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Il ruolo dei comunisti e il Sindacato di Classe

(10 Marzo 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comunistiuniti.it

EDITORIALE: Il ruolo dei comunisti e il Sindacato di Classe

foto: www.comunistiuniti.it

La pesantissima crisi di sovrapproduzione che il capitalismo sta vivendo modifica tutti i tipi di relazione sindacale che abbiamo conosciuto negli ultimi anni. Le politiche della “concertazione”, iniziate nella seconda metà degli anni ‘70 e culminate negli accordi di Luglio ‘92-‘93, avevano sancito l’abbandono di una coerente difesa degli interessi delle classi lavoratrici da parte dei sindacati confederali per assumere come riferimento centrale la difesa degli interessi dell’economia capitalista che dava i primi evidenti segnali di crisi. Ora che la crisi sembra nella sua fase più virulenta, e i padroni devono invertire la progressiva caduta dei margini di profitto delle imprese, la concertazione non è più sufficiente. Il padronato accelera per risucchiare tutti i maggiori sindacati in una “cogestione” diretta dei propri interessi e per tornare a relazioni sindacali a “diritti zero” tipiche degli anni ‘50. Chi non accetta di farsi cinghia di trasmissione di questi interessi padronali è fuori da ogni tipo di rappresentatività sindacale in barba anche al dettato costituzionale. E’ questo il motivo di fondo della rottura progressiva da parte di Confindustria con tutti i settori della Cgil (prima i metalmeccanici, poi il pubblico impiego, ora anche il commercio ed il terziario) che non accettano questa gigantesca Controriforma. Questo pone i comunisti di fronte a una situazione nuova in cui i settori più importanti della Cgil si trovano nelle medesime condizioni che, nel loro piccolo, i sindacati di base vivono da anni. Una situazione in cui il tema dell’autonomia della classe lavoratrice è legato indissolubilmente al tema delle convergenze sindacali e dell’unità delle lotte. Di fronte a questa situazione perseverare nel “patriottismo di sigla” e nel frammentare le mobilitazioni dei lavoratori che resistono alla crisi e a quest’attacco padronale, significa allontanare l’obiettivo della ricostruzione di un Sindacato di Classe. Certo arrivare ad uno sciopero generale unitario che coinvolga milioni di lavoratori, che blocchi produzione e distribuzione nel nostro paese, non è la soluzione di ogni problema. Tuttavia è sicuramente un passaggio obbligato dentro cui misurare le possibilità di questo livello della ricomposizione di classe oggi e un segnale forte per ricostruire rapporti di forza conflittuali meno sfavorevoli nei confronti del padronato. Per questi motivi è fondamentale che in questa fase di scomposizione ideologica e organizzativa, si riapra li dibattito su quale tipo di sindacalismo e quale linea promuovono i comunisti all’interno delle OOSS. Non c’è dubbio che ancora oggi i sindacati sono tra i principali “organi specifici di raccoglimento delle masse lavoratrici”, per usare la terminologia di Gramsci. E da sempre l’azione organizzata nei sindacati da parte dei comunisti è considerata come essenziale per il raggiungimento dei fini del Partito.

La presenza organizzata dei comunisti di un paese nei sindacati di massa più grandi per Lenin era addirittura condizione stessa per l’accettazione nell’Internazionale. Per sgomberare il campo da confusioni, il tentativo dei comunisti di conquistarsi un’egemonia nel sindacato non era visto come mero tentativo di conquistare le “segreterie” né un escamotage solo per fare “proselitismo”. Il compito principale dell’azione sindacale dei comunisti, sempre per dirla con Gramsci, è quello “di unificare le forze del proletariato e di tutta la classe lavoratrice sopra un terreno di lotta”.

