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150° anniversario dell'unità d'Italia

150° anniversario dell'unità d'Italia

(19 Febbraio 2011) Enzo Apicella
Si festeggia tra le polemiche il 150° anniversario dell'unità dell'Italia

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Nostra patria è il mondo intero

(11 Marzo 2011)


Soldati e bandiere. I nazionalisti di ogni dove fanno festa con divise e vessilli: cambiano fogge e colori, ma la musica è sempre la stessa. Quella delle marcette che accompagnano gli assassini di professione.
I soldati fanno le guerre, ammazzano, incendiano, distruggono, stuprano.
Le bandiere fanno sembrare belli e sacri i massacri. I militari che ammazzano i bambini in Afganistan – nove solo la scorsa settimana – sono trattati da eroi, chi brucia il tricolore, perché vorrebbe un’umanità senza frontiere, rischia due anni di galera.

Quanti uomini, donne e bambini sono morti per spostare un confine, per piazzare un po’ più in là una bandiera, perché uno Stato diventasse più grande? I contadini meridionali che salutarono Garibaldi sperando in un domani migliore scoprirono presto il loro inganno. La loro rivolta contro tasse, coscrizione obbligatoria, razzismo venne repressa in un bagno di sangue.
La nazione, la patria, la bandiera sono le favole tristi che gli Stati raccontano quando mandano qualcuno ad ammazzare e a morire. Magari per la pace. O l’umanità.
Negli anni Trenta le truppe italiane massacrarono centomila libici (su ottocentomila abitanti) in nome della grandezza e dell’impero. Oggi si fa la guerra e la si chiama pace.
Gli accordi con la Libia sottoscritti dai governi italiani, sinistra e destra unite per un mondo peggiore, sono stati la condanna a morte, tortura, galera e stupro per migliaia di immigrati, profughi e richiedenti asilo.
Il raiss di Tripoli è stato accolto, riverito, baciato e lautamente pagato per i suoi servizi.
Uno sporco lavoro appaltato ad una ditta specializzata. In violenze e torture. Da sempre la Libia è un inferno per chi vi giunge da sud: tra trafficanti d’uomini, galere infami, botte e ricatti molti non ce la fanno. I corpi di chi viene abbandonato nel deserto e quelli inghiottiti dal mare sono la silente testimonianza di una strage programmata a Roma ed eseguita a Tripoli.
Un crimine contro l’umanità, perpetrato nel silenzio dei governi – francesi ed inglesi in testa - che oggi vorrebbero bombardare la Libia per cacciare Gheddafi. Il governo italiano tentenna solo perché aspetta di salire sul carro del vincitore. A nessuno importerebbe nulla degli insorti della Cirenaica, se non stessero seduti sopra milioni di barili di petrolio.

Lo Stato italiano compie 150 anni e fa festa. Il governo festeggia con ben 10 parate militari nelle strade della prima capitale d’Italia.
Festeggia un paese in guerra. Quelle di ieri e quelle di oggi. Chi sa che nel Forte di Fenestrelle migliaia di prigionieri di guerra borbonici vennero fatti morire di fame e di stenti?
Seicentomila contadini ed operai del nord e del sud morirono per spostare più ad est i confini del regno, perché una bandiera diversa sventolasse sugli edifici pubblici. Cosa ne hanno guadagnato i poveracci di Trento, Trieste, Gorizia? Forse i padroni sono diventati meno padroni, c’è stata distribuzione delle ricchezze, giustizia sociale? Nulla cambia ogni volta che si sposta una frontiera.
Ma i tricolori garriscono spavaldi sulle tombe di chi è morto senza un perché.

L’Italia si è fatta – e si continua a fare – con il sangue degli “italiani”.
Con il sangue della povera gente. La povera gente ha la stessa faccia in ogni dove, perché ovunque – qualunque sia la bandiera, i padroni lucrano sulle nostre vite, rubandocele pezzo a pezzo. Chi vuole un mondo diverso, senza sfruttati né sfruttatori, non vuole frontiere, Stati, bandiere, eserciti.

Ricordate le proteste della Confindustria all’annuncio della festività del 17 marzo? Dopo aver gridato che il governo li mandava sul lastrico i padroni hanno cessato le ostilità. Che siano stati pervasi da improvviso furore patriottico? Che i padroncini della bassa padana abbiano rinunciato al sole delle alpi?
Ma figurarsi! La spiegazione è banale. Chi credete che paghi la “festa” del 17 marzo? I lavoratori ovviamente!
Nel 2011 la festività soppressa del 4 novembre non verrà pagata come di consueto, perché i soldi del 4 novembre serviranno a coprire il 17 marzo.
Così tra una fanfara ed un alzabandiera ci rimettiamo una giornata di stipendio.
Una ragione in più per sostenere l’internazionalismo contro la retorica patriottica di si arricchisce con le guerre e con il nostro lavoro.




Mercoledì 16 marzo
alle 21 in corso Palermo 46, Torino
L’altro risorgimento. Socialisti, federalisti, libertari, contadini ribelli del sud.
Interverrà Roberto Prato.

Federazione Anarchica Torinese – FAI

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