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(28 Novembre 2011) Enzo Apicella

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Dalla decadenza alla decomposizione del capitalismo?

(14 Marzo 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Quello che sta succedendo in Italia, (scandali sessuali, frazionamento politico ecc.) è un segno evidente della decadenza del modo di produzione capitalistico. Perché quello che sta succedendo non è una faccenda puramente italica (come i vari Travaglio e C. cercano di far intendere) ma è comune in tutti i paesi imperialisti.

Tutti i modi di produzione del passato hanno conosciuto un periodo di ascendenza e un periodo decadenza. Il primo periodo corrisponde a un pieno adeguamento dei rapporti di produzione dominanti con il livello di sviluppo delle forze produttive della società, il secondo esprime che questi rapporti di produzione sono divenuti troppo stretti per contenere questo sviluppo.

Tuttavia è sbagliato affermare che il capitalismo segue le tracce dei modi di produzione che l’hanno preceduto. È importante sottolineare le differenze fondamentali tra la decadenza capitalista e quelle delle società del passato.

1° Il capitalismo è la prima società della storia che si estende a livello mondiale, che abbia sottomesso alle proprie leggi tutto il pianeta, per questo fatto, la decadenza di questo modo agisce su tutta la società umana.

2° Mentre nelle società del passato, i nuovi rapporti di produzione che erano chiamati a soppiantare i vecchi ormai superati, potevano svilupparsi all’interno della stessa società (cosa che poteva, in un certo modo, limitare in un certo modo gli effetti e l’ampiezza della decadenza), la società comunista, la sola che possa succedere al capitalismo, non può in alcun modo svilupparsi al suo interno; non esiste dunque alcuna possibilità di una qualunque rigenerazione di questa società in assenza di un rovesciamento del potere della classe borghese e dell’estirpazione dei rapporti di produzione capitalistici.

3° La crisi che dura dalla metà degli anni ’70, crisi che non è solo economica, ma anche politica e culturale.

4° Il fenomeno dell’ipertrofia statale, in altre parole quella di un assorbimento della società civile da parte dello Stato (che è lo Stato della Borghesia Imperialista). Il fenomeno dell’accentuazione del controllo sociale, contro ciò che è definita “devianza”.

5° Anche se i periodi di decadenza del passato sono stati marcati da conflitti bellici, questi non erano neanche comparabili alle guerre mondiali che, per due volte, hanno devastato il mondo.

La differenza tra l’ampiezza e la profondità della decadenza capitalista e quelle della decadenza del passato, non può essere ridotta a una semplice questione di quantità. La società capitalista è la prima a minacciare la sopravivenza stessa dell’umanità, la prima che possa distruggere la specie umana (armamenti nucleari, biologici e chimici, crisi ambientale ecc)

Tutte le società in decadenza comportano degli elementi di decomposizione: sfaldamento del corpo sociale, putrefazione delle sue strutture economiche, politiche e ideologiche ecc.

Non bisogna confondere decadenza e decomposizione.

La fase della decomposizione non si presenta solo come quella caratterizzata dal controllo sociale e dalla crisi permanente. Nella misura in cui le contraddizioni e manifestazioni della decadenza del capitalismo, che una dopo l’altra, marcano i diversi momenti di questa decadenza, la fase della decomposizione appare come quella risultante dell’accumulazione di tutte queste caratteristiche di un sistema moribondo, quella che chiude degnamente l’agonia di un modo di produzione condannato dalla storia.

Essa costituisce l’ultima tappa del ciclo infernale di crisi – secondo conflitto mondiale – ricostruzione e ripresa del capitalismo (i 30 anni succedutisi dalla fine del conflitto) nuova crisi con convulsioni enormi, che caratterizzato il XX secolo la società e le differenti classi:

1° Due guerre mondiali cha hanno lasciato esangui la maggior parte dei principali paesi.