Certo vi sono condizioni particolari che portano a una frammentazione sindacale maggiore in certi paesi. In Italia anche allora l’indicazione per i comunisti era quella di essere presenti in ogni sindacato che permettesse di organizzare la lotta facendosi, all’interno, portatori della linea dell’unità sindacale nell’azione e, appena possibile, anche nell’organizzazione. Ossia, dovevano spingere dall’interno per la ricomposizione della classe sul terreno della lotta e per la riunificazione delle componenti sindacali dentro quello più rappresentativo nella classe. Non veniva proposto di uscire da un sindacato e sceglierne uno più “combattivo”, ma di organizzare i comunisti presenti in tutti i sindacati secondo principi condivisi. Tante organizzazioni, una sola linea verso un unico Sindacato di Classe. Per loro stessa natura d’altronde le organizzazioni sindacali non sono lo strumento rivoluzionario della classe. Oggetto della lotta sindacale non è il potere politico, ma la contrattazione della forza-lavoro a condizioni meno sfavorevoli per i salariati. Diritti e salario fanno parte di questo livello dello scontro di classe che però non può mettere in discussione l’esistenza del sistema capitalistico. D’altra parte non è nemmeno cosa da poco, perché nelle fasi come questa di duro attacco padronale e reazionario l’azione sindacale è un formidabile strumento di difesa e di accumulo delle forze nella classe lavoratrice. La burocrazia che si forma nei sindacati, poi, da sempre tende a muoversi come un vero “partito” e a contrastare qualsiasi spinta porti al protagonismo diretto dei lavoratori. Al contrario, uno degli obiettivi principali del movimento comunista è che questo contenimento delle spinte autonome della classe “sfugga di mano” fino a favorire la costruzione parallela di istituti proletari direttamente nelle mani dei lavoratori in lotta e embrioni di una futura “democrazia operaia” (ad es., i vecchi Consigli, le assemblee autonome o i movimenti autoconvocati). Solo attraverso questo percorso, i lavoratori riescono a imporre piattaforme di lotta anticapitaliste che unifichino il fronte di resistenza al di là delle divisioni sindacali. E per raggiungere questo obiettivo i comunisti devono dotarsi di una linea e di strumenti politici comuni. È contraddittorio porsi il problema del “sindacato di classe” senza porsi realisticamente da questo punto di osservazione. Anche perché quando una violenta crisi mette in discussione le condizioni basilari di vita e di lavoro di milioni di persone, non basta affidarsi solo al sindacato o alla sola lotta in difesa della propria esistenza. Anche i margini per ottenere una mera “redistribuzione” sono ridotti. Nell’epoca della crisi del capitalismo all’ordine del giorno è un’alternativa e una trasformazione radicale del sistema economico-sociale o ci sarà “la comune rovina delle classi in lotta”. La mancanza del partito dei comunisti ovviamente complica maledettamente la questione. Ma è anche il dato reale da cui lucidamente partire. Non si tratta affatto di costruire un sindacato di comunisti o di rivoluzionari. Il tema dell’organizzazione sindacale dei lavoratori e dell’organizzazione delle loro espressioni più avanzate si pone su basi diverse da quello della costruzione della loro avanguardia politica. Il terreno sindacale è il primo su cui un lavoratore sente il bisogno di organizzarsi e, dunque, non può funzionare su base ideologica. I comunisti possono dirigerlo soltanto sulla base delle scelte e delle proposte che essi elaborano e propongono agli iscritti del sindacato, e alla massa dei lavoratori tutta, e su quelle ne conquistano e ne conservano la fiducia. Una teoria rivoluzionaria è nulla se non serve a meglio organizzare l’avanguardia della classe che è il soggetto reale di cui il partito e il sindacato devono rappresentare due pilastri fondamentali nella lotta contro il capitalismo. Per i comunisti, allora, “costituente comunista” e “sindacato di classe” sono due parti dello stesso processo che ha per oggetto la riorganizzazione della classe e la creazione di un vasto blocco sociale anticapitalista. In gioco c’É la riorganizzazione del movimento operaio e i suoi destini storici, la capacità di contrastare e rovesciare il capitalismo. C’è la prospettiva del potere e del socialismo nel XXI secolo.

L'Unità dei comunisti - 8 marzo 2011

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