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Paradiso perduto

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(2 Aprile 2010) Enzo Apicella
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No al testamento biologico targato Vaticano

(5 Marzo 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.cattolicesimo-reale.it

No al testamento biologico targato Vaticano

foto: www.cattolicesimo-reale.it

E' iniziata la mobilitazione contro il ddl Calabrò, predisposto dal governo d'intesa con le gerarchie vaticane per imporre – in violazione della Costituzione - l'alimentazione e l'idratazione forzate anche a chi le rifiuta.

Un documento e un appello

La mobilitazione, più che mai indispensabile e urgente anche se la discussione del ddl, fissata a marzo, è slittata ad aprile, è condotta da molte associazioni di diverso orientamento religioso ma caratterizzate da una posizione laica e rispettosa del dettato costituzionale. Molte di esse aderiscono al Coordinamento laico nazionale nato recentemente e che invita a firmare l'appello promosso da Gilda Ferrando, Alessandro Pace, Pietro Rescigno e Stefano Rodotà contro il ddl di legge Calabrò. Il Coordinamento ha anche diffuso il 27 febbraio scorso un documento di critica del ddl Calabrò, che riporto di seguito.

Osservazioni sul progetto di legge unificato Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento” (C.2350, approvato al Senato il 26 marzo 2009)

Art. 1 – Tutela della vita e della salute

1. Le disposizioni di principio non solo sono declamatorie e visibilmente ideologiche, a volte superflue, ma soprattutto falsificano gli stessi dati giuridici.

E’ così per il riferimento agli artt. 2, 3, 13, 32 della Costituzione. Negli articoli successivi sono presenti norme in palese conflitto con tali articoli. E di essi viene data una interpretazione incompatibile con la stessa lettera della Costituzione, il cui significato in questa materia è stato chiaramente e ripetutamente messo in evidenza dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione.

Dovrebbe essere sufficiente ricordare quanto è scritto nella fondamentale sentenza n. 438 del 2008 (i cui principi sono stati ribaditi nella sentenza n. 253 del 2009), il cui punto chiave è il seguente: “la circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute”. Siamo di fronte a una decisione che segna in modo netto lo spazio del potere individuale nel governo della vita, e cosi contribuisce, in maniera decisiva, a segnare limiti e caratteri d’ogni altro potere. Vi è la constatazione, ovvia, del carattere fondamentale del diritto alla salute: ovvia, perché proprio così lo definisce, nelle sue parole iniziali, l’articolo 32 della Costituzione. Vi è la conferma, forte, della centralità e del valore fondativo del consenso informato: fondativo, perché ad esso si attribuisce la funzione di sintetizzare, e dunque di dare espressione, a diritti fondamentali della persona. Vi è l’affermazione, a un tempo confermativa e innovativa, dell’esistenza nel nostro sistema dell’autodeterminazione come autonomo diritto fondamentale: confermativa, perché l’esistenza di questo diritto poteva già essere desunta dalle molte decisioni nelle quali la Corte costituzionale lo aveva fatto emergere come implicazione necessaria, in particolare, del diritto alla libertà personale, affermato nell’articolo13; innovativa, perché l’autodeterminazione segna il punto d’approdo di un percorso interpretativo dell’articolo 32 e trova lì il suo fondamento, senza bisogno di altri riferimenti.

Muovendo da queste constatazioni, è agevole mostrare l’infondatezza dell’affermazione secondo la quale la vita umana è “indisponibile”. Che cosa vuol dire? Che non se ne può disporre verso terzi (secondo il significato corretto del termine), oppure che non si è liberi di decidere autonomamente della propria vita e della propria salute? Quest’ultima affermazione è in palese contrasto con l’ormai consolidato diritto al rifiuto e alla sospensione delle cure, quale risulta dalle norme in materia e da un giurisprudenza da tempo esplicita e costante. E’ il consenso informato il riferimento fondativo che, come ha osservato la Corte di Cassazione, “ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche eventualmente di rifiutare la terapie o di decidere di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”.