2° Un’ondata rivoluzionaria che ha fatto tremare tutta la borghesia mondiale e che è sfociata in una controrivoluzione dalle forme più atroci (pensiamo solamente al nazismo e alla sua politica di sterminio) e ciniche (democrazia borghese).

3° Il ritorno di un impoverimento assoluto a livello mondiale, di una miseria delle masse proletarie che sembravano ormai dimenticate. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro il numero dei disoccupati nel mondo è passato da 30 milioni nel 2007 a 210 milioni di oggi. Negli Stati Uniti, secondo un rapporto del Census Bureau circa 44 milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà, ossia un aumento di 6, 3 milioni di poveri in due anni che vanno ad aggiungersi al già forte sviluppo della povertà conosciuto nei tre anni precedenti.

4° Una crisi che dura dalla metà degli anni ’70.

Quest’ultimo fattore costituisce l’elemento nuovo. La crisi apre di nuovo l’alternativa storica guerra mondiale o scontri di classe generalizzati verso la rivoluzione proletaria. Ma a differenza degli anni ’30, la crisi attuale si è sviluppata in un momento che subiva la cappa di piombo della sconfitta subita negli anni ’20 (sconfitta della rivoluzione proletaria in Europa determinata anche dal ruolo controrivoluzionario della socialdemocrazia, fascismo in Italia) e ’30 (stalinismo, nazismo in Germania, guerra di Spagna). La radicalizzazione della lotta di classe nel 1968 nelle metropoli imperialiste ha mostrato che la borghesia non aveva più le mani libere per scatenare un’ennesima guerra mondiale. Allo stesso tempo, se il proletariato ha già la forza di impedire una tale conclusione, esso non ha ancora trovato quella rovesciare il capitalismo, e questo a causa del ritardo nello sviluppo della sua coscienza determinato dalla rottura provocato dal diffondersi dello stalinismo nel Movimento Comunista Internazionale.

In una situazione in cui due classi fondamentali e antagoniste della società si confrontano senza riuscire a imporre la loro risposta decisiva, la storia non può attendere fermandosi. Mentre le contraddizioni del capitalismo in crisi non fanno che aggravarsi, l’impossibilità da parte della borghesia di offrire la minima prospettiva per l’insieme della società, unita al fatto che in questo periodo il proletariato non è ancora riuscito ad affermare la sua prospettiva di cambiamento della società, nell’immediato non può che sfociare in un fenomeno di decomposizione generalizzata, d’incancrenimento della società.

Nessun modo di produzione è capace di vivere e svilupparsi assicurare la coesione sociale, se non è capace di presentare una prospettiva all’insieme della società da esso dominata. Nell’attuale fase caratterizzata dall’impedimento dei rapporti di produzione capitalisti allo sviluppo delle forze produttive ormai collettive, non può che determinare una fase di decadenza e della successiva decomposizione.

Manifestazioni evidenti della decomposizione della società capitalista sono:

1° Le moltiplicazioni di carestie nei paesi definiti “Terzo Mondo” mentre nei paesi “avanzati” sono distrutti stock di prodotti agricoli, oppure sono abbandonate superfici considerevoli di terre fertili. La FAO, che si rallegra nell’osservare che nel 2010 c’è stato un arretramento della malnutrizione che colpisce particolarmente l’Asia con 578 milioni di persone e l’Africa con 239 milioni, non rileva che nello stesso tempo questa cifra resta largamente superiore a quella pubblicata nel 2008, perché gli effetti dell’inflazione speculativa dei prezzi dei prodotti alimentari si era fatto sentire fino a provocare una serie di sommosse in numerosi paesi.

2° La trasformazione di questo “Terzo Mondo” in un’immensa bidonville in cui centinaia di milioni di esseri umani sopravvivono come topi nelle fogne. L’Asia e l’Africa sono l’epicentro di tali squilibri. La popolazione urbana africana, cresciuto di oltre 10 volte dal 1959, raggiungerebbe il 63% nel 2050, ma già in Tunisia, il 60% è urbanizzato e concentrato nella zona costiera, mentre quella asiatica dovrebbe raddoppiare.

