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Per berlusconi guantanamo non viola la privacy

(17 Febbraio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comidad.org

La manifestazione del 13 febbraio per rivendicare la dignità delle donne è stata fatta oggetto non solo delle condanne scontate da parte dell'opinionismo filo-governativo, ma anche di molte critiche provenienti da aree di opposizione. Questo secondo tipo di obiezioni si è orientato nel senso del cosiddetto "benaltrismo", chiedendo come mai non si sia reagito prima a tutte le violazioni di diritti fondamentali avvenute negli scorsi anni. Ma questo tipo di critiche non considera che si può reagire solo a ciò di cui si è consapevoli o messi a conoscenza, perciò non vi è, in sé, nulla di sbagliato nel fatto che l'insofferenza e lo sdegno nei confronti di Berlusconi si siano "agganciati" ad un tema oggi al centro dell'attenzione. Il vero problema riguarda semmai il tentativo della guerra psicologica di rovesciare a proprio vantaggio questi slanci di ribellione, agitandovi davanti dei falsi bersagli, come appunto il "berlusconismo culturale", cioè l'idea che Berlusconi sia rappresentativo di vizi e tare storiche del popolo italiano, in questo caso del maschilismo.

In realtà in ogni Paese c'è tutto ed il contrario di tutto, ma si può considerare caratteristico di un popolo soltanto ciò che abbia tradizione e radicamento sociale, in modo da poter camminare con le proprie gambe. Se si fa un'analisi meno condizionata dagli slogan predominanti, ci si rende conto che è proprio la vitalità intrinseca del berlusconismo a risultare mancante, che il regime berlusconiano è un fenomeno posticcio, e che l'apparente forza di Berlusconi deriva esclusivamente dalla circostanza che i suoi avversari si dimostrano sempre, ed inspiegabilmente, paralizzati nei momenti decisivi.

Nella rappresentazione mediatica del conflitto permanente tra Berlusconi e la Magistratura rimane in ombra un evidente paradosso storico, riguardante il dato incontrovertibile che l'ascesa politica dell'attuale Presidente del Consiglio ha trovato le sue premesse e le sue condizioni nella dissoluzione per via giudiziaria del precedente assetto politico, quello che, con approssimazione giornalistica, viene definito "Prima Repubblica". Se la propaganda berlusconiana presenta le disavventure giudiziarie del Presidente del Consiglio come una conseguenza del suo ingresso in politica, la versione antiberlusconiana ribatte spesso, ed anche con dati di fatto, che in realtà questo ingresso in politica sarebbe stato motivato proprio dall'esigenza di trovare uno scudo, attraverso le leggi ad personam, contro le inchieste giudiziarie.

Anche la seconda - e molto più plausibile - narrazione non tiene però conto del dato che, negli anni precedenti alla candidatura di Berlusconi alla guida del governo, nel pieno della cosiddetta inchiesta "Mani Pulite", Berlusconi è stato risparmiato dall'accusa di versamento di tangenti. A suo tempo, pochi commentatori fecero notare quanto risultasse irrealistico che tra i finanziatori di Craxi non risultasse la presenza dello stesso Berlusconi; una circostanza assurda se si considera la massa di privilegi ed agevolazioni che gli erano stati elargiti dal potere politico di allora.

Un personaggio di assoluto rilievo nel panorama affaristico italiano, il padrone di Montedison Raul Gardini, fu spazzato via in poche settimane dall'inchiesta giudiziaria che lo riguardava; ed altrettanto avvenne al presidente dell'ENI, Gabriele Cagliari. La loro fine fu anche sancita dai rispettivi "suicidi", sui quali molti giornalisti si improvvisarono psicologi da strapazzo per garantircene l'attendibilità. Peraltro, nessuno dei tanti "suicidi" avvenuti all'epoca ebbe l'onore di essere oggetto di una seria inchiesta giudiziaria.

Di fronte alla geometrica potenza dimostrata dalle Procure nel liquidare Gardini e Cagliari, fa impressione l'incedere tardo ed esitante delle inchieste che hanno riguardato Berlusconi. Il giudice Di Pietro si dimise dalla Magistratura pochi giorni dopo aver assunto l'incarico di un'inchiesta riguardante Berlusconi, e quell'episodio oscuro non ha mai pesato sull'alone di "antiberlusconiano di ferro" dello stesso Di Pietro.

