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    La Spagna tortura: la testimonianza di Beatriz Etxebarria

    (14 Marzo 2011)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

    La Spagna tortura: la testimonianza di Beatriz Etxebarria

    foto: www.radiocittaperta.it

    Fonte: Gara
    Verso le 4 del mattino del primo marzo 2011 sfondano la porta. Mi prendono per i capelli e mi trascinano in salone. Sono in reggiseno e non mi lasciano vestire durante la perquisizione. Nella sala mi bloccano con violenza e cercano di mettermi le manette. Ma si arrabbiano perché sono troppo piccole. Mentre sono seduta sul divano mi dicono “Vedrai i cinque giorni che passerai!”.
    Mi viene la nausea durante la perquisizione del ripostiglio. Mi stringono forte sul braccio, mi lasciano dei segni. Mi mettono manette di corda e me le stringono sempre di più.
    Mentre usciamo di casa mi minacciano: mi dicono di non guardare e di non parlare con il mio compagno. Mi portano dove si trovava l’auto e mi proibiscono di assistere alla perquisizione.
    Mi portano dal medico forense di Bilbao: mi visitano attentamente: ho segni sui polsi per le manette, le vene gonfie e qualche abrasione. Le braccia rosse, per il modo in cui mi tenevano, e rigide.
    Mi fanno salire sul Patrol (l'automezzo in dotazione alla Guardia Civil). Mi obbligano a chiudere gli occhi e me li chiudono loro con una mano. Ascolto che dicono che devono incontrarsi con un’altra auto.
    Si fermano. Un Guardia Civil che si fa chiamare “el Comisario” viene a prendermi e cambiamo d’auto. Quella di adesso non è un Patrol, è un’auto normale per lo spazio e l’altezza che percepisco entrando. El Comisario inizia a gridarmi nell’orecchio e a minacciarmi: “Sono militare e sono addestrato ad uccidere”. Mi dice che ho due opzioni: parlare subito, o no. Noto come prendono una borsa e me la mettono sulle mani. Durante il viaggio verso Madrid mi danno colpi e schiaffi sulla testa e proferiscono continue minacce. Mi dicono: “ora ci fermiamo e ti lascio nuda, ti getto nella neve e ti apro come un canale”. El Comisario si toglie la giacca e inizia a strusciarsi sul mio corpo. L’altro poliziotto che stava al suo fianco “calma” El Comisario ma mi minaccia anche lui: mi applicano per due volte la “busta” (viene collocata una busta di plastica sulla testa della vittima chiusa attorno al collo, per provocare l'asfissia) durante il tragitto verso Madrid.
    Nel commissariato c’erano diverse stanze: in una si sentivano le grida degli altri arrestati ed un’altra che stava più sotto, che mi dava l’impressione di essere isolata. Là il trattamento era ancora peggiore. La prima la chiamerò la “stanza dura” e l’altra “la stanza molto dura”.
    Continuano le minacce e El Comisario mi mette in una cella e mi dice di pensare bene cosa voglio fare. Mi prendono dalla cella e mi portano dal forense.
    Sono le 20.30 di martedì. Dico al medico che sono sottoposta a torture. Mi riportano in cella.
    Mi portano nella "stanza dura”. Là sentivo le grida degli arrestati/e. Mi fanno sedere su una sedia e mi bagnano le mani, mentre ascolto rumori di qualcosa che sembrano elettrodi. Anche quando mi trovavo in cella sentivo questi stessi rumori. Mi dicono che devo parlare e iniziano a togliermi i vestiti lasciandomi completamente nuda. Quando sono nuda mi gettano acqua fredda addosso. Mi applicano per tre volte consecutive la “busta”. Minacciano di farmi la “bañera” (immergere ripetutamente la testa della vittima in una vasca piena d’acqua, fino a provocare l'asfissia.). Sempre nuda, mi fanno mettere a quattro zampe su una specie di sgabello. Mi cospargono di vaselina e mi inseriscono per un pò un oggetto nella vagina. Continuo a rimanere nuda e mi avvolgono in una coperta e mi danno colpi. Mi afferrano, mi strattonano e mi sollevano da terra.
    Mi portano nuovamente in cella fino al mattino di mercoledì, quando torno a visitare il forense. Gli racconto del trattamento che sto subendo e il suo atteggiamento è negativo.
    Torno in cella dove cerco di “risposare” un po'. Dopo un certo tempo, viene El Comisario e mi porta nella “stanza molto dura”. Qui mi spoglia nuovamente. Mi tira i capelli, mi dà colpi sulla testa e mi grida nelle orecchie che è un militare e che è addestrato ad uccidere e che “ti sfascio tutta dentro così non potrai avere piccoli etarras”.
    Mi riportano in cella e poi nuovamente dal forense. Non gli racconto più niente, avendo visto quale era stato il suo atteggiamento nell’ultimo colloquioa nella quale metteva in discussione le torture che mi avevano fatto.
    Durante gli interrogatori c’era sempre molta gente. Una volta contai fino a sette voci differenti. Mi minacciavano costantemente riferendosi al mio compagno (che sentivo come veniva torturato). Mi minacciarono anche di arrestare mio fratello. Mi dicono che se non avranno quello che vogliono non solo arresteranno i miei genitori ma anche mia nonna “in mutande e che se la sarebbero fatta”.
    Il penultimo giorno el Comisario mi denuda nuovamente. Getta una coperta sul pavimento, grida e mi dice che mi violenterà un’altra volta. Mi dà l’impressione che sta iniziando a togliersi i vestiti, sento come si toglie la cintura dei pantaloni. Allora, quello che chiamano Garmendia cerca di tranquillizzarlo, lo porta fuori dalla stanza nella quale ci trovavamo e li ascolto mentre parlano. Garmendia entra un’altra volta nella stanza e mi chiede di promettergli che parlerò.
    L’ultimo giorno subisco altri sei interrogatori. La seconda deposizione la faccio il sabato alla 5.40. Dopo non mi spogliano più e l’aggressività diminuisce, arrivando addirittura a chiedermi se volevo vedere Iñigo (il suo compagno).
    Le minacce non terminarono fino a quando arrivo alla Audiencia Nacional. Nel furgone che mi porta al tribunale El Comisario, seduto al mio fianco, mi dice che devo confemare la mia dichiarazione dinnanzi al giudice. Durante tutto il periodo di isolamento, salvo quando andavo dal forense, ero con gli occhi bendati con differenti mascherine. Ce n’era una di latex che aveva una specie di polvere che loro dicevano che se aprivo gli occhi sarei rimasta cieca. Quello che provavo quando me la toglievano (per andare dal forense) era un bruciore agli occhi per un certo periodo di tempo. Quando ero con El Comisario mi mettevano un’altra mascherina che era come di velluto.
    Durante l’isolamento ero sempre con tre poliziotti (El Comisario, El Inspector e Garmendia, che era il meno selvaggio), anche se durante gli interrogatori soleva esserci molta gente sempre nella stanza.
    Dinnanzi al giudice negai la dichiarazione fatta alla Guardia Civil e denunciai di essere stata torturata.

    Prigione di Soto del Real 6 marzo 2011

    Radio Città Aperta - Roma

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