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ENIgnma Libia

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(22 Febbraio 2011) Enzo Apicella
La rivolta popolare in Libia mette a rischio gli impianti dell'ENI che garantiscono un quarto delle importazioni di greggio in Italia

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    La cattiva coscienza dei politici e le mani grondanti di sangue dei padroni italiani

    (23 Febbraio 2011)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in ciptagarelli.jimdo.com

    Le centinaia di morti, operai, lavoratori, disoccupati, studenti, casalinghe, nei paesi arabi e in Libia sono il frutto (anche) dei “buoni” rapporti dei governi italiani con i dittatori del mondo arabo che, insieme, hanno fatto affari d’oro.

    I soldi provenienti dal petrolio hanno finanziato le spese militari dei paesi amici, Algeria, Egitto, Tunisia, Marocco, Israele e – in particolare – Libia. Gheddafi, dopo essere stato considerato nel 1970 un terrorista, capo di uno “stato canaglia” per aver espulso dal paese le aziende e le compagnie petrolifere americane, ha fatto affari con le industrie italiane: ENI, SNAM, Fiat, Finmeccanica, ecc.

    Si calcola che circa il 35/40% del petrolio libico arrivi direttamente in Italia e più del 40% sono le importazioni libiche dall’Italia.

    Dal 2004 - per accordi fra il governo Berlusconi e Gheddafi - insieme ad un incremento degli affari sono stati dati alla Libia nuove armi e miliardi di euro per creare una barriera anti-immigrati. Gli immigrati espulsi dall’Italia vengono scaricati sul suolo libico, ripagando profumatamente Gheddafi per il suo sporco lavoro di controllo e detenzione, di gendarme e secondino; il tutto nel tentativo di difendere gli interessi imperialisti Italiani nell’area.

    Non possiamo dimenticare comunque che tutti i governi succedutisi negli ultimi decenni, nonostante l’embargo imposto dall’ONU, hanno mantenuto ottimi rapporti di cooperazione militare fornendo alla Libia e ai paesi dell’area armi e istruttori.

    Anche la Breda Fucine di Sesto San Giovanni di proprietà del governo italiano fino alla privatizzazione che l’ha portata alla chiusura– tramite la Oto Melara, la Breda Meccanica Bresciana, l’Agusta – ha fornito armi, bombe, cannoni e mitragliatrici per le navi e gli aerei (e le contraeree) che oggi sparano sugli insorti.

    Noi operai ci siamo sempre battuti contro le guerre imperialiste. Già nel 1991, allo scoppio della guerra in Iraq, insieme agli operai di altre fabbriche organizzammo dal basso uno sciopero generale contro la guerra che portò in piazza a Milano oltre 20.000 lavoratori.

    Successivamente abbiamo ostacolato in ogni modo la produzione di armi usando ogni pretesto per fare scioperi. Allora, insieme a decine di nostri compagni di lavoro, per dimostrare la nostra opposizione alla guerra che vedeva anche l’Italia fra gli aggressori di un paese sovrano, attaccammo sulla tuta da lavoro in modo ben visibile un adesivo con la scritta: contro la guerra dei padroni solidarietà fra i lavoratori e i popoli sfruttati di tutto il mondo.

    Nel 1992 in centinaia fummo espulsi dalla fabbrica e messi in cassa integrazione.

    Per tutto questo non possiamo stare in silenzio di fronte ai falsi appelli contro la violenza, a favore della transizione pacifica che si levano in questi giorni: diciamo no alle lacrime di coccodrillo versate da politici e industriali corresponsabili di questa carneficina, della morte di centinaia di persone.

    Sesto San Giovanni, 23 febbraio 2011

    Luigi Consonni, Silvestro Capelli, Michele Michelino, Sandro Tansini,
    ex operai della Breda Fucine di Sesto San Giovanni

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