Il consenso, dunque, si pone come limite nei confronti del legislatore e del medico, conformemente a quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione, dove si afferma solennemente che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. E, muovendo dall’art. 13 della Costituzione, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 471 del 1990, ha ribadito “il valore costituzionale dell’inviolabilità della persona costruito come ‘libertà’, nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo”, sottolineando pure che il corpo non può essere considerato “avulso” dalla persona. L’inviolabilità della vita, di cui si parla nell’articolo, è appunto questo, il riconoscimento della illegittimità di imposizioni da parte di poteri esterni, dunque esattamente l’opposto di quanto dispone il testo in discussione. E’ rivelatrice, in particolare, la formulazione della lettera e), dove la formulazione dell’art. 32 è amputata proprio della sua espressione più forte e significativa, vale a dire la sottolineatura del fatto che la legge non può “in nessun caso” intervenire quando sia in causa il rispetto della persona umana. Una manipolazione censoria che la dice lunga sulle intenzioni di chi intende approvare questa legge, e che rischia di vanificare in sede interpretativa il riferimento al fatto che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario”, affermazione successivamente contraddetta in più casi. Queste considerazioni d’ordine generale sono peraltro confermate da una casistica che documenta le molte situazioni nelle quali la persona ha legittimamente rifiutato le cure, andando così consapevolmente incontro alla morte.

L’indisponibilità della vita è punto di vista che legittimamente trova posto nella discussione pubblica. Ma, nel momento in cui si vuole trasformare questa legittima posizione in una imposizione contrastante con i principi fondativi dell’ordinamento, si svelano il carattere ideologico e il fondamento autoritario della disciplina in questione.

Ambiguo e fuorviante è il successivo riferimento a “ogni forma” o “qualunque forma di eutanasia”, che è formula gravemente imprecisa, che ignora la lunga discussione scientifica che ha portato appunto alla distinzione tra le diverse situazioni riguardanti i morenti, tra le quali l’eutanasia costituisce ormai una situazione specifica e estrema. La richiesta di non essere sottoposto a terapie e trattamenti o di sospendere quelli già intrapresi non ha nulla a che vedere con l’eutanasia, vale a dire con la richiesta da parte di un malato senza speranza, afflitto da intollerabili sofferenze, di porre fine alla propria vita mediante la somministrazione di un farmaco letale. E tanto meno con il suicidio. Riguarda invece il diritto del malato di chiedere che il processo biologico proceda secondo il suo iter, riguarda il diritto di essere padroni delle tecnologie applicate alla nostra persona e non prigionieri di esse. Riguarda infine i modi in cui garantire questo diritto quando il paziente non sia più in grado di esprimere direttamente la propria volontà. In queste materie, e soprattutto in una legge, l’uso corretto delle parole è essenziale per evitare dubbi e forzature interpretative, che inevitabilmente producono conflitti.

Si deve poi osservare che:

- la lettera d) è in parte superflua, poichè l’obbligo di informazione è disciplinato dall’art. 2;

- la stessa lettera è in parte declamatoria nel suo generico riferimento all’alleanza terapeutica;

- il riferimento all’alleanza terapeutica è sostanzialmente menzognero, perché la legge in realtà fa di tutto per scalzare tale alleanza nel momento in cui pone ripetutamente il medico di fronte al rischio di responsabilità penali (es. art. 1 c), art. 3. 4, art. 6.4, art. 7.2). Per reazione il medico sarà indotto a tenere comportamenti “difensivi”, dettati dall’esigenza di porsi al riparo da responsabilità, piuttosto che orientati all’autentico “bene del paziente”;

- con la lettera f) si intende introdurre il divieto di accanimento terapeutico. Tuttavia il testo è ambiguo, parla di “pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente”. In tali situazioni si “garantisce” (testualmente, la “presente legge” garantisce) che “il medico debba astenersi” da trattamenti “straordinari”, “sproporzionati”, “non efficaci”, “non tecnicamente adeguati” (cosa che non dovrebbe avvenire mai, non solo nel fine vita) “rispetto alle condizioni cliniche del paziente” o agli “obiettivi di cura” (quali, visto che il paziente sta per morire?).

2.Un comma declamatorio e menzognero. In che modo la legge garantisce le proclamate “politiche sociali ed economiche”? Dov’è la copertura di spesa?

Art. 2 - Consenso informato

Questo articolo disciplina una questione fondamentale, che dovrebbe comunque essere affrontata avendo come necessario punto di riferimento l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (che ha ormai lo stesso valore giuridico dei Trattati) e tenendo conto che l’art. 26 della Convenzione di Oviedo ha escluso che i diritti possano essere limitati con riferimento alla salute o alla morale (art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), limitando il riferimento alla salute a quella “pubblica”.

