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La primavera americana

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(3 Ottobre 2011) Enzo Apicella
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Fuga. Fame. Finanza

A proposito di esodi biblici

(21 Febbraio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Festa Farina Forca, un tempo indicavano la politica dei governi reazionari.
Oggi, le feste sono a pagamento e di farina ce n’è sempre meno.
Resta la Forca. Con la Fuga la Fame e la Finanza.

FUGA

Non ha precedenti nella storia l’espropriazione delle popolazioni rurali che, dalla metà del Novecento, ha colpito il Terzo Mondo. Ogni anno, milioni di persone sono state costrette a lasciare le campagne e hanno cercato scampo nelle città. Grazie a questo esodo, nel 2009, la popolazione urbana ha superato la popolazione rurale.

Milioni di persone vivono ammassate in sterminate periferie, dove sbarcano il lunario alla meno peggio. E questo avviene ai quattro angoli della terra, in Cina come in Brasile, in India come in Sudafrica. La maggior parte di loro costituisce un immenso esercito industriale di riserva, la cui sorte è strettamente legata ai chiari di luna del modo di produzione capitalistico: basta poco per passare dalla povertà alla miseria e dalla miseria alla fame [vedi: CLAUDIO IELMINI, Les damnés de la civilisation, «Les cahiers du quotidien des sanspapiers», n. 1, avril 2008 - http://quotidiensanspapiers.free.fr/w/IMG/pdf/Les_damnes_A3.pdf]. E l’attuale momento storico non promette nulla di buono, per i proletari, che sempre più spesso e sempre più massicciamente sono costretti a cercare fortuna nei Paesi «ricchi».

Un anno fa, si è parlato di un vero e proprio esodo biblico [MOISÉS NAIM, 700 milioni la migrazione del secolo, «Il Sole 24 Ore», 23 febbraio 2010] che, nei prossimi anni, potrebbe coinvolgere circa 700 milioni di persone. Sono 700 milioni di persone in fuga dalla povertà e dalla miseria, dalla mancanza di prospettive e dall’insicurezza personale, in Paesi spesso lacerati dalla guerra.

Le recenti rivolte del Nord Africa e del Medio Oriente stanno rendendo attuale la realtà degli esodi, verso l’Europa. Secondo il ministero degli Interni italiano, dal 15 gennaio, sulle coste della Sicilia sarebbero sbarcate oltre 5mila persone, provenienti in gran parte dalla Tunisia. Ed è subito emergenza! Maroni paventa oltre 80mila arrivi. Probabilmente il varesino gioca al rialzo e spara un numero a casaccio, con lo scopo di battere cassa alla UE e aprire nuovi campi di concentramento, a vantaggio dei soliti faccendieri del «cemento, del catering e della security». Ma la realtà potrebbe essere molto più inquietante, una vera doccia fredda, di fronte a nuovi flussi migratori, provenienti da Libia, Mauritania, Niger e Sudan.

FAME

Recentemente, l’IFPRI (International Food Policy Research Institute) aveva avanzato preoccupazioni sulla situazione della regione Sub Sahariana. Ma tutta l’Africa sta subendo pesantemente le conseguenze della crisi economica globale, che rendono precaria la disponibilità alimentare.

«Una miscela composta dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari, dalla difficoltà crescente per garantire prestiti internazionali, dal deterioramento delle esportazioni e dalla riduzione del mercato del lavoro provocherà la fuga di cervelli, disordini sociali e conflitti. Tumulti e conflitti aggraveranno la condizione dei diritti umani e il flusso di rifugiati. La migrazione di tutte le categorie da e dentro l’Africa aumenterà fortemente nei prossimi anni» [ARNO TANNER, Recessione globale e migrazioni africane, traduzione a cura dell’Ufficio Cooperazione della Provincia di Ferrara, 2009 - http://www.provincia.fe.it/].

La Food And Agricultural Organization (FAO) ha lanciato un allarme sul galoppante aumento dei generi alimentari: nel giro di un anno, l’indice S&P è passato da 300 a 550, ovvero è quasi raddoppiato.

«E l’agenzia dell’Onu avverte: la produzione cerealicola mondiale sembra avviarsi verso una contrazione annuale del 2%, le quantità di cereali immagazzinate caleranno del 7%, quelle di mais del 12%, grano -10%, mentre l’orzo subirà un crollo del 35%. [...] Inevitabili ulteriori aumenti di prezzi e quel che è peggio un miliardo di persone affamate, “un tragico traguardo in questa epoca moderna” secondo Jacques Diouf, direttore generale Fao» [ANTONIA JACCHIA, La grande corsa di cereali e zucchero Allarmi e speculazione sullo «choc del cibo», «Corriere della Sera», 23 gennaio 2011, p. 25].