Se Berlusconi, che nel 2007 appariva politicamente defunto, poté rientrare alla grande, fu in parte per l'apertura di credito nei suoi confronti che gli fu assicurata dal segretario del Partito Democratico, Walter Veltroni; ma la "spallata" al governo Prodi arrivò da un'inchiesta giudiziaria che coinvolse il ministro della Giustizia, Clemente Mastella e dall'arresto della moglie di questi. Berlusconi deve perciò il suo grande ritorno nel 2008 in parte a Veltroni ed in parte alla Magistratura.

Se oggi i magistrati possono ottenere il rito immediato nei confronti di Berlusconi, lo si deve considerare esclusivamente merito suo, poiché per il più grave dei reati di cui è imputato, la concussione, è stato egli stesso a fornire le prove mentre lo commetteva. Per quanto concerne la prostituzione minorile, è stato ancora una volta Berlusconi a facilitare l'inchiesta giudiziaria, poiché, nonostante l'esplosione del caso "nipote di Mubarak", egli ha incautamente continuato a tenere i comportamenti incriminati.

Nel mito berlusconiano, sia nella sua versione positiva che in quella negativa, c'è quindi qualcosa che non funziona, ed anche la rappresentazione dello "scontro istituzionale" si scontra con la realtà di un Presidente del Consiglio fuori di testa, che si è cercato col lanternino i suoi guai giudiziari, a fronte di una Magistratura che procede di fronte all'evidenza con passo burocratico, senza dimostrare affatto il mitico "accanimento", e neppure un particolare zelo. Nell'ambito dei presunti "scontri istituzionali" viene dimenticato, o volutamente omesso, anche un altro dato di fatto, cioè che il presidente Napolitano nel novembre ultimo scorso salvò Berlusconi da un sicuro voto di sfiducia alla Camera con il pretesto dell'approvazione della Legge Finanziaria. Quel mese di tregua consentì alla ex maggioranza di ricomprarsi i voti necessari per la fiducia parlamentare, e la cosa più strana fu che i vari Fini, Casini, Bersani e Di Pietro si accodassero supinamente e senza protestare alle direttive di Napolitano.

Il vittimismo berlusconiano non può trovare nessun riscontro nei dati di fatto, e la circostanza che alcuni che si considerano oppositori si lascino ancora sedurre da questo vittimismo, al punto di voler considerare il sostegno a Berlusconi un gesto ribelle e trasgressivo rispetto all'ordine mondiale, costituisce appunto il segnale più certo dell'efficacia della guerra psicologica coloniale di cui l'Italia attualmente è bersaglio. Non si può comprendere nulla del colonialismo senza tener conto della categoria di guerra psicologica (psywar), e di tutte le tecniche con cui essa cerca di infantilizzare i popoli sottomessi, trasformando la condizione di sottomissione in un senso di inferiorità, che faccia considerare la sottomissione stessa come necessaria e desiderabile. Demoralizzazione e corruzione sono due armi complementari del dominio coloniale, perciò vanno sempre analizzate come due aspetti di un unico fenomeno.

Nell'ambito di questa psywar coloniale, si è fatto di tutto per costruire un'opinione pubblica assolutamente persuasa della rappresentatività del "berlusconismo", cioè del suo carattere inconfondibilmente "italiano", in modo che la eventuale caduta di Berlusconi possa diventare un pretesto per imporre espiazione e "sacrifici" a tutto il popolo italiano, che sarà inevitabilmente presentato come complice e corresponsabile delle malefatte del suo satrapo.

In realtà l'inesistenza del "berlusconismo culturale" è dimostrata dal fatto che ogni qual volta Berlusconi si sia trovato in difficoltà, egli ha dovuto cercare il suo supporto ideologico/narrativo in modelli di importazione. Che un capo di governo indagato rivendichi la difesa della propria privacy, non è una semplice manifestazione di faccia tosta, ma costituisce un'operazione ideologica sofisticata, che non è certo alla portata di un deficiente come Berlusconi o di un galoppino come Giuliano Ferrara. Infatti si tratta di una "Ideologia Tedesca".