Il tema, comunque, è affrontato in modo assai discutibile: i) è eccessivo richiedere sempre ed esclusivamente la forma scritta; ii) la disciplina del consenso nell’interesse di minori e incapaci dovrebbe essere riscritta tenendo conto della Convenzione di Oviedo ed anche della nostra legge sulla sperimentazione clinica (n. 211/2003). Potrebbe essere una grande occasione dato che la legislazione speciale in materia sanitaria segue regole non coerenti tra di loro, che dovrebbero essere riportate a principi unitari a garanzia dell’interesse del minore e dell’incapace, della salvaguardia degli spazi di autonomia che essi possiedono, a tutela anche della posizione del medico (il trattamento in assenza di consenso da parte dei soggetti legittimati è fonte di responsabilità); iii) sono poco chiare le norme sull’urgenza terapeutica che giustifica il trattamento sanitario su paziente incapace a prescindere dal consenso, sì che parrebbe che, in situazioni del genere, il medico debba comunque agire pro life; iiii) resta in ombra la questione principale: il consenso come processo comunicativo, mentre viene enfatizzato il procedimento (burocratico) di consenso informato - modulo, sottoscrizione, ecc. - vale a dire il lato peggiore di questo tipo di attività.

Più analiticamente:

1. “Ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso…” Non si specifica se può anche essere rifiutato, il che, dato che all’art. 1 la vita viene definita diritto “indisponibile” non è de plano desumibile.

2. Sarebbe il caso di scriverlo più correttamente, senza ricorrere a inutili ripetizioni tra consenso “informato” e “informazioni”;

3. La formulazione è involuta. Parrebbe richiesta sempre la forma scritta (“documento di consenso informato, firmato dal paziente”). Anche per la visita del medico di famiglia, per l’iniezione fatta dall’infermiere, per la pulizia dei denti? Parrebbe di sì: si dice che“ogni trattamento sanitario è attivato”, quindi anche i più banali. Si veda anche al n. 6 per il consenso prestato dal tutore;

5. Il consenso può essere sempre revocato, anche parzialmente. Si tratta di una indicazione che può essere valorizzata in via interpretativa per sostenere che la revoca del consenso da parte del paziente capace giustifica anche la sospensione di terapie o di ricorso a tecnologie della sopravvivenza. Siamo di fronte ad una interpretazione costituzionalmente orientata alla luce delle pronunce già ricordate della Corte costituzionale (n. 438/2008 e n. 253/2009) e della Corte di Cassazione (Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748). Ma come si coordina con l’art. 1 c) che vieta al medico ogni forma di eutanasia?

6. Inabilitato e minore emancipato dovrebbero poter dare personalmente il consenso. Si dice che la decisione dei sostituti (tutore, curatore, amministratore di sostegno) deve essere adottata avendo come scopo esclusivo la tutela della salute e della vita dell’incapace. E’ limitativo: la Convenzione di Oviedo (art. 6) dispone che il rappresentante deve agire per il "diretto beneficio" dell’incapace, il che vuol dire agire nel rispetto della personalità dell’incapace, della salute, della dignità, del suo benessere.

La norma poi è lacunosa. Si dovrebbero prevedere (v. Convenzione di Oviedo, art. 6; legge n. 211/2003 sulla sperimentazione clinica): l’informazione diretta all’incapace tenuto conto delle sue capacità di discernimento; l’esigenza di raccogliere nei limiti del possibile il suo consenso (v. l. n. 833/1978).; l’eventualità che l’incapace rifiuti il trattamento consentito invece dal rappresentante; l’eventualità di ricorso al giudice, anche nel caso in cui il rappresentante rifiuti un trattamento che il medico giudica invece nell’interesse dell’incapace. Il chiarimento è particolarmente necessario per l’amministratore di sostegno, poiché il richiamo ai limiti di cui all'art. 3 della legge fa sin da subito gravare anche su questi soggetti (oltre che su tutori ecc.) i limiti di decisione che la legge impone ai pazienti, in contrasto con le decisioni già assunte da taluni giudici tutelari (ad es. Modena e Prato, ma non solo). Chiara è la volontà di limitare anche questa applicazione della legge n. 6/2004.

