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(31 Luglio 2011) Enzo Apicella

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C’è crisi e crisi

(18 Febbraio 2011)

All’alba del terzo anno di crisi economica, ci sono note (quasi) tutte le statistiche sul peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di miliardi di esseri umani che si guadagnano il pane con il loro lavoro.
Meno note sono le statistiche sui pochi che, nel mondo, detengono la ricchezza.

Ci sono due società, Merryl- Linch (acquisita due anni fa dalla Bank of America per 44.000 milioni di dollari) e Capgemini (meno nota della precedente, ma dotata di 90.000 impiegati sparsi per il mondo), che di questo si occupano con molta discrezione. Producono i risultati dei loro studi sulla concentrazione della ricchezza. L’ultimo studio pubblicato è quello del 2010, riportante i dati del 2009 e degli anni precedenti. Hanno prodotto anche uno studio dedicato ai ricchi della “regione Asia-Pacifico”.
I dati qui seguenti sono tratti da questi rapporti (vedi www.at.capgemini.com).

Prima di tutto la definizione delle due società su chi sono i ricchi: HNWI (High Net Worth Individuals – individui di valore netto elevato – e UHNWI (individui di super elevato valore netto).
I primi sono coloro che hanno un patrimonio superiore al milione di dollari, esclusi la prima casa, i beni consumabili, i beni collezionabili e i beni di consumo durevoli. Cioè si tratta di valutare ciò che i ricchi posseggono effettivamente e gli attivi facilmente e rapidamente convertibili in denaro liquido.
Per i secondi valgono le stesse condizioni, ma considerando un patrimonio che arrivi ai 30 milioni di dollari. E’ chiaro che in realtà il valore dei patrimoni analizzati è ben superiore, dato tutto ciò (riportato sopra) che viene escluso dal calcolo.

A partire da queste definizioni, secondo Merryl-Lynch e Capgemini nell’anno 2005 c’erano nel mondo 8,8 milioni di HNWI., che sono aumentati a 9,5 l’anno seguente e a 10,1 nel 2007. Nel 2008, con lo scoppio della crisi, il numero di HNWI è ritornato più o meno al livello del 2005, con 8,6 milioni nel mondo. Ma già nel 2009 tornavano ad essere 10 milioni, quasi lo stesso livello del 2007, l’anno precedente lo scoppio della crisi.
La ricchezza complessiva di tutti gli HNWI del mondo ammonta a 33,4 bilioni (BILIONI!!) di dollari nel 2005; a 37,2 nel 2006; a 40,7 nel 2007 per abbassarsi(!!) poi a 32,8 nel 2008. In piena crisi, nel 2009, tale ricchezza era tornata a circa 39 bilioni di dollari. Per capirci, tale cifra significa circa 3 volte il PIL degli Stati Uniti.
Passiamo al gruppo più ristretto, gli UHNWI, coloro che posseggono un patrimonio di più di 30 milioni di dollari. Nel 2009 erano 93.100 persone: ciò significa 1 super ricco ogni 75.000 persone. Il dato più importante è che nelle loro mani si concentra il 35,5% di tutta la ricchezza rastrellata dagli HNWI, nonostante gli UHNWI siano solo lo 0,9% di questo ultraristretto gruppo.
Queste 93.100 persone posseggono attivi per circa 13.845.000.000.000 di dollari, cioè l’equivalente del Pil di tutta l’Europa.
Gli Stati Uniti (con circa 2,9 milioni), il Giappone (con circa 1,7 milioni) e la Germania (con 861.000) concentrano il 53,5% di tutti gli HNWI del mondo, dato aggiornato al 2009, l’ultimo anno esaminato da Merryl-Lynch e Capgemini.

Cosa diranno i dati del 2010, ovviamente ancora non disponibili? Probabilmente, sempre meglio. Lo dicono le stesse Merryl-Lynch e Capgemini, che prevedono che nel 2013 la ricchezza degli HNWI sfiorerà i 48,5 bilioni di dollari, cioè che essi moltiplicheranno di circa il 60% le fortune che possedevano nel 2005. L’altro dato si può rilevare dal rapporto 2010 della “regione Asia-Pacifico”: nel 2009 i livelli di ricchezza accumulata dagli HNWI della regione erano tornati ai livelli del 2007, prima dello scoppio della crisi. Gli HNWI sono cresciuti nel 2009 di circa il 25,8% e la loro ricchezza complessiva del 30,9% rispetto all’anno precedente. In Giappone si concentravano, nel 2009, il 54,6% di tutti gli HNWI della regione e il 40,3% della ricchezza.

Vediamo più in particolare la situazione negli USA.
Nel 1979 l’1% più ricco riceveva il 9% della rendita nazionale. Oggi questa proporzione è salita al 24%. Il reddito di questo 1% era, nel 1962, 125 volte superiore alla media nazionale; oggi è 190 volte superiore. I profitti delle 500 corporations più importanti sono aumentati del 141,4% e i redditi dei dirigenti si sono alzati del 282% dal 1990 al 2010.
L’ultimo rapporto della società finanziaria JP Morgan Chase è esemplificativo: nel 2009 gli utili sono aumentati del 48% rispetto al 2008 e, nel primo quadrimestre del 2010 sono aumentati del 47% rispetto allo stesso periodo del 2009. Questa è solo la punta dell’iceberg. Gli analisti stimano che i profitti delle corporations siano cresciuti del 27% nell’ultimo quadrimestre del 2010.
Il capo di gabinetto della Casa Bianca, Rahm Emanuel, l’aveva già espresso chiaramente, dicendo “non permettiamoci mai di sprecare una buona crisi, visto che utilizziamo la crescente catastrofe economica per introdurre cambiamenti e decidere sacrifici che sarebbero stati impossibili in altri contesti.”. Più chiaro di così!

Detto in altri termini, tutto quanto sopra dimostra una cosa: la crisi – di un settore del capitale, quello finanziario - è stata prontamente recuperata. La crisi è stata superata grazie al ruolo di salvataggio di quella entità che molti - prontamente smentiti dalla realtà - davano ormai per morta, lo Stato.
Stato che, dopo aver impiegato cifre inimmaginabili per evitare che il settore finanziario crollasse, collabora attivamente, oggi come sempre, con il capitale – come dice il professor Michael Hudson - per: “servirsi della crisi bancaria (generata da prestiti immobiliari di cattiva qualità e dalla morosità, non da costi del lavoro troppo alti) come occasione per cambiare le leggi e permettere che le imprese private e gli enti pubblici possano licenziare senza costi e con la massima discrezionalità i lavoratori, così come ridurre le pensioni e la spesa sociale per poter pagare di più le banche”.

Una guerra di classe in piena regola di cui, in casa nostra, la vicenda Fiat è solo l’ultimo anello di una lunga catena – da un lato – e il primo scalino per eliminare qualsiasi diritti resti oggi ai lavoratori, rendendoli – più che precari – schiavi salariati.
Ma si accendono scintille di rivolta in molti, inaspettati, luoghi …… dalla straordinaria risposta negativa degli operai di Mirafiori (dopo quelli di Pomigliano) al Maghreb in fiamme, non più disposto a sopportare fame, miseria e oppressione.
Spiacenti per Marchionne, ma la lotta di classe è quanto mai attuale, sotto tutti i cieli del mondo.

Pubblicato sulla rivista “nuova unità” di febbraio, n. 1/2011

Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

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