Già in questi giorni sono ricorrenti i titoli e gli occhielli che richiamano la sigla FAI a copertura di passati atti di lottarmatismo.

Al ministero degli interni non chiediamo nulla. Siamo consapevoli che continuerà a svolgere il suo sporco lavoro.

Al sistema dei mass-media intimiamo di non usare la sigla FAI con maliziosa provocazione. A viso aperto, di giorno, come siamo abituati a muoverci, chiederemo conto della loro subalternità in questa provocazione.

Al movimento anarchico, al movimento dei lavoratori con cui lottiamo ogni giorno chiediamo di continuare, vigili e determinati, l’instancabile lotta per la libertà e la giustizia sociale.

29 dicembre 2003

Circolo anarchico “Camillo Berneri”

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