7. Ci si limita a dire che i genitori o il tutore danno il consenso dopo aver “attentamente ascoltato” le richieste e i desideri del minore. In modo molto più articolato si potrebbe prevedere che sia il medico ad informare il minore (tenuto conto del suo livello di maturità e di comprensione), che si debba tener conto della sua opinione, ecc.

8. Ripetitivo.

9. Considera il caso in cui sempre l’incapace di intendere e di volere sia in pericolo “di vita” per il verificarsi “di una grave complicanza o di un evento acuto” : quali sono la portata e il significato di questa formulazione?. L’urgenza terapeutica non dovrebbe coprire ogni situazione in cui la persona non in grado di esprimere il consenso sia in una situazione di pericolo non solo per la vita, ma anche per la salute (es. rischio di perdere una gamba) a prescindere dal fatto che sia determinata da un evento “acuto” o di altra natura? Qui probabilmente si vuole accentuare il fatto che vi sono situazioni (non necessariamente di urgenza) in cui il consenso non vale, neppure quello prestato dai sostituti, e che il medico deve comunque agire pro life. Proprio questo il punto. Già ora, ove si presenti una fase acuta non prevista, molti medici ritengono che il soggetto non sia in grado di esprimere una volontà consapevole. La norma, tuttavia, è mal formulata. Quasi sempre si presenta una fase acuta e, letteralmente, la norma sembra dire che se anche il paziente avesse fatto in precedenza, in vista di ciò, una precisa scelta tra terapie pur finalizzate a salvargli la vita, la sua volontà, in tali casi, non varrebbe comunque nulla. E se avesse nominato un amministratore di sostegno?

Art. 3 - Contenuto e limiti della DAT

L’art. 3 è disposizione contraddittoria e menzognera in quanto si presenta come finalizzata a disciplinare il contenuto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, ma in realtà le priva di qualunque valore. La rinuncia ai trattamenti sanitari può valere (solo) per quelli sproporzionati o sperimentali; non può mai riguardare alimentazione ed idratazione artificiale; la dichiarazione assume efficacia solo quando il soggetto si trovi “nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento”. Perché permanente? Le dichiarazioni dovrebbero valere anche in caso di incapacità reversibile. A ciò va aggiunto il fatto che, secondo quanto dispone l’ art. 4.6, la dichiarazione non si applica proprio quando dovrebbe servire, vale a dire in situazioni di urgenza e di pericolo di vita. Quanto alla loro efficacia, poi, ci si limita a dire che vengono prese in considerazione dal medico che annota nella cartella clinica le ragioni per cui decide di seguirle o meno (art. 7.1), lasciando intendere che il suo è un potere totalmente discrezionale. E si ribadisce che il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente. Le “indicazioni” sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, “in applicazione del principio di inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo il principio di precauzione, proporzionalità e prudenza” (art. 7.2).

In tal modo diventa impossibile perseguire lo scopo proprio delle dichiarazioni, vale a dire quello di rendere possibile l’esercizio dell’autodeterminazione anche a seguito alla perdita della coscienza. Alla persona viene tolto il diritto di decidere delle tecnologie mediche che lo tengono in vita, la si obbliga a restare prigioniera di esse.

In modo più analitico:

1. “Il dichiarante esprime il proprio orientamento”. Quel che la persona dichiara non è un “orientamento”, ma è la propria “volontà” in ordine ai trattamenti sanitari cui acconsente o che rifiuta in previsione della propria futura incapacità. E' chiaro che l'utilizzo del termine "orientamento" serve a svilire la presa di posizione del paziente: da artefice del proprio destino a mero testimone di un punto di vista che si può superare. Questo comma dovrebbe comunque essere riscritto in un italiano decente.

2. Ripete che il soggetto “dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari”, ponendo ulteriori limiti “purché in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal Codice di Deontologia medica”. Va ricordato che questo è un codice di autoregolamentazione dell’ordine dei medici, che vincola gli appartenenti alla professione, ma non i cittadini, come già è stato chiarito in via giurisprudenziale. Si pone comunque il problema se la norma attribuisca forza di legge, su questo punto, al Codice deontologico mediante un rinvio formale. Se si, viene ad aprirsi un altro problema, posto che il Codice è chiaramente interpretabile, in alcuni suoi luoghi, nel senso che il paziente può rifiutare il trattamento salvavita e la nutrizione/idratazione artificiale (vedi in particolare l'art. 35, che non consente "alcun trattamento medico" - dunque anche salvavita - "contro la volontà della persona") e l'art. 53 (dove si stabilisce che in presenza di un rifiuto volontario e consapevole di nutrirsi "il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale”).