In 16 città del Sud-Est asiatico più della metà dei terreni che ospitano slum appartiene a una manciata di proprietari. In queste città in continua espansione, il capitale si rivalorizza, succhiando il “midollo della vita” di donne, bambini, migranti d’ogni colore, ridisegnando a tal fine l’ambiente urbano.

Secondo UN-Habitat (Agenzia dell’ONU) le percentuali più alte di abitanti in slum (intorno al 90%) si trovano in Etiopia, Ciad Afghanistan e Nepal. Bombay (da 10 a 12 milioni di occupanti “abusivi” e abitanti di casamenti, anche nei cimiteri, su 19 milioni di abitanti?) è la capitale globale dello slum, seguita da Città del Messico e Dhaka (9-10 milioni ciascuna). Sempre a Bombay, dove solo 90 persone controllano la maggior parte di tutti i suoli liberi, un milione e mezzo di proletari, pur avendo un lavoro, sono privi di un tetto e dormono sui marciapiedi o nelle tombe dei cimiteri, o in fatiscenti monolocali di 15 metri quadri, dove sono in 6, con in media un bagno ogni 5 famiglie, mentre al Cairo, le tombe dei Mamelucchi ospitano circa un milione di senzatetto e un altro milione dorme sui tetti delle case.

I proletari e sottoproletari che abitano in questi slum sono oggetto di una guerra, una vera e propria guerra di sterminio da parte delle classi dominanti. Negli anni ’60 e ’70, i regimi militari in Sud America affrontarono la “pericolosità” delle favelas e dei campamientos alla loro maniera: in Brasile, con la scusa della “minaccia guerrigliera” furono rase al suolo un’ottantina di favelas sulle colline di Rio de Janeiro; Pinochet espelleva dal centro di Santiago gli abusivi delle poblaciones e delle callampas, e in Argentina Videla bonificava militarmente le villas miserias, radendo al suolo il 94% degli insediamenti “illegali” nella Grande Buenos Aires. Nel gennaio 1977, in Egitto, a seguito di una delle”rivolte del pane” e contro le misure del Fondo Monetario Internazionale, Sadat si scatena con i “ladri guidati dai comunisti” per ripulire i quartieri centrali del Cairo. Queste “rivolte del pane” sono tornate a esplodere sia nel Maghreb (Algeria, Tunisia), che Egitto.

3° Lo sviluppo di questo stesso fenomeno nei paesi “avanzati” in cui numero dei senzatetto e di quelli privi di ogni mezzo di sostenimento continua ad accrescersi.

L’urbanizzazione accelerata in Europa e negli Stati Uniti travolge i vecchi quartieri operai o li snatura nella gentrificazione,(1) creando, oltre le vecchie periferie, nuove aree di marginalizzazione, come le banlieus parigine, le periferie inglesi e i quartieri ghetto. Un esempio sono le città italiane e le baraccopoli della Milano - Brescia, espressione di sovrapproduzione di umanità che è sempre meno specchio dell’espansione e sempre di più della regressione sociale (peggioramento delle condizioni di vita dei salariati, perdita dei diritti e garanzie sociali, criminalizzazione, razzismo). La stessa California, epicentro dell’area del Pacifico in sviluppo nell’era reaganiana, rispetto al ristagno dell’area atlantica è ora paurosamente in crisi con milioni di disoccupati, vede spuntare insediamenti non diversi da quelli che attorniano le città dell’America Latina.

4° Le catastrofi “accidentali” che si moltiplicano (aerei che precipitano, treni che si trasformano in casse da morto).

