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(20 Febbraio 2011)

L’Italia è da sempre il regno della retorica e dell’ipocrisia dei ciarlatani, degli impostori e dei pifferai magici. Ma il degrado etico e culturale in cui è sprofondato il Paese è tale da non permettere più di discernere la verità dalla menzogna, l’equità dall’ingiustizia. Il discorso pronunciato da Marchionne all’ultimo meeting di Comunione e Liberazione è la riprova che la Fiat è spinta da finalità antioperaie ed antidemocratiche. Ascoltare l’Amministratore delegato che cita Hegel, richiamando valori etici come “libertà” e “diritti”, fa solo inorridire in quanto il “supermanager” della Fiat offende l’intelligenza, la civiltà, l’onestà dei cittadini liberi. L’intervento di Marchionne ha evidenziato toni e contenuti solo apparentemente concilianti, ma dietro la falsa erudizione e l’enfasi “buonista” si annida un’arroganza infarcita di citazioni utili ad incorniciare messaggi oltraggiosi contro le leggi e le istituzioni dello Stato, coprendo minacce e provocazioni verso gli operai. La classica ciliegina è stato l’invito espresso da Marchionne a disertare la lotta di classe, mentre è evidente che solo la Fiat persevera e conduce una “santa crociata” contro gli operai e le organizzazioni sindacali non ancora supine che si ostinano a resistere. Gli operai più combattivi si limitano a salvaguardare i posti di lavoro e i propri diritti, ma non stanno facendo la guerra ai padroni. La lotta di classe non l’hanno mai provocata gli operai, ma sempre e solo i capitalisti e i loro scagnozzi.

Al di là dei proclami verbali e delle facili dichiarazioni di principio, contano i fatti concreti, che mostrano quali siano gli intenti reali della Fiat. Ebbene, le vicende di Pomigliano e Mirafiori sono paradigmatiche e rischiano di mutare le relazioni industriali nel nostro Paese. Esse mostrano che ogni sacrificio dei lavoratori non serve a conservare il lavoro, ma consente solo al capitale di estendere i sacrifici ai lavoratori di tutto il mondo e imporne altri con la scusa di dover reggere la concorrenza. Al di là degli esiti referendari, della vittoria non plebiscitaria dei “sì”, che potrebbe essere considerata come una “vittoria di Pirro”, in realtà hanno perso gli operai. Nella “proposta” avanzata da Marchionne e firmata dai sindacati filo-padronali, affiora un’arroganza da industriali ottocenteschi. Per realizzare il massimo profitto, la Fiat “deroga” su ogni regola: leggi, contratti, Statuto dei Lavoratori, Costituzione. Le vicende di Pomigliano e Mirafiori rischiano di imporre l’idea che l’unica soluzione alla crisi sia accettare la logica del ricatto aziendale: lavori se rinunci al salario sottraendo occupazione ad altri lavoratori; sopravvivi se rinunci ai diritti e alla democrazia. In tal senso Pomigliano e Mirafiori rischiano di “fare scuola” segnando lo spartiacque delle “nuove relazioni industriali”.

L’attuale recessione non è un episodio accidentale, ma una crisi strutturale causata dall’eccessivo sviluppo delle forze produttive, una crisi accelerata dalla saturazione dei mercati internazionali: finora si è prodotto in eccesso sfruttando troppo i lavoratori, che si sono impoveriti e sono destinati ad impoverirsi ulteriormente. E’ una crisi che si spiega in virtù del divario tra la crescente produttività del lavoro e la declinante capacità di consumo dei lavoratori. In altri termini gli operai producono troppo, al punto che non si riesce a vendere quanto essi producono. E’ la radice delle contraddizioni del capitalismo, riconducibile alla sua tendenza intrinseca alla sovrapproduzione di merci. In questo quadro l’azione dei governi asseconda gli interessi delle forze capitalistiche. Infatti, le politiche di liberalizzazione selvaggia attuate dai governi degli ultimi anni procedono senza sosta, malgrado aumenti la consapevolezza che esse favoriscono il predominio dei grandi potentati economici, delle banche e delle società finanziarie, a discapito dei lavoratori. Impresa, mercato, produttività, profitto, non sono mai stati termini asettici o neutrali, ma hanno sempre definito affari e poteri concreti, persone in carne ed ossa. Invece, oggi tali interessi privati sono esibiti come il bene comune. La contraddizione centrale è ancora quella che contrappone l'impresa capitalistica al mondo del lavoro. I lavoratori devono prendere coscienza che il vero problema risiede nel costo del capitale, nell'inasprimento delle condizioni di sfruttamento e nell'aumento degli straordinari, nella crescente precarizzazione delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, insomma nel sistema dell’alienazione capitalistica del lavoro operaio. Di fronte alla crisi internazionale la risposta della FIAT è un disegno strategico che punta alla terzomondizzazione del lavoro in Italia, ad un’intensificazione dei ritmi e dei tempi di lavoro, alla piena precarizzazione dei diritti e delle tutele sindacali, dei salari, delle condizioni di sicurezza degli operai. Dopo aver dissanguato i lavoratori polacchi, la FIAT pianifica il rientro in Italia di una produzione trasferita all’estero negli anni scorsi, malgrado le generose sovvenzioni elargite dallo Stato italiano, cioè dai contribuenti.