3. E’ inutile la norma secondo cui “nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia (...) ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale”. Inutile, perché per il trattamento sproporzionato il medico si deve astenere ex art. 1 f). Se, invece, il trattamento è sperimentale, il consenso è richiesto dalla l. 211/2003. Allora, se la rinuncia che può essere “esplicitata” è solo quella a questi trattamenti, non solo il n. 3 è superfluo, ma il contenuto delle dichiarazioni è ben poca cosa. Pensiamo ai Testimoni di Geova: non si ammette il rifiuto della trasfusione (che non è né sproporzionata, né sperimentale), con evidente lesione di diritti fondamentali (sulla legittimità del rifiuto di trasfusioni v. Cass. 15 settembre 2008, n. 23676; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4211; nel senso che la persona possa rifiutare anche trattamenti di sostegno vitale v. Corte europea diritti dell’uomo EDU, Pretty v. UK 29.4.2002; Testimoni di Geova di Mosca v. Russia 10.6.2010).

4. Nella dichiarazione anticipata di trattamento non possono essere inserite “indicazioni”(?) che “integrino le fattispecie di cui agli artt. 575, 579, 580 c.p.” Posto una “indicazione” non è idonea ad integrare le fattispecie di cui agli articoli citati (omicidio, omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio), allora o il n. 4 è del tutto irrilevante, o vuol dire altra cosa, probabilmente che non si possono esprimere volontà la cui attuazione richieda che terzi tengano condotte idonee ad integrare ecc..Qui si torna a minacciare il medico di sanzioni penali, con buona pace dell’alleanza terapeutica. E’ vero che poi queste norme si prestano ad essere interpretate in modo meno rigido, ma è anche vero che il disegno di legge dà un’indicazione: che la tutela della vita comunque prevale sull’autonomia del paziente e la limita. Se si vuole dire che il paziente non può rifiutare un trattamento salvavita anche quando lo ritenga invasivo della propria dignità, vi è una evidente violazione dell'art. 32, comma 2, della Costituzione, che invece ammette questa eventualità ed è di rango più elevato rispetto al codice penale.

5. Da respingere fermamente. Qui l’ideologia e l’autoritarismo si esprimono nel modo più netto e visibile, in pieno contrasto con il sapere medico e con le inequivocabili indicazioni della Corte costituzionale. Si dispone che, poiché idratazione e alimentazione artificiali non sono considerati terapie, ma semplici forme di sostegno vitale, finalizzate ad alleviare le sofferenze sino alla fine della vita, non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata. In tal modo esse diventano forme di sostegno “obbligatorie per legge”, nonostante non siano sostenute da alcun interesse generale, come invece, vorrebbe l’art. 32 della Costituzione (Corte costituzionale n. 307/ 1990; n. 218/1994; n. 258/ 1994; n. 188/1996) e nonostante il legislatore non possa stabilire quale sia il trattamento appropriato e le terapie ammesse e a quali condizioni. Viste le premesse, è irragionevole il richiamo alla sola idratazione-alimentazione artificiale: seguendo la stessa logica il legislatore dovrebbe esprimersi anche sulla respirazione artificiale, salvo non ritenga che il divieto di rinunciarvi sia già ricavabile in via sistematica da altri luoghi della legge. In ogni caso, anche questo divieto è sicuramente illegittimo, in contrasto con gli artt. 13 e 32 della Costituzione. E' chiaro che la menzione della sola idratazione rivela l'intento del legislatore: reagire autoritariamente dopo la conclusione del caso Englaro.

