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Il caso Sofri: legge "ad personam"?

un intervento controcorrente

(11 Gennaio 2004)

C’è un termine che per il suo significato letterale non dovrebbe indicare orientamenti o decisioni pasticciate e negative ma che, per le esperienze già fatte e per quelle che di tanto in tanto si profilano nella vicenda politica del nostro Paese, si appalesa foriero di “inciuci”, induce al sospetto ed annuncia talvolta operazioni di dubbia legalità costituzionale. Si tratta della parola inglese “bipartisan” che quando torna in auge c’è sempre aria di ambigue tesi che cercano di accreditarsi come verità assolute, di unanimismi che demonizzano il dissenso, di mistificazioni intese a far passare decisioni impopolari. Ed oggi un orientamento bipartisan sta prendendo corpo in favore della legge Boato che dovrebbe consentire la concessione da parte del Presidente della Repubblica della “grazia” ad Adriano Sofri, condannato con sentenza passata in cosa giudicata per l’omicidio del commissario Calabresi. E sì, perché in favore del citato disegno di legge si sta manifestando, col sostegno di autorevoli opinionisti, un orientamento positivo dell’intera sinistra, di larga parte della Casa delle libertà e di alcuni vertici istituzionali particolarmente attivi nel lavoro rivolto a favorire il varo del provvedimento. C’è, è vero, il contrasto del ministro Castelli e della Lega come ci sono alcune ambigue riserve di AN e qualche perplessità nella Margherita. Ma il dato prevalente sembra essere quello di una convergenza di opinioni in favore dell’atto di clemenza.

Da parte dei patrocinatori della “grazia” si sostiene che tale provvedimento è una prerogativa esclusivamente propria del Presidente della Repubblica come lo era del monarca nello Statuto albertino. Si finge però di ignorare il diverso avviso di una parte autorevole della dottrina che considera la concessione del beneficio in questione un atto formalmente presidenziale ma sostanzialmente governativo come i decreti legge, i decreti legislativi, la nomina dei ministri e degli alti funzionari. La “grazia” sarebbe quindi esclusa dagli atti non solo formalmente ma anche sostanzialmente presidenziali come il possibile rinvio della legge alle Camere prima della sua promulgazione, i messaggi al Parlamento, la nomina dei senatori a vita e dei cinque giudici costituzionali. A margine delle questioni interpretative, non si comprende poi il motivo per il quale personalità politiche che si riconoscono pienamente nella Costituzione repubblicana si affannano ad identificare l’attuale istituto della “grazia” con l’analoga prerogativa regia ed a patrocinare l’attribuzione del potere di concedere l’atto di clemenza alla competenza esclusiva del Capo dello Stato il quale, nella ipotesi di un uso palesemente arbitrario di siffatto potere, non potrebbe, a differenza del governo, essere chiamato a risponderne politicamente dinanzi al Parlamento ed al corpo elettorale.

Quanto al merito, c’è da rilevare che tra le tante cose che si dicono e si scrivono sulla concessione della “grazia” a Sofri brilla per la sua assenza l’indicazione di accettabili ragioni che dovrebbero giustificare l’adozione del provvedimento. Come si è detto, Sofri, dopo tutte le fasi e tutti i gradi del processo, è stato dichiarato responsabile (come mandante) di omicidio con sentenza passata in giudicato. Si possono avere, è vero, riserve e dissensi su tutte le pronunce giudiziarie anche di ultima istanza ma si tratterà sempre di opinioni private giacché per l’ordinamento e per le istituzioni chi è stato definitivamente condannato va considerato a tutti gli effetti colpevole e siffatto giudizio non può essere modificato se non nei casi eccezionali tassativamente previsti dalla legge e attribuiti sempre alla competenza degli organi giudiziari. Ne discende che la concessione della “grazia” non può essere motivata con argomenti che implichino la revisione o la riconsiderazione degli esiti processuali: se ciò avvenisse non si tratterebbe più di “grazia”, la quale presuppone la colpevolezza anche quando non è richiesta dall’interessato, ma di “giustizia”, una “supergiustizia” ingiusta ed abnorme perché in contrasto con i principi generali e le norme specifiche in materia del nostro ordinamento. Ma c’è di più e cioè che la “grazia”, pur essendo un atto “libero” di clemenza, non può essere mai concepita come un atto arbitrario, un atto cioè svincolato dal dovere di coerenza con i principi fondamentali della Carta costituzionale e segnatamente col principio di uguaglianza proclamato dall’art. 3 dello Statuto.

Se così stanno le cose, coloro che caldeggiano la “grazia” per Sofri dovrebbero fornire qualche convincente argomento sulle ragioni che, a loro avviso, giustificano l’invocato provvedimento. Per chiudere una stagione di lotte violente? Ma vi sarebbero altri aspiranti alla “grazia” e quella stagione non sembra purtroppo veramente conclusa. Le doti intellettuali e le relazioni sociali del condannato? Sarebbe gravemente ingiusto e discriminante nei confronti dei tanti detenuti che non scrivono sui grandi giornali e non hanno santi in paradiso. La pena scontata avrebbe esaurito la sua funzione rieducativa? Va bene, ma un simile criterio dovrebbe poi essere applicato ai tanti casi analoghi che non fanno notizia e dei quali nessuno si occupa. La scarcerazione anticipata di Sofri si giustificherebbe con servizi di eccezionale utilità (in ipotesi scientifici) che egli da libero potrebbe rendere alla comunità nazionale o con serie ragioni di salute ovvero con gravi e pressanti motivi familiari? Non sembra ricorrano tali condizioni. Ed allora…?

“Amicus Plato sed magis amica veritas”: mi è amica la sinistra ma mi è ancora più amica la verità o, meglio e più prudentemente, quella che a me sembra essere tale. Il dissenso di chi scrive è diverso da quello di alcuni esponenti della destra che appare strumentale e destinato con ogni probabilità a rientrare o a restare simbolico in ossequio ai voleri del “grande timoniere” della Casa delle libertà, sicuramente interessato a far passare una legge “ad personam” voluta dalla sinistra ed a togliere così credibilità e forza alle accuse che da quell’area gli vengono mosse per i tanti provvedimenti adottati dal suo governo a vantaggio proprio e di discutibili interessi. La condiscendenza della destra sul caso Sofri è una polpetta avvelenata che la sinistra non dovrebbe avere la tentazione di accettare.

Brindisi, 8 gennaio 2004

Michele DI SCHIENA

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