5° Gli effetti sempre più devastanti sul piano umano, sociale ed economico delle catastrofi “naturali” (inondazioni, siccità, terremoti, cicloni) di fronte alle quali gli esseri umani sembrano sempre più disarmati laddove la tecnologia continua progredire ed esistono già oggi tutti i mezzi per realizzare le opportune protezioni (dighe, sistemi d’irrigazione, abitazioni antisismiche e resistenti alle tempeste, …), mentre poi, di fatto, sono chiuse le fabbriche che producono tali mezzi e licenziati i loro operai.

6° La degradazione dell’ambiente che raggiunge proporzioni assurde (acqua di rubinetto imbevibile, i fiumi ormai privi di vita, gli oceani pattumiera, l’aria delle città irrespirabile, decine di migliaia…) e che minaccia l’equilibrio di tutto il pianeta con la scomparsa della foresta dell’Amazzonia (il “polmone della terra”), l’effetto serra e il buco dell’ozono al polo sud.

Tutte queste calamità economiche e sociali, se sono in generale un’espressione della decadenza del capitalismo, per il grado di accumulazione e l’ampiezza raggiunta costituiscono la manifestazione dello sprofondamento in uno stallo completo di un sistema che non ha alcun avvenire da proporre alla maggior parte della popolazione mondiale se non una barbarie al di là di ogni immaginazione. Un sistema in cui le politiche economiche, le ricerche, gli investimenti, tutto è realizzato sistematicamente a scapito del futuro dell’umanità e, pertanto, a scapito del futuro stesso del sistema stesso.

Ma le manifestazioni dell’assenza totale di prospettive della società attuale sono ancora più evidenti sul piano politico e ideologico.

1° L’incredibile corruzione che cresce e prospera nell’apparato politico, amministrativo e statale, il susseguirsi di scandali in tutti i paesi imperialisti.

2° L’aumento della criminalità, dell’insicurezza, della violenza urbana che coinvolgono sempre di più i bambini che diventano preda dei pedofili.

3° Il flagello della droga, che è da tempo divenuto un fenomeno di massa, contribuendo pesantemente alla corruzione degli Stati e degli organi finanziari, che non risparmia nessuna parte del mondo colpendo in particolare i giovani, è un fenomeno che sempre meno esprime la fuga nelle illusioni e sempre di più diventa una forma di suicidio.

4° Lo sviluppo del nichilismo, del suicidio di giovani, della disperazione, dell’odio e del razzismo.

5° La proliferazione di sette, il rifiorire di un pensiero religioso anche nei paesi imperialisti, il rigetto di un pensiero razionale, coerente, logico.

6° Il dilagare nei mezzi di comunicazione di massa di spettacoli di violenza, di orrore, di sangue, di massacri, finanche nelle trasmissioni e nei giornalini per i bambini.

7° La nullità e la venalità di ogni produzione “artistica”, di letteratura, di musica, di pittura o di architettura, che non sanno esprimere che l’angoscia, la disperazione, l’esplosione del pensiero, il niente.

8° Il “ciascuno per sé”, la marginalizzazione, l’atomizzazione degli individui, la distruzione dei rapporti familiari, l’esclusione delle persone anziane, l’annientamento dell’affetto e la sua sostituzione con la pornografia, lo sport commercializzato, il raduno di masse di giovani in un’isterica solitudine collettiva in occasione di concerti o in discoteche, sinistro sostituto di una solidarietà e di legami sociali completamente assenti.

Tute queste manifestazioni della putrefazione sociale che oggi, a un livello mai visto nella storia, permea tutti i pori della società umana; esprimono una sola cosa: non solo lo sfascio della società borghese, ma soprattutto l’annientamento di ogni principio di vita collettiva nel senso di una società priva del minimo progetto, della minima prospettiva, anche se a corto termine, anche se illusoria.