Testualmente, la Corte costituzionale ha stabilito che “poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione” (Corte costituzionale n. 282/2002 e n. 151/2009). Va poi segnalato che, anche a considerare idratazione e alimentazione come non terapie, la necessità del consenso sussiste egualmente trattandosi di trattamenti sanitari, invasivi della sfera fisica (art. 13 Cost. e 32, comma 2, della Costituzione). Deve essere tenuto ben presente che la Costituzione, all'art. 32, parla di trattamenti sanitari in genere, non di terapie in senso stretto. Che si tratti di trattamenti sanitari lo affermano tutte le società scientifiche e lo dimostra il fatto, tante volte ricordato, che se il posizionamento dei sondini venisse effettuato da un non medico, l'autore di ciò sarebbe passibile di pena per esercizio abusivo della professione medica; un reato punito troppo blandamente in Italia. ma pur sempre un reato.

La sentenza n. 282/2002 è di grande chiarezza. "La pratica terapeutica si pone, come già si é accennato, all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica, diritto questo che l’art. 32, comma 2, secondo periodo, della Costituzione pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari che possono essere imposti per legge come obbligatori a tutela della salute pubblica. Questi diritti, e il confine fra i medesimi, devono sempre essere rispettati, e a presidiarne l’osservanza in concreto valgono gli ordinari rimedi apprestati dall’ordinamento, nonchè i poteri di vigilanza sull’osservanza delle regole di deontologia professionale, attribuiti agli organi della professione. Salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali, non é, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni". E, a loro volta, le sentenze n. 138 e n. 151 del 2009, riprendendo quanto èra già scritto nella sentenza n.282/2002, hanno ribadito i limiti della discrezionalità legislativa. Di nuovo le parole della Corte sono di grande limpidezza: “la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica; sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”.

Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire che cosa sia un trattamento terapeutico, e del legislatore-medico, che vuol stabilire se e come curare, vengono esplicitamente dichiarate illegittime. E, al tempo stesso, la definizione dello spazio proprio delle acquisizioni scientifiche e dell’autonomia del medico viene affidata al consenso della persona, ribadendosi così il ruolo ineliminabile della volontà individuale.

Una distorsione grave si ritrova poi nel rinvio alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006, il cui scopo è quello di garantire ai disabili la possibilità di esercizio di diritti fondamentali, compresa l’autodeterminazione, anche attraverso l’accesso a tutte le forme di cura. Altrettanto grave è la distorsione determinata dall’assimilazione delle persone disabili a quelle in stato vegetativo permanente.

Il tono stentoreo dell'ultimo periodo del n. 5 del ddl sembra escludere ogni possibilità di interpretazione conforme a Costituzione, ribadendo così l’illegittimità costituzionale del testo. E davvero non ha bisogno di commenti la statuizione che ammette la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione forzata quando “le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo”.

6. Si vedano i rilievi formulati all’inizio delle osservazioni su questo articolo.

Art. 4 – Forma e durata della dichiarazione anticipata di trattamento

Orpelli formali discutibili, e persino rischiosi. Può essere ragionevole il riferimento alla forma scritta, ma questa non può essere considerato l’unica forma di espressione della volontà. Basta considerare la legislazione tedesca e quella inglese, che ammettono forme di ricostruzione della volontà dell’interessato. Tra l’altro, il formalismo esasperato può produrre effetti contrastanti con l’asserita tutela della vita. Basta considerare il n. 4, dove si stabilisce che la revoca “deve essere sottoscritta dallo stesso interessato”. Che cosa accade se quest’ultimo, in modo pubblico e clamoroso, ha dichiarato in maniera inequivocabile di non ritenersi più vincolato alla sue precedente dichiarazione? Si continuerà a far riferimento al precedente testo scritto, omettendo i trattamenti lì rifiutati dall’interessato?

La verità è che la cieca esasperazione formalistica discende da un equivoco culturale, dall’assimilazione tra gli atti di autonomia privata e quelli di autodeterminazione (l’esempio, mille volte ripetuto, che non si può ammettere che si debba ricorrere alla forma scritta per la vendità di un motorino e non per le decisioni di fine vita). Ma il formalismo degli atti patrimoniali discende dal fatto che questi riguardano rapporti con gli altri e la certezza nella circolazione giuridica dei beni. Due condizioni che non sono presenti nell’esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione, come dimostra la stessa base giuridica di riferimento in questa materia, costituita appunto dalle norme su libertà, salute e dignità, come risulta dalle sentenze delle giurisdizioni nazionali e dalla lunga serie di decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’impossibilità di assimilare i provvedimenti riguardanti la persona a quelli relativi ai beni economici, inoltre, è chiaramente affermata dall Corte costituzionale con la sentenza n. 471 del 1990.