Inoltre, in un paese civile la sicurezza sul lavoro dovrebbe essere anteposta ad ogni altro tipo di questione. Eppure, il macabro bilancio degli “omicidi bianchi” comporta un aggiornamento costante. Il lavoro nelle fabbriche, nei cantieri, sulle strade, è ormai un lavoro ad altissimo rischio. Infatti, l'impressionante bilancio degli “omicidi bianchi” è un vero bollettino di guerra. Si calcola che nel mondo gli infortuni mortali sul lavoro, secondo i dati ufficiali forniti dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), superano le cifre dei morti causati dalle guerre in generale. Se non bastasse l'evidenza ci sono le statistiche a confermare che nei luoghi di lavoro è in corso un vero e proprio stillicidio. Le stime dell’INAIL rivelano che gli “omicidi bianchi” riprendono ad aumentare, segnalando una recrudescenza del fenomeno. La media quotidiana di 3/4 vittime causate dallo sfruttamento capitalistico, segnala la scarsa severità delle norme vigenti e la debole inflessibilità della loro applicazione e dei controlli ispettivi. In tal modo gli operai continuano a crepare nelle fabbriche, nelle officine, nei cantieri edili, nei luoghi malsani e insicuri dello sfruttamento economico, mentre nessun governo, nessun partito, nessun sindacato può assolutamente intervenire, ammettendo la propria impotenza e dichiarando il proprio fallimento. Ma al di là delle circostanze riconducibili a “tragiche fatalità”, gli infortuni mortali recano sempre responsabilità precise in quanto c’è sempre chi non ha fatto il suo dovere per evitare quell’incidente, una responsabilità che andrebbe ricercata e perseguita. In genere, le stragi sul lavoro sono legate ai seguenti ordini di cause: anzitutto i costi e la logica del profitto economico, l'inasprimento delle condizioni di sfruttamento in fabbrica e l'incremento degli straordinari. In altre parole, la causa prima è la precarizzazione delle condizioni di sicurezza dei lavoratori. Invece, nell'agenda del governo tale emergenza è stata scalzata da false priorità come la questione della sicurezza urbana connessa in modo demagogico e strumentale al tema dell'immigrazione "clandestina".

Negli ultimi mesi, sia all’estero che in Italia, gli effetti destabilizzanti della crisi economica hanno spinto molti operai, esposti alla minaccia dei licenziamenti, a ribellarsi e intraprendere forme di protesta prima impensabili. C’è l’operaio che tenta il suicidio perché non riesce ad arrivare alla fine del mese, ma ci sono anche casi di lavoratori che scelgono di resistere strenuamente contro i licenziamenti, la disoccupazione e la crisi, che i padroni tentano di far pagare alla classe operaia, come sempre. Aumentano le lotte intraprese da gruppi di operai ribelli, perciò perseguitati, in molte fabbriche soprattutto del gruppo Fiat, lavoratori organizzati autonomamente e perciò sottoposti a tentativi di criminalizzazione e repressione condotto dalla Fiat e dallo Stato suo complice. Oggi è più che mai necessario solidarizzare con le lotte degli operai in ogni angolo del pianeta, in particolare con gli operai che lottano contro la crisi e lo sfruttamento in fabbrica, per non essere più ingannati da governo, padroni e sindacati.

Lucio Garofalo

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