Tra le caratteristiche principali della decomposizione della società capitalista bisogna sottolineare la difficoltà crescente della borghesia a controllare l’evoluzione della situazione sul piano politico. L’impasse storica in cui si trova imprigionato il modo di produzione capitalistico, i fallimenti delle diverse politiche economiche che si sono attuate, l’indebitamento generalizzato che ha permesso di sopravvivere all’economia mondiale, tutti questi elementi che si ripercuotono su un apparato politico incapace, da parte sua, di imporre alla società, e in particolare alla classe operaia, la disciplina e l’adesione richieste per mobilitare tutte le forze e le energie verso la sola risposta storica che la borghesia possa offrire: la guerra.

Il crollo del “blocco “socialista” dell’Est è una delle conseguenze della crisi mondiale del capitalismo; la forte centralizzazione e la statalizzazione completa dell’economia, la confusione tra l’apparato economico e quello politico, la mobilitazione di tutte le risorse verso la sfera militare, queste caratteristiche, se erano adatte a un contesto di guerra, in una fase di accentuazione della crisi si rivelano nocive. Bisogna tenere conto che questo blocco era profondamente integrato nel mercato mondiale. Quando dalla metà degli anni ’70, con l’avvio della crisi di sovrapproduzione di capitale, i capitali cercavano nuovi mercati per valorizzarsi, questo è stato uno degli elementi determinanti del crollo di questi regimi, perché la borghesia, sia quella russa sia quella internazionale, aveva bisogno di una sovrastruttura politica funzionale alla situazione politica economica in atto (bisognava privatizzare per creare maggiori spazi per gli investimenti di capitale).

Una delle caratteristiche della putrefazione di questi paesi era il menefreghismo generalizzato dei cittadini di questi paesi, sia a livello politico che economico.

Che fare?

Bisogna prendere coscienza della minaccia mortale della decomposizione. Non bisogna nascondere a se stessi l’estrema gravità della situazione mondiale. Inoltre, essendo la decomposizione una realtà, è anche una necessità, cioè un passo necessario verso la rivoluzione.

All’inizio la decomposizione ideologica colpisce evidentemente la classe capitalista stessa e per contraccolpo, gli strati di piccola borghesia che non hanno alcuna autonomia.

Solo il proletariato porta in sé una prospettiva per l’umanità e, in questo senso, è al suo interno che esiste la maggiore capacità a resistere a questa decomposizione. Tuttavia neanche lui è risparmiato, in particolare perché la piccola borghesia a contatto della quale esso vive ne è il principale veicolo. I diversi elementi che costituiscono la forza del proletariato si scontrano direttamente con i diversi aspetti di questa decomposizione ideologica:

1° L’azione collettiva, la solidarietà, contro l’atomizzazione, il “ciascuno per sé”, “l’arrangiarsi individuale”.

2° Il bisogno di organizzazione contro la decomposizione sociale, la distruzione dei rapporti su cui poggia la società.

3° La fiducia nell’avvenire e nelle sue proprie forze continuamente minate dalla disperazione, dal nichilismo, dalla “mancanza di futuro”.

4° La coscienza, la lucidità, la coerenza e l’unità del pensiero, l’inclinazione per la teoria ha difficoltà ad affermarsi di fronte alla fuga nelle chimere, alla droga, alle sette, al misticismo, al rigetto della riflessione e la distruzione del pensiero che caratterizza la nostra epoca.

SOCIALISMO O BARBARIE DIVENTA UNA PAROLA D’ORDINE PIÚ CHE MAI ATTUALE



marzo 2011

1. Gentrificazione è quel processo in cui, nelle metropoli, strati di piccola e media borghesia vanno a vivere in quartieri in precedenza operai, dove si attuano l’esclusione dei poveri e l’omologazione degli stili di vita, moda e atteggiamenti culturali. Le misure di gentrificazione sono strombazzate come volte a riqualificare quartieri aree industriali dismesse e centri storici, in realtà motivate da ben altre ragioni, per trasformarle in “aree-vetrina” turistiche e commerciali, o per soddisfare esigenze di gruppi sociali ad alto reddito, o semplicemente per speculazione edilizia.

Marco Sacchi

Fonte

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