Si afferma, inoltre, che la dichiarazione non si applica in condizioni di “urgenza”, o quando il soggetto versa in “pericolo di vita”. Al contrario, essa dovrebbe proprio servire a supplire all’impossibilità di esprimere le proprie volontà in situazioni di questo genere (ad esempio, Testimone di Geova che arriva incosciente al pronto soccorso dopo un incidente). Altrimenti sono prive di significato.

Art. 5 – Assistenza ai soggetti in stato vegetativo

Di nuovo, una dichiarazione sostanzialmente vana in assenza di qualsiasi copertura di spesa. O dà per scontato che siano le regioni ad occuparsene con fondi propri?

Art. 6 – Fiduciario

La figura del fiduciario è costruita sulla falsariga dal mandato. Il “fiduciario accetta la nomina sottoscrivendo la dichiarazione”. Assume una serie di obblighi: agire nell’esclusivo interesse del paziente, operare secondo le intenzioni “esplicitate” nella dichiarazione, vigilare che siano somministrate le migliori terapie palliative, che non vi sia accanimento terapeutico, che “non si determinino a carico del paziente situazioni che integrino le fattispecie di cui agli artt. 575, 579, 580 c.p.” (di nuovo lo spauracchio!). Quanto ai suoi compiti, si dice che è “l’unico soggetto autorizzato ad interagire (?) con il medico”. In tal modo il fiduciario rischia di divenire una figura pressoché inutile: si tratta di un privato che deve in pratica accertarsi che i soggetti coinvolti facciano tutto ciò che la legge impone (!), posto che è vietato rifiutare le cure salvavita ed è espresso a chiare lettere come deve operare il medico in caso di fase acuta della malattia. Una irragionevolezza intrinseca della legge che potrebbe essere impugnata davanti alla Corte costituzionale.

Sarebbe piuttosto necessario una definizione chiara dei rapporti tra fiduciario ed eventuali tutori e amministratori di sostegno, nominati dopo la dichiarazione o, eventualmente, prima di essa. Non è escluso, infatti, che il beneficiario di amministrazione di sostegno possa fare una dichiarazione anticipata. Occorre prevenire possibili conflitti di competenza, anche se, in realtà, visti i vincoli di legge, questi soggetti hanno ben pochi spazi di manovra.

Il 5.bis, inoltre, stabilisce che in assenza del fiduciario i suoi compiti sono “adempiuti dai familiari quali indicati dal codice civile, libro II, titolo II, capi I e II”. Davvero senza commenti. Il riferimento è alle regole sulle successioni legittime, e quindi ai parenti entro il 6 grado, parenti così lontani che magari nemmeno conoscono il paziente oppure possono trovarsi in conflitto d’interesse. Sono invece, ideologicamente, esclusi i conviventi, che meglio potrebbero interpretare la sua volontà. E’ ben noto, peraltro, che i parenti in quanto tali non sono legittimati ad esprimere il consenso, potendo al massimo essere considerati come testimoni privilegia della volontà dell’interessato.

Art. 7 – Ruolo del medico

In buona sostanza si dice esplicitamente che le dichiarazioni anticipate di trattamento non hanno alcun valore, in quanto:

a) il medico può disattenderle senza alcun vincolo che non sia quello formale di annotare nella cartella clinica le ragioni per le quali ritiene di seguirle o meno.

b) il medico deve disattenderle quando si tratti di “indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente”. Le “indicazioni” sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, “in applicazione del principio di inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo il principio di precauzione, proporzionalità e prudenza” (art. 7.2).

Qui si nega il rispetto della libertà, anche religiosa, e si torna indietro rispetto alla situazione attuale (si veda Cassazione civile n. 23676/08 sui testimoni di Geova).

c) Ulteriore complicazione è prevista per il caso di contrasto tra medico e fiduciario, in quanto la questione viene sottoposta ad un collegio medico, la cui decisione è vincolante per il medico, il quale tuttavia non è tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue “convinzioni di carattere scientifico e deontologico”. E rimane comunque fermo il principio della inviolabilitàò e indisponibilità della vita.