L’incubo della crisi alimentare taglia l’erba sotto i piedi a chi poneva le speranze di ripresa economica nei Paesi emergenti, nella Cina e nell’India.

«In Cina per esempio dove “Zhang”, il carovita, trascinato dai prezzi dei generi alimentari, nel 2010 è cresciuto del 5,1% costringendo la People’s Bank of China a rivedere al rialzo i tassi d’interesse, prima a ottobre, poi di un altro quarto di punto a Natale. Risultato: le banche non si possono permettere di prestare denaro a meno del 5,81%, una brutta notizia per un’economia che cresce al ritmo del 15% all' anno. Stesso discorso per l’India dove l’inflazione da generi alimentari ha toccato il 18,3%. Sul banco degl’imputati i prezzi crescenti delle verdure: le cipolle rosse, alimento base della cucina indiana, al mercato di Kotla a New Delhi, sono schizzate in una notte da 60 rupie (1,30 dollari) al chilo a 80 a causa della scarsità delle scorte» [ANTONIA JACCHIA, cit.].

Come abbiamo segnalato in un precedente articolo, per l’inizio della prossima estate, in Cina, si profila una grande carestia [FRANCESCO SISCI, Se una farfalla in Cina scatena il ciclone materie prime, «Il Sole 24Ore, 10 febbraio 2011, in Tunisia, Egitto e poi? La Cina?].

Ma cosa c’è all’origine di queste catastrofi?

FINANZA

L’aumento dei prezzi alimentari verificatasi negli ultimi anni è legato soprattutto alla speculazione finanziaria.

I nuovi protagonisti del mercato dei prodotti agricoli, come banche di investimento, hedge fund, fondi pensione, hanno esasperato la logica del massimo profitto, ovvero realizzare il maggiore guadagno dalla scommessa sulla variazione del prezzo di una determinata commodity, cioè le materie prime, dal petrolio al mais [vedi: ELLEN BROWN, Come le banche e gli investitori stanno facendo morire di fame il terzo mondo, in http://www.comedonchisciotte.org/].

«Secondo il Comitato per la Sicurezza Nazionale e gli Affari Governativi degli Stati Uniti, gli investimenti legati alle materie prime erano passati dai 13 miliardi di dollari del 2003 ai 260 del 2008. Contemporaneamente il prezzo medio delle 25 principali commodities era aumentato del 183%. Le scommesse fioccavano grazie anche al crescente successo di fondi comuni d’investimento ad hoc, i celebri Exchange Traded Commodities (ETC), che attraevano una crescente clientela di risparmiatori (molti dei quali in Italia, principale piazza europea degli ETC dopo quella del Regno Unito) in fuga dai mercati tradizionali di azioni e obbligazioni.

Nell’agosto del 2008, un rapporto della banca francese Credit Agricole evidenziava come la posizione di mercato dei derivati scambiati sulla piazza di Chicago, il più grande mercato azionario sulle commodities, ammontasse a un quarto dell’intera produzione mondiale di mais e soia e all’8% di quella del frumento ». [The great hunger lottery: How banking speculation causes food crises, in http://www.wdm.org.uk/].

Nel dicembre 2010, le quotazioni delle commodity hanno raggiunto i livelli più alti degli ultimi vent’anni.

L’indice di sintesi di ben 55 materie prime ha toccato quota 214,7 punti: il 4,2% in più in un mese e il 24,5% in più dall’anno scorso. E il picco non è ancora stato raggiunto. Per la popolazione di mezzo mondo, la crescita dei prezzi alimentari significa una cosa sola: fame [vedi: ANTONIO PAGLIARONE, Mad Max Economy. Dalla fame di speculazione alla speculazione della fame, Sedizioni, Milano, 2008].

L’IFPRI calcola che per ogni aumento di un punto percentuale dei prezzi alimentari, 16 milioni di nuove persone avrebbe sofferto la fame. La FAO stima intorno al 40% l’aumento del costo degli alimenti nei Paesi «poveri», il quadruplo rispetto al 2000. Se, in un Paese industrializzato (ricco, per una famiglia la spesa alimentare copre il 10-20% del reddito, in un Paese povero la cifra è compresa tra il 60 e l’80%. Ricordiamoci che il 40% della popolazione mondiale (più di due miliardi e mezzo di persone) vive con meno di due dollari al giorno.

18 febbraio 2011

Dino Erba

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