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(4 Febbraio 2011) Enzo Apicella
La rivolta in Egitto infiamma il mondo arabo

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La lotta dei popoli arabi è anche la nostra

dalla Francia

(12 Febbraio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Dopo la Tunisia, la rivoluzione araba ha raggiunto l’Egitto e minaccia seriamente Mubarak. Al potere da trent’anni, regnando col terrore di uno stato d’assedio permanente, sembrava altrettanto inamovibile quanto il suo gemello tunisino. Ma la determinazione delle classi popolari e dei giovani ha radicalmente cambiato le carte in tavola in pochi giorni.

Certo, il dittatore si aggrappa ancora al potere, alternando carota e bastone. Nomina di un nuovo governo e promessa di lasciare la presidenza il prossimo settembre da un lato, taglio di internet e dei cellulari dall’altro. Fatica sprecata, martedì scorso, c’erano più di due milioni nelle vie di tutte le grandi città del paese. Anche il suo tentativo di mandare vere e proprie milizie di gendarmi in borghese e di canaglie pagate in piazza Tahrir ha fatto cilecca. Quelli che certi media hanno compiacentemente chiamato i « pro - Mubarak », e che l’esercito aveva lasciato passare con cavalli e cammelli, hanno dovuto battere in ritirata. Da allora la mobilitazione continua.

Fraternizzazione con i soldati, diffidenza verso i generali

Di fronte alla profondità e alla durata, lo stato maggiore dell’esercito ha fatto la scelta di non opporsi frontalmente alla sollevazione. Un modo di conservare fiducia agli occhi della popolazione, di preservare una posizione di arbitro, che il potere utilizzerà domani contro la rivoluzione. Ma gli insorti ne hanno approfittato per fraternizzare con i militari nei ranghi: i carri armati di piazza Tahrir sono stati presto ricoperti di graffiti, utilizzati come tribune o piste da ballo. Non è affatto sicuro che i soldati, che provengono dal popolo, siano disposti a sparare sui loro fratelli, se i generali dessero l’ordine!

In alto i calcoli dei potenti, in basso quelli che fanno la storia a ritmo accelerato

Di fronte a questa tenacia, la paura prende i potenti del mondo, e non solo i dittatori arabi sul banco degli imputati, e a ragione. L’Egitto, con i suoi 80 milioni di abitanti, tra i quali una schiacciante maggioranza di poveri e una classe operaia che ha saputo condurre grandi scioperi malgrado la dittatura, rappresenta un enorme potenziale esplosivo. Gli stessi dirigenti dell’imperialismo americano hanno abbandonato il dittatore egiziano, loro alleato nella regione per trent’anni. Se così all’improvviso hanno fretta di far saltare il fusibile Mubarak, è perché temono che la rivoluzione iniziata si approfondisca come in Tunisia: che le masse povere e con esse la classe operaia non si accontentino di un semplice cambiamento di facciata del regime e comincino a battersi per le loro rivendicazioni.

Ma tutti i calcoli di quelli che dirigono il mondo possono essere spazzati via dall’ostinazione della piazza.

Da due mesi a questa parte nella regione sono i lavoratori e i poveri mobilitati a fare la storia, a velocità accelerata, e non le manovre diplomatiche al vertice.

Il vento rivoluzionario, oltre le frontiere

Che Mubarak rimanga attaccato al potere o che se ne vada (tanto meglio se lo farà presto!), le masse egiziane hanno interesse ad approfittare della libertà che hanno fin da ora conquistato per organizzarsi ad ogni livello. Per approvvigionare i quartieri poveri, per proteggere i cortei e difendersi contro le milizie, la polizia, e, forse un giorno non troppo lontano, contro l’esercito. Ma anche nelle fabbriche, per formulare e imporre le rivendicazioni della classe operaia del paese, numerosa e combattiva. Per salvare la libertà di parola acquisita e conquistare tutte le altre. Per forgiarsi gli strumenti per prendere le redini della società.

Allora questa rivoluzione, che se ne infischia delle frontiere, avrà la forza di vincere tutti gli ostacoli sul suo cammino, dalla repressione più brutale alle trappole della falsa « transizione democratica» o dei pretesi « governi di unità nazionale ». Si estenderà ancora e metterà nella condizione di non nuocere non solo i dittatori del mondo arabo e i dirigenti dell’imperialismo, ma anche tutti i capitalisti che li sostengono, gli stessi che ci sfruttano qui. La lotta dei popoli arabi è anche la nostra!

Editoriale del bollettino di fabbrica "l’Etincelle" pubblicato dalla frazione di minoranza di Lutte Ouvrière - 7 febbraio 2011
http://www.convergencesrevolutionnaires.org

traduzione di Michele Basso

Convergences Révolutionnaires

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