Anche qualora si volesse adottare una linea prudente (come ha fatto il legislatore francese) ed escludere che la direttive abbiano carattere vincolante (come, invece, ha stabilito il legislatore tedesco), ad esempio riconoscendo ad esse un valore fortemente orientativo, consentendo la deroga solo in certe ipotesi, il contrasto con la linea costituzionale, con il diritto fondamentale all’autodeterminazione rimarrebbe in tutta la sua gravità.

Dall’insieme di queste osservazioni risulta chiaro l’intento della legge, che intende proprio cancellare diritti fondamentali già pienamente riconosciuti alla persona. Inoltre, le procedure previste per i casi in cui il medico decida di non seguire le indicazioni della persona sono tali da aprire la via a contenziosi infiniti, attribuendo al giudice la parola definitiva in materia.

Risulta, infine, contraddetta una delle finalità che hanno mosso all’approvazione di questo tipo di legge. L’esclusione del valore vincolante delle dichiarazioni e le procedure previste in caso di conflitti, infatti, aprono la strada ad una generalizzata giurisdizionalizzazione della materia-

Art. 8 - Autorizzazione giudiziaria

L’autorizzazione del giudice tutelare prevista è in due casi:

a) assenza del fiduciario, contrasto tra soggetti parimenti legittimati

b) inadempimento o inerzia da parte dei soggetti legittimati

In questi casi, si aggiunge, il medico è tenuto a dare immediata segnalazione al pubblico ministero. Perché? E' un punto francamente incomprensibile fuori di una logica, di nuovo autoritaria e “minacciosa”.

I primi cento firmatari dell’appello e del documento Niccolò Abriani, Francesco Adornato, Rosalba Alessi Guido Alpa, Gaetano Azzariti, Maria Vittoria Ballestrero, Angelo Barba, Andrea Barenghi, Alberto Maria Benedetti, Francesco Bilotta, Umberto Breccia, Carmelita Camardi, Enrico Camilleri, Cristina Campiglio, Valeria Caredda, Donato Carusi, Bruno Celano, Paolo Cendon, Maddalena Cinque, Emanuele Conte, Ines Corti, Marcello D’Agostino Elena D’Alessandro, Giovanni D’Amico, Andrea D’Angelo, Gisella De Simone, Raffaella De Matteis, Pasquale De Sena, Enrico Diciotti, Guerino D’Ignazio, Vincenzo Durante, Ida Fazio, Angelo Federico, Gilda Ferrando, Luigi Ferrajoli, Giovanni Figà Talamanca, Marcella Fortino, Alfredo Galasso, Giovanni Galasso, Luigi Gaudino, Lucilla Gatt, Francesca Giardina, Andrea Giussani, Carlo Alberto Graziani, Riccardo Guastini, Antonio Iannarelli, Antonia Iraci, Leonardo Lenti, Alberto Lucarelli, Manuela Mantovani, Maria Rosaria Marella, Costanza Margiotta, Giovanni Marini, Marisaria Maugeri, Ugo Mattei, Cosimo Mazzoni, Davide Messinetti, Pier Giuseppe Monateri, Lalage Mormile, Luca Nanni, Marisa Meli, Salvatore Nicosia, Walter Nocito, Luca Nivarra, Andrea Orestano, Alessandro Pace, Andrea Paciello, Elisabetta Palermo, Pina Palmeri, Giorgio Pino, Armando Plaia, Elena Parioti, Giovanni Passagnoli, Giuseppina Pisciotta, Paolo Pollice, Roberto Pucella, Renato Pescara, Mariassunta Piccinini, Eligio Resta, Giorgio Resta, Pietro Rescigno, Maria Teresa Rodriguez, Enzo Roppo, Ugo Salanitro, Vittorio Santoro, Giovanna Savorani, Claudio Scognamiglio, Rosa Serio, Paolo Spada, Mario Trimarchi, Giuseppe Tucci Angelo Venchiarutti, Maria Carmela Venuti, Paolo Veronesi, Giuseppe Vettori, Filippo Viglione, Vittorio Villa, Nicola Vizioli, Gustavo Zagrebelsky, Paolo Zatti ----------------------------------

Contro il ddl Calabrò segnalo anche un contributo musicale del sito Ballaiche, tratto da un testo in rime di Carlo Cornaglia (autore di "Berlusconeide")"

cattolicesimoreale.it

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