Quando si è dovuto trasmettere un film da contrapporre ad "Il Caimano" di Nanni Moretti, Rai 2 non ha trovato altro che un film tedesco del 2006: il pluri-premiato "Le Vite degli Altri", il cui tema dichiarato sarebbe appunto la privacy violata dall'occhio invadente ed intrusivo del comunismo. In realtà il film è un'abile mistificazione che compie il tipico gioco delle tre carte, in cui il vero oggetto del contendere viene dissimulato attraverso un fattore di distrazione. Nel film vediamo un intellettuale della Germania Est, un privilegiato del regime, che tradisce il sistema di cui fa parte collaborando con la guerra psicologica della Germania Ovest; ma dato che la cattivissima polizia segreta, la Stasi, per cercare le prove del tradimento, gli ha piazzato dei microfoni in casa, ecco che allora la collaborazione con il nemico ci viene presentata dal film come un dettaglio irrilevante di fronte allo scandalo dell'intimità violata.

Un film del genere va ben oltre la semplice propaganda, infatti cerca di fabbricare una falsa memoria storica circa tutti gli eventi che hanno portato alla fine del cosiddetto "Socialismo Reale" dell'Est-Europa. Agli ex Tedeschi dell'Est il film dice: sì d'accordo, avevate il lavoro, la casa, le garanzie sociali, l'assistenza sanitaria onnicomprensiva e del tutto gratuita, ma non eravate felici perché la polizia comunista violava la vostra privacy, e per questo vi siete ribellati andando ad abbattere il Muro di Berlino. In questo modo la realtà storica viene letteralmente rovesciata, cercando di nascondere che le oligarchie affaristiche oggi dominanti nell'Europa dell'Est hanno la loro origine proprio nei servizi segreti. In Russia, non a caso, il vecchio KGB è diventato la Gazprom, cioè l'azienda che gestisce il business del petrolio e del gas. In altri Paesi dell'Est Europa gli ex agenti segreti sono diventati invece fiduciari delle multinazionali straniere.

Quindi il socialismo reale non è crollato per le sue difficoltà economiche o per il malcontento dal basso, ma per il paradosso dei regimi comunisti già previsto da Bakunin centocinquanta anni fa, e cioè che i controllori sarebbero sfuggiti ad ogni controllo, trasformando così i loro privilegi parziali in privilegio assoluto.

Nel film tedesco il personaggio dello scrittore è un privilegiato del regime che, insieme con i privilegi che già possiede, rivendica anche quello di non essere controllato. Ecco che il mito della originalità ideologica del berlusconismo si appanna un bel po'. C'è anche da rilevare nel film lo sfruttamento di un pregiudizio piuttosto radicato nella sinistra attuale, e cioè che la cultura conferisca una sorta di alone di innocenza, per cui un intellettuale o uno scrittore non possono essere delle spie. In effetti nel film il personaggio dello scrittore è una sorta di viscido doppiogiochista che ricorda figure realmente esistenti, come il cecoslovacco Vàclav Havel, cioè un agente segreto con un piede nei servizi segreti del proprio Paese ed un altro nei servizi segreti stranieri. Queste figure di intellettuale doppiogiochista, nei momenti di passaggio di regime, svolgono anche una funzione di mediazione tra interessi locali e stranieri. Ogni riferimento al ruolo attuale di El Baradei in Egitto è del tutto casuale.

Il film tedesco quindi considera un crimine caratteristico del comunismo quello di controllare i privilegiati non riconoscendogli l'ulteriore privilegio della privacy. La privacy è infatti un privilegio dei ricchi e potenti, mentre i poveri non se la possono permettere. Se, invece di infastidire un privilegiato, la Stasi avesse sequestrato un povero disgraziato qualsiasi e lo avesse condotto in una sorta di Guantanamo per farlo confessare con la tortura, allora nessuna "privacy" sarebbe stata violata e tutto sarebbe a posto. Dagli Stati Uniti ci hanno appena fatto sapere che Guantanamo non si chiude, quindi Guantanamo non ha niente di comunista.